Una irregolare fatturazione emessa dal notaio …
Una irregolare fatturazione emessa dal notaio …
Corte di Cassazione, sez. II Civile
Sentenza 3 maggio – 24 giugno 2016, n. 13185
Presidente Bucciante – Relatore Giusti
Ritenuto in fatto
1. – Nel corso del 2011, al Consiglio notarile di Milano pervennero un esposto e una comunicazione con riguardo al notaio F.R. .
1.1. – L’esposto venne presentato in data 19 maggio 2011 da un cliente del professionista, il quale lamentava l’irregolare fatturazione emessa dal notaio che, come forma di pagamento di un rogito, aveva richiesto due distinti assegni, di. cui uno intestato allo stesso professionista e 1 altro ad un terzo soggetto, emettendo la fattura solamente per l’assegno a sé intestato. Successivamente, la fattura veniva corretta con l’emissione di una parcella per 1 intero importo ricevuto. Nel corso delle verifiche preliminari svolte dal Consiglio notarile di Milano emergeva che l’assegno rispetto al quale non era stata inizialmente emessa la fattura era stato intestato e versato alla madre del notaio e non direttamente a quest’ultimo.
1.2. – La comunicazione venne inviata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Monza in data 25 luglio 2011, e concerneva l’avvenuto esercizio dell’azione penale nei confronti del notaio F. o per concorso nel delitto aggravato di circonvenzione di incapace sulla base della seguente vicenda contrattuale.
Il professionista era stato incaricato da un’agenzia immobiliare di procedere alla vendita di un appartamento sito a (…) di proprietà di un’anziana signora. L’immobile era stato trasferito il 12 marzo 2009 a un giovane cittadino rumeno il quale provvedeva, nell’arco di cinque giorni dalla vendita, a trasferire l’immobile ad un terzo soggetto a un prezzo inferiore rispetto a quello d’acquisto. La venditrice era convinta che il trasferimento immobiliare riguardasse la sola nuda proprietà con 1 assegnazione in suo favore dell’usufrutto vitalizio e che l’intestazione all’acquirente della nuda proprietà potesse essere d’aiuto al giovane cittadino rumeno per ottenere un finanziamento bancario. L’operazione, secondo la prospettazione della Procura, aveva avuto luogo approfittando di una condizione di deficienza psichica della signora, la quale vendeva il proprio bene (a) senza neppure incassare materialmente il prezzo pattuito, (b) a un prezzo dichiarato di gran lunga inferiore al valore di mercato del bene e (c) con la erronea convinzione di poter, comunque, mantenere la disponibilità del bene e ivi continuare a vivere.
Il procedimento penale a carico del notaio F. si concludeva con la sentenza della Corte di. cassazione n. 2820 del 10 dicembre 2013, depositata il 12 febbraio 2014, che assolveva il professionista per non avere commesso il reato di circonvenzione d’incapace, mantenendo ferme le condanne degli altri imputati (gli agenti immobiliari e l’acquirente T. ).
2. – Sulla base dei predetti esposti, il Consiglio notarile formulava due addebiti disciplinari a carico del notaio, per anomali atti di vendita (prima incolpazione, relativa alla vicenda sub 1.2.) e per irregolare fatturazione (seconda incolpazione, di cui all’esposto sub 1.1.). Con la prima incolpazione, addebitava al notaio F. di avere violato gli artt. 47 e 147 della legge notarile, per avere omesso di indagare la volontà delle parti e per non avere ottemperato alle prescrizioni degli artt. 36 e 37 del codice deontologico, contenenti prescrizioni in tema di personalità della prestazione, nonché dell’art. 45 del medesimo codice recante prescrizioni in materia di affidamento di somme. Con la seconda, contestava al notaio la violazione dell’art. 147 della legge notarile, per avere tenuto comportamenti tali da indurre sospetti sulla propria lealtà fiscale.
