Tre priorità per la giustizia amministrativa
Un articolo di Romano Prodi pubblicato nell’estate 2013 ha riaperto il dibattito sulla giustizia amministrativa. Dopo vari interventi il tema ha assunto un rilievo per essere stato posto al centro del programma del nuovo Governo. La discussione sollecita alcune precisazioni.
In primo luogo la giustizia amministrativa ha come ragione la garanzia dei cittadini nei confronti della Pa. La sua importanza cresce perché maggiore è il rilievo che assume l’amministrazione nei rapporti civili, sociali ed economici.
Il nostro Paese, se vuole competere, deve disporre di una giustizia amministrativa incisiva e autorevole. Se fosse debole lascerebbe senza tutela il cittadino nei rapporti con un’amministrazione che spesso dispone degli interessi del cittadino prescindendo dal suo consenso. Una giustizia amministrativa debole non aiuterebbe l’amministrazione del Paese, che presenta deficit di legalità gravi, endemici, anche nelle province del Nord, dove è sempre più diffusa la convinzione che la ragion politica venga prima della legge. Nei Paesi dove la giustizia amministrativa è più autorevole, anche l’amministrazione ne risente positivamente gli effetti, in termini di linearità, trasparenza, attenzione per il cittadino e in termini di efficienza.
Una giustizia amministrativa autorevole ha come corollario una tutela cautelare piena e generale. Nei rapporti con un’amministrazione che può disporre degli interessi del cittadino, la tutela cautelare è essenziale: altrimenti qualsiasi sentenza che riconoscesse le ragioni del cittadino arriverebbe tardi. Ogni limitazione alla tutela cautelare nei confronti dell’amministrazione finirebbe col violare un diritto fondamentale alla tutela giurisdizionale che trova riconoscimento non solo nell’art.24 della Costituzione, ma anche nella Carta dei diritti Ue e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La giustizia amministrativa non va identificata in modo necessario con l’attuale assetto. Una tradizione secolare ha determinato in Italia un assetto “bipolare”, di cui è componente la giurisdizione amministrativa, costituita dai Tar e dal Consiglio di Stato.
Questo assetto non rappresenta un elemento infungibile e insuperabile in assoluto; anzi, è opportuno che si apra un dibattito. I magistrati civili e (fatto ancor più grave) i magistrati penali spesso non hanno una conoscenza adeguata del diritto amministrativo e l’ampiezza e i mutamenti del diritto amministrativo sono tali che solo un giudice che lo pratichi professionalmente può giudicare bene le relative vertenze. Le vertenze con l’amministrazione, nei casi in cui i profili di diritto amministrativo siano caratterizzanti, devono essere affidate a un giudice esperto di diritto amministrativo: ciò non significa, però, che debba trattarsi di un giudice “speciale”; potrebbe trattarsi anche di un giudice “specializzato”. Non è indispensabile, in linea di principio, che il giudice amministrativo faccia capo a una giurisdizione distinta e separata da quella ordinaria, come si verifica oggi.
La soluzione attuale comporta costi elevati sia in termini di tempi e di risorse (basti pensare alla frequenza dei regolamenti o dei ricorsi alla Cassazione per motivi di giurisdizione e all’incidenza delle questioni di giurisdizione, nelle vertenze con l’amministrazione), sia in termini di intellegibilità della giustizia per il cittadino (basti pensare alla distinzione fra diritti soggettivi e interessi legittimi). Mi rendo conto che parlare oggi di una trasformazione del giudice amministrativo in giudice specializzato può suscitare perplessità: la crisi profonda della giurisdizione ordinaria, testimoniata dal peso delle correnti nel suo organo di autogoverno e accentuata dalla deriva dell’autoreferenzialità e dall’inadeguatezza dei controlli interni, rappresenta oggi l’argomento più efficace a favore della conservazione della giurisdizione amministrativa. Una riflessione serena su questi temi, però, è possibile e doverosa per il progresso del nostro Paese.
In terzo luogo è indispensabile che la giustizia amministrativa, in tutte le sue componenti giurisdizionali, sia effettivamente “indipendente”, a maggior ragione se si tratta di un potere connotato in termini politici. Questa risultato è stato raggiunto solo parzialmente fino ad oggi, anche per alcune smagliature nella giurisprudenza costituzionale. A prescindere dall’assetto che potrà ricevere la giustizia amministrativa, è indispensabile che cessino subito i rapporti di frequentazione e di collaborazione fra i componenti dell’organo giurisdizionale chiamato a decidere le vertenze con l’amministrazione e gli apparati del Governo. I giudici amministrativi devono esercitare la loro funzione giurisdizionale in modo pieno ed esclusivo, senza che possano ammettersi deroghe o aspettative di sorta: l’assegnazione ad uffici, pur prestigiosi, di collaborazione con Ministri o col Governo nuoce all’immagine della loro indipendenza e anche quando l’assegnazione si sia conclusa, l’immagine di indipendenza rimane compromessa. Inoltre, con la carenza di risorse che colpisce oggi anche la giurisdizione amministrativa, qualsiasi distacco di un magistrato dalla funzione giurisdizionale è in contraddizione con l’interesse prioritario dei cittadini a un servizio “giustizia” celere ed efficace.
Il dibattito sull’assetto bipolare della giustizia amministrativa è aperto. L’esigenza di garantire in modo pieno l’indipendenza dei giudici amministrativi e dei loro organi giudicanti non può però attendere la fine di questo dibattito: esige un intervento immediato. Questo intervento potrebbe essere attuato anche senza la necessità di modifiche legislative, e semplicemente con l’adozione di prassi virtuose. È sufficiente che gli organi di Governo decidano, senza eccezioni, di non scegliere più consiglieri di Stato (o, come accade molto più raramente, magistrati dei Tar) fra i loro collaboratori, o come componenti di organi amministrativi, ancorché importanti e delicati.