3. – La Commissione amministrativa ragionale di disciplina (d’ora in poi, anche CO.RE.DI.), con decisione in data 20 febbraio 2014, riteneva il notaio responsabile di entrambi gli addebiti disciplinari, irrogando la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione notarile per il periodo di tre mesi in relazione al primo capo di incolpazione (anomali atti di vendita), e di due mesi per il secondo capo di incolpazione (irregolare fatturazione).
Con riguardo al primo addebito, la CO.RE.DI. riteneva censurabile l’atteggiamento tenuto dal notaio, il quale, al momento del rogito, si era limitato a leggere l’atto senza dare ulteriori spiegazioni alle parti e senza accertarsi della loro reale volontà o dell’effettivo versamento del prezzo, tutte circostanze sulle quali il notaio rogante avrebbe dovuto indagare, tenendo conto di varie situazioni di fatto, compresi il livello di cultura generale delle parti, il loro stato psicofisico e l’età delle stesse.
In relazione al secondo addebito, la Commissione amministrativa inquadrava la condotta posta in essere dal professionista in un tentativo di evasione fiscale non realizzatosi in seguito alle rimostranze del cliente.
4. – Con ordinanza in data 19 dicembre 2014, la Corte d’appello di Milano ha respinto il reclamo del notaio.
Quanto al primo addebito, la Corte territoriale ha rilevato che, sebbene sia intervenuta una sentenza definitiva di assoluzione del notaio per non avere commesso il fatto, nondimeno il comportamento del notaio si pone in contrasto con principi di correttezza, trasparenza e professionalità che dovrebbero contraddistinguere il suo operato. Il notaio si è infatti limitato a recepire passivamente l’operato della sua assistente di studio, senza porsi dubbi in ordine all’intera operazione immobiliare sottoposta al suo esame, a fronte della quale non sono state considerate e accertate le diverse modalità di corresponsione del prezzo e sono state invece successivamente prese in deposito somme nel suo personale interesse.
In ordine al secondo addebito, la Corte d’appello ha osservato che, ai fini della configurazione dell’illecito, non è necessario che si sia realizzata un’effettiva evasione fiscale, ascendo sufficiente che sia stata posta in essere, come risulta dall’analisi degli avvenimenti, una serie di atti idonei a raggiungere la finalità illecita perseguita. Il comportamento posto in essere – ha sottolineato la Corte di Milano – è tale da poter indurre il cliente che vi soggiace ad associare l’intera categoria notarile al fenomeno dell’evasione fiscale ledendone l’immagine e il prestigio.
La Corte d’appello ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di circostanze attenuanti, in considerazione.
– della riscontrata gravità del danno occorso alla cliente (che nell’operazione di vendita ha perso la disponibilità della sua abitazione) e del danno all’immagine cagionato all’intera categoria professionale;
– del fatto che negli ultimi anni il notaio F. è stato sottoposto a diversi procedimenti disciplinari, conclusisi con l’irrogazione di una sanzione pec n’aria, di una censura e della sospensione dall’esercizio della professione per due mesi;
– della circostanza che la misura applicata con riferimento al primo capo di incolpazione risulta essere inferiore al minimo di legge (sei mesi) – del fatto che il professionista non si è adoperato in alcun modo per eliminare le conseguenze dannose del suo comportamento.
5. – Per la cassazione dell’ordinanza della Corte d’appello il notaio F. ha proposto ricorso, con atto notificato il 16 febbraio 2015, sulla base di tre gruppi di censure.
L’intimato Consiglio notarile di Milano ha resistito con controricorso.
In prossimità della camera di. consiglio il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa.
Considerato in diritto
1. – Il primo gruppo di censure (da A.1 ad A.10) è sviluppato da pag. 11 a pag 32 del ricorso, e si riferisce al primo addebito.
Ad avviso del ricorrente, la ricostruzione del fatto effettuata dalla Corte d’appello sarebbe travisata dall’erronea constatazione che “la venditrice era convinta che il trasferimento riguardasse la sola nuda proprietà, con l’assegnazione a suo favore dell’usufrutto”, da cui deriverebbe la conseguente affermazione della difformità tra intento empirico della parte e intento giuridico recepito dal notaio, che fonderebbe la sua responsabilità per non avere diligentemente indagato la volontà effettiva della parte venditrice senza altresì porsi dubbi intorno alla correttezza dell’intera operazione immobiliare.
Secondo il ricorrente, i presupposti di fatto della ordinanza della Corte d’appello sarebbero difformi da quelli accertati con efficacia di giudicato dal Tribunale penale di Monza (A.2.), essendovi piena corrispondenza tra la volontà della venditrice e l’atto pubblico regate dal notaio. Sostiene il ricorrente che il Tribunale penale di Monza ha accertato (con sentenza passata in giudicato e come tale da intendere come portatrice della definitiva verità processuale) che il notaio ha redatto un atto di compravendita del tutto corrispondente alla volontà della venditrice, che si era determinata e convinta: (a) a vendere l’immobile, (b) a venderlo senza alcuna riserva di usufrutto, (c) a venderlo all’individuato compratore, (d) a volere percepire il prezzo dopo l’atto, consapevolmente però dichiarando al notaio la circostanza non vera (da questo non controllabile) di averlo già ricevuto.
E poiché la Corte d’appello avrebbe esaminato un fatto non vero, essa avrebbe evidentemente omesso di considerare il fatto vero, sicché la decisione sarebbe per tale profilo censurabile ai sensi dell’art. 360 n. 5 proc. civ. (A.3.).
Nella specie o si sarebbe trattato di una mera diversa valutazione dello stesso fatto, bensì di una nuova ricostruzione dello stesso, impedita al giudice disciplinare dagli artt. 156-guinguies della legge notarile e 653 cod. proc. civ. Di qui la denuncia di violazione di tali disposizioni, in riferimento all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. (A.4.).
La Corte d’appello di Milano, allorché ha affermato che la venditrice voleva vendere unicamente la nuda proprietà e riservarsi l’usufrutto, avrebbe surrettiziamente proposto un diverso ed inibito nuovo accertamento dei fatti, effettuato mediante un procedimento inferenziale errato, facendolo passare come una diversa valutazione dello stesso fatto accertato in sede penale. Il notaio – si assume – avrebbe redatto e letto un atto del tutto corrispondente alla volontà della venditrice (A.6.).
Il giudice penale avrebbe accertato come accaduto il fatto della corrispondenza dell’atto poi rogato alla volontà della venditrice; il giudice disciplinare, invece, avrebbe continuato a sostenere lo scollamento della volontà della B. dal contenuto dell’atto rogato, fatto, questo, del tutto opposto a quello accertato (con efficacia vincolante) in sede penale (A.6.).
Ribadito quanto sopra esposto (A.7.), il ricorrente rileva (A.7.1.) che la nuova ricostruzione del fatto operata dalla Corte d’appello, se anche fosse legittima, sarebbe comunque sbagliata, perché fondata su un procedimento inferenziale illegittimo. Da ciò, un ulteriore profilo di censurabilità, consistente nel difetto di. motivazione per erronea ricostruzione del fatto decisivo riconducibile alla previsione di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. Il ricorrente contesta che fosse suo dovere comunicare alla prima venditrice l’intenzione del compratore di vendere a sua volta ad un terzo. Una volta accertato che in nessun modo fosse desumibile la volontà reale della B. , che presupponeva nei rapporti interni col compratore il mantenimento in capo a questo della proprietà, ma che affidava tale intento ad un accordo segreto tra loro, e quindi inconoscibile dal notaio, secondo la difesa del ricorrente non si vede come possa imporsi al notaio di violare il dovere di riservatezza al quale è tenuto nei confronti del venditore del secondo contratto. Il ricorrente si chiede sulla base di quale principio logico il notaio avrebbe dovuto allarmarsi della seconda operazione, quando l’unica cosa che ha potuto sapere è che la editrice voleva vendere proprio al T. , che era stata già pagata e che non voleva alcun limite alla proprietà trasferita a costui Secondo il ricorrente, alcuni fatti (invero neutri ed insignificanti) sono ritenuti dalla Corte d’appello indizi dai quali desumere un altro fatto ignoto (l’irregolarità dell’operazione); questo fatto (originariamente) ignoto (irregolarità dell’operazione per quanto riguarda la venditrice) viene assunto, a sua volta, ad indizio di un ulteriore fatto ignoto (l’esistenza di una diversa volontà della venditrice), conoscibile, con certezza, a seguito di una più approfondita indagine del suo interno volere: cosi creando una combinazione di indizi, collegati da un doppio passaggio inferenziale del tutto inaccettabile sul piano logico.
Riportate le parti più significative della deposizione della B. (A.7.2.), il ricorrente censura l’ordinanza della Corte di Milano anche con riferimento all’affermazione secondo cui dal notaio rogante non sarebbero state considerate e accertate le diverse modalità di corresponsione del prezzo. Si tratterebbe di affermazione totalmente carente di motiva zinne ed in contrasto con la realtà dei fatti, posto che l’atto pubblico del 12 marzo 2009 riporta espressamente che il prezzo era stato pagato in data anteriore al 2006 (A.8.).
Del pari è censurata, in riferimento all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., l’affermazione secondo la quale il notaio avrebbe ricevuto in deposito somme nel suo personale interesse, affermazione che il ricorrente ritiene priva di ogni riscontro probatorio e in contrasto con la realtà dei fatti, che dimostra come l’importo ricevuto (portato da assegni circolari) in deposito fiduciario era a tutela del completamento di tutte le formalità di trascrizione relative all’operazione (A.9.).
Al punto A.10. il ricorrente ribadisce (da pag. 30 a pag.32) “i complessivi risultati” “ai quali si è pervenuto con riferimento al primo addebito”.
1.1. – Il primo gruppo di censure è infondato.
Va innanzitutto escluso che ci si trovi di fronte ad una difformità tra l’accertamento compiuto in sede disciplinare dalla Corte d’appello di Milano e quello risultante in sede penale dalla sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Monza in data 4 giugno 2012, annullata senza rinvio dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 2820 del 2013 limitatamente alla formula assolutoria, da intendersi “per non aver commesso il fatto”.
Invero, in sede penale è stato bensì escluso che il notaio F. sia stato complice nel reato di circonvenzione di persona incapace; ma lo stesso giudice penale non ha mancato di evidenziare il disvalore deontologico della condotta del notaio per avere questi omesso di indagare la reale volontà della venditrice e per essere venuto meno alle regole che devono caratterizzare la prestazione notarile. Nella sentenza del Giudice di Monza si sottolinea infatti che le indagini hanno consentito di “pacificamente” accertare “grave negligenza nella condotta del professionista”, il quale non avrebbe dovuto astenersi “dall’interrogare le parti in ordine alla reale volontà”: profilo, questo, rilevante sub specie “di responsabilità disciplinare del professionista”.
E proprio questi sono i profili considerati e valorizzati dalla Corte d’appello di Milano con l’ordinanza qui impugnata, la quale ha messo in luce come i fatti su cui si è basato il procedimento disciplinare attengono al comportamento del professionista sotto il profilo deontologico, essendo stati violati i doveri di informazione, di accertamento del risultato pratico voluto dalle parti e di osservare una condotta diligente e trasparente in caso di affidamento di somme e, soprattutto, il dovere generale di prevenire comportamenti potenzialmente illeciti. E ciò in una situazione caratterizzata dalla presenza di più indici di evidente anomalia: l’anziana venditrice, ultraottantenne, accettava di alienare la propria abitazione di residenza a un giovane rumeno di ventotto anni, ospite nella sua abitazione unitamente alla fidanzata e senza occupazione in Italia, dichiarando di avere ricevuto il prezzo tre anni prima (quando ancora la legge non imponeva l’obbligo di documentare i passaggi di denaro); il giovane rumeno acquistava l’appartamento a Euro 250.000.000 e lo rivendeva dopo cinque giorni a un terzo per una cifra addirittura inferiore rispetto al prezzo dichiarato nel primo atto di trasferimento.
Secondo quanto risulta dal motivato e logico accertamento operato dalla Corte territoriale, il notaio F. ai è infatti limitato nella specie a recepire passivamente l’operato della sua assistente di studio, senza indagare la volontà effettiva della parte venditrice e, soprattutto, senza porsi dubbi in ordine all’intera operazione immobiliare sottoposta al suo esame, a fronte della quale non sono state considerate e accertate le diverse modalità di corresponsione del prezzo e sono state invece successivamente prese in deposito somme nel suo personale interesse: cosi dimostrando una propensione a non attenersi alle regole di deontologia professionale e a non assumere il ruolo assegnato al notaio dall’ordinamento, contravvenendo a più regole di condotta.
Si tratta di conclusione – oltre che coerente nella valutazione e nell’apprezzamento dei fatti, anche – corretta in punto di diritto.
Infatti, gli artt. 36 e 37 del codice deontologico – in linea con quanto stabilito dall’art. 47 della legge notarile – prescrivono la necessità di un contatto personale tra il notaio e le parti nell’esecuzione dell’incarico professionale e fanno obbligo al notaio di svolgere di persona, in modo effettivo e sostanziale, tutti i comportamenti necessari per l’indagine sulla volontà delle parti (da svolgere, in maniera approfondita e completa, mediante proposizione di domande e scambio di informazioni intese a ricercare anche i motivi e le possibili modificazioni della determinazione volitiva come prospettatagli) e per la direzione della compilazione dell’atto nel modo più congruente alla accertata volontà delle parti.
Nella specie, secondo quanto risulta dall’accertamento compiuto dal giudice del merito, il professionista è venuto meno agli obblighi su di lui gravanti e caratterizzanti l’esercizio della funzione pubblica di garanzia demandata al notaio.
Tutto il resto è merito, essendosi di fronte a critiche solo apparentemente parametrate sul vizio di violazione e falsa applicazione di legge o sul nuovo testo dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. In realtà il ricorrente mira a rimettere in discussione gli apprezzamenti in fatto della Corte d’appello, che, in guanto basati sull’analitica disamina degli elementi di valutazione disponibili ed espressi con motivazione immune da lacune o vizi logici, si sottraggono al giudizio di legittimità.
2. – Con il secondo gruppo di censure (da B.1. a B.3., pagg. 33 – 37), relativo alla seconda incolpazione, il ricorrente rileva l’omessa considerazione delle circostanze fattuali realmente verificatesi, censurando la decisione ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ.. La Corte d’appello non avrebbe considerato il verbale conclusivo dell’ispezione in data 15 maggio 2013 dell’Agenzia delle entrate di Milano, che attesterebbe la piena “conformità fiscale del notaio F. , anche in merito alla fattura emessa per l’unico complessivo importo di Euro 5.400″.
L’affermazione, posta a base della decisione, secondo la quale al pagamento non seguì una regolare fatturazione sarebbe totalmente falsa alla luce delle risultanze del detto verbale. Ad avviso del ricorrente, l’aver ricevuto in pagamento due assegni non dimostrerebbe alcuna finalità evasiva, una volta che il loro ammontare complessivo sia stato fatturato al debitore solvente. Né potrebbe invocarsi il problema della tracciabilità dei pagamenti effettuati al professionista, giacché l’assegno bancario è sempre, per definizione, tracciabile, consentendo la ricostruzione della movimentazione del denaro indicato come importo dal predetto titolo di pagamento. Secondo il ricorso, al notaio non sarebbe inibito, quale ereditare, di utilizzare la provvista nei confronti del cliente suo debitore per estinguere un suo debito nei confronti di un terzo, e quindi di chiedere di eseguire il pagamento, anche attraverso un assegno intestato al (terzo) creditore, direttamente a quest’ultimo, sempre che, ovviamente, il notaio stesso abbia correttamente fatturato l’intero importo sborsato dal cliente debitore solvente, com’è accaduto nella specie. Priva di riscontri probatori sarebbe l’affermazione secondo cui la regolarizzazione fiscale sarebbe avvenuta soltanto a seguito della sollecitazione del cliente. Infatti, la fattura datata 29 dicembre 2010 è stata predisposta nelle immediatezza successive alla data di. stipula degli atti. Il ricorrente sottolinea che la registrazione della fattura per l’importo corretto, la liquidazione dell’IVA nel termine e il versamento delle imposte sul reddito e dell’IVA sarebbero avvenuti prima ed indipendentemente dalle lamentele del cliente, che peraltro ha ricevuto dopo pochi giorni dalla sua richiesta la fattura esatta, in sostituzione di. quella consegnatagli, in occasione del ritiro del fascicolo, per mero errore.
2.1. – Il secondo gruppo di censure è infondato.
La Corte d appello di Milano, nel condividere gli accertamenti cui è pervenuta la CO.RE.DI., ha rilevato che il notaio F. ha chiesto al cliente di frazionare il pagamento del rogito in due assegni, dei quali uno intestato alla madre del notaio, emettendo poi la fattura soltanto per l’assegno intestato al notaio e provvedendo alla emissione della fattura per l’intero importo con il versamento di tutte le imposte dovute solo dopo la sollecitazione del cliente. La stessa Corte ha anche sottolineato che lo stesso professionista ha ammesso di. avere più volte chiesto ai clienti di essere pagato con assegni intestati a terze persone, suoi personali creditori.
Tale essendo la situazione di fatto accertata corretta è la conclusi ne in punto di riconoscimento della responsabilità disciplinare del notaio ai sensi dell’art. 147, comma 1, lettera a), della legge n. 89 del 1913.
Compromette, infatti, la propria dignità e reputazione ed il decoro o il prestigio della classe notarile il notaio che chieda al cliente di frazionare il pagamento del compenso professionale con il rilascio di più assegni, uno dei quali intestato a terzi, ed emetta fattura, inizialmente, solo per l’importo recato dall’assegno intestato a se stesso, provvedendo solo successivamente e su sollecitazione del cliente alla relativa regolarizzazione, trattandosi di una condotta oggettivamente idonea a far supporre la volontà di mettere in atto un aggiramento della normativa fiscale, poi non realizzato a seguito delle rimostranze del cliente.
Non rileva la circostanza dedotta dal ricorrente nel ricorso, che cioè l’Agenzia delle entrate, a seguito di accurata e rigorosa analisi dell’attività professionale svolta dal notaio nell’anno in questione, abbia accertato la regolarità fiscale della fattura emessa nella specie e il tempestivo pagamento di ogni onere fiscale. Si tratta, infatti, di una circostanza non decisiva, posto che nella specie la condotta sanzionata consiste, non in un illecito di danno (l’evasione fiscale), ma in un illecito di pericolo, ossia nella compromis-sione della dignità, della reputazione, del decoro e del prestigio professionali derivante dal tentativo di. eludere l’obbligo di rilasciare il prescritto documento fiscale per l’intero ricevuto pagamento.
Il ricorrente, parvero, contesta la sussistenza della finalità evasiva, e deduce che non sussisterebbero i riscontri probatori del fatto come ricostruito dal giudice disciplinare, essendo la regolarizzazione precedente alle rimostranze del cliente ed essendo la fattura inizialmente consegnata al cliente redatta per mero errore, come risulterebbe dalla dichiarazione scritta della collaboratrice del notaio addetta alla fatturazione. Né tali critiche e censure si risolvono in una sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto si come emerse nel corso del giudizio dinanzi alla Corte d’appello in sede di reclamo, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza processuale, quanto ancora le opinioni espresse dal giudice del reclamo non condivise e perciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di. causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
3. – Il terzo gruppo di censure (da C.1. a C.4, pagg. 3742) è relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti.
Ad avviso del ricorrente, con riferimento al primo addebito, la decisione sarebbe del tutto incoerente rispetto alle vicende realmente accadute. La cliente non ha perso la disponibilità della sua abitazione a causa di un comportamento poco diligente del professionista, ma perché questo (vendita della intera proprietà senza alcuna riserva di usufrutto al compratore, suo amico, sodale e convivente) era l’intento che l’animava. Né sarebbe vero che il professionista “non si è adoperato in alcun modo per eliminare le conseguenze dannose del suo comportamento e, ove possibile, riparare il danno prodotto”: al contrario, “tra la venditrice ed il notaio rogante è intervenuto un accordo transattivo”. Il ricorrente sottolinea che le attenuanti richieste sono quelle specifiche di cui all’art. 144 della legge notarile, il quale prevede la sostituzione della pena pecuniaria a quella della sospensione: sotto questo profilo, la decisione sarebbe censurata anche ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., perché, essendosi il notaio adoperato per eliminare le conseguenze dannose dell’infrazione e avendo riparato integralmente il danno, alla luce della richiamata transazione, sussistevano i presupposti per la concedibilità delle attenuanti.
Analogo ragionamento viene fatto con riguardo alla sanzione irrogata per il secondo addebito. La circostanza che il notaio abbia spontaneamente ed immediatamente regolarizzato la fattura, compilato il registro e versato l’IVA, integrerebbe quell’adoperarsi per eliminare le conseguenze della violazione richiesta per la doverosa conversione della sanzione disciplinare in sanzione pecuniaria.
Né, infine, varrebbero ad escludere l’applicazione della circostanze attenuanti i precedenti disciplinari e c’e perché ciascuna incolpazione va valutata per sé.
3.1. – Il motivo è infondato.
Va in primo luogo rilevato che il ricorrente con riferimento al primo addebito, dà atto di un accordo transattivo intervenuto con la venditrice “e ben noto ai giudici disciplinari”. Sennonché, di questo accordo transattivo il ricorrente non illustra né descrive il contenuto (peraltro non risultante dal testo dell’ordinanza della Corte d appello), in violazione della regola di specificità del motivo di ricorso.
In ogni caso, va sottolineato che l’accordo transattivo con la parte che ha subito danno per effetto della condotta negligente e contraria ai principi deontologici del notaio, è caratterizzato, per sua natura, dall’esistenza di reciproche concessioni: la stipulazione di tale accordo, pertanto, non integra quella riparazione integrale del danno prodotto dalla condotta disciplinarmente rilevante che l’art. 144, comma 1, della legge notarile richiede affinché sia riconosciuta la sussistenza della attenuante tipica, non essendo sufficiente, a tal fine, una mera parziale elisione o un ristoro attenuato degli effetti della fattispecie sanzionata.
Quanto poi all’altra incolpazione della quale il notaio è stato ritenuto responsabile, occorre rilevare che la regolarizzazione della fattura non può essere apprezzata come attenuante, posto che nella specie si è di fronte ad un illecito disciplinare nel quale l’attivo ravvedimento del notaio a seguito delle rimostranze del cliente è già citato considerato nell’ambito della condotta di tentativo contestata al notaio.
Quanto, poi, alla concessione delle attenuanti generiche, essa è rimessa alla discrezionale valutazione del giudice del merito, il quale può concederle o negarle, dando conto della scelta con adeguata motivazione; a tal fine, l’uso del potere discrezionale è sufficientemente giustificato con l’indicazione delle ragioni ostative alla relativa concessione (Cass., Sez. VI-3, 27 maggio 2011, n. 11790; Cass., Sez. II, 30 dicembre 2015, n. 26146).
Nella specie la Corte d’appello, nel rigettare il reclamo avverso la decisione della CO.RE.DI., ha negato le attenuanti generiche sulla base, tra l’altro, della gravità del danno occorso alla cliente per effetto della condotta di cui al primo addebito e dei precedenti disciplinari dell’incolpato (già altre volte sanzionato). Tanto basta a ritenere assolto l’obbligo motivazionale incombente sulla Corte territoriale.
4. – Il ricorso è rigettato. Tale esito rende inutile l’esame della questione preliminare circa l’integrità del contraddittorio nel presente giudizio di cassazione, derivante dal fatto che il ricorso non è stato notificato al Procuratore generale rappresentante dell’ufficio del pubblico ministero presso la Corte d’appello.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
5. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal Consiglio notarile controricorrente, che liquida in complessivi euro 5.200, di cui euro 5.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai. sensi dell’art. 13 comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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