Sulla natura dell’attività svolta dal Consiglio Nazionale Forense e sulla legittimità della …
Il Consiglio nazionale forense è previsto e disciplinato dagli articoli 52 e seguenti del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, ed è stato oggetto di una nuova regolamentazione ad opera della legge 31 dicembre 2012, n. 247 (Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense). L’analisi complessiva della predetta disciplina e del contesto normativo in cui si inserisce induce a ritenere che il CNF, a seconda degli ambiti in cui interviene, può svolgere “attività amministrativa”, “giurisdizionale” e “di impresa”. A tale ultimo proposito, la giurisprudenza europea e nazionale ha affermato che la nozione europea di impresa include anche l’esercente di una professione intellettuale, con la conseguenza che il relativo Ordine professionale può essere qualificato alla stregua di un’associazione di imprese ai sensi dell’art. 101 TFUE.
Nella fattispecie concreta il CNF ha adottato atti che, per il loro contenuto, devono essere qualificati come “decisioni” di imprese in quanto idonee ad incidere sul comportamento economico dell’attività professionale svolta dagli avvocati. La negazione di un diritto alla diffusione di una peculiare forma di pubblicità rappresenta, infatti, una condotta in grado di limitare l’ambito di mercato da parte di chi esercita la professione di avvocato. Ne consegue che, in applicazione dell’orientamento giurisprudenziale sopra riportato, deve ritenere che, nella specie, la peculiare attività svolta dal CNF lo qualifica non come ente pubblico nell’esercizio di funzioni amministrative o sostanzialmente giurisdizionali ma come “associazione di imprese”.
L’AGCM ha, pertanto, correttamente applicato il procedimento contemplato dagli artt. 101 e ss. TFUE e 2 della legge n. 287 del 1990 e non quello previsto dall’art. 21-bis della legge n. 287 del 1990.
L’art. 3, comma 5, del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo) prevede che «gli ordinamenti professionali devono garantire che l’esercizio dell’attività risponda senza eccezioni ai principi di libera concorrenza, alla presenza diffusa dei professionisti su tutto il territorio nazionale, alla differenziazione e pluralità di offerta che garantisca l’effettiva possibilità di scelta degli utenti nell’ambito della più ampia informazione relativamente ai servizi offerti», aggiungendosi che occorre, tra l’altro, assicurare che «la pubblicità informativa, con ogni mezzo, avente ad oggetto l’attività professionale, le specializzazioni ed i titoli professionali posseduti, la struttura dello studio ed i compensi delle prestazioni» sia libera e che le informazioni sia trasparenti, veritiere, corrette, non equivoche, nè ingannevoli o denigratorie.
Nel caso in esame l’attività oggetto di contestazione da parte del CNF si risolve in una modalità di pubblicità protetta dalla norma riportata e non in contrasto con i limiti da essa posta. Il sistema «Amica Card», come correttamente rilevato dal primo giudice, è finalizzato a mettere a disposizione dell’avvocato, in cambio di un corrispettivo, uno spazio on line nel quale questi può presentare l’attività professionale svolta e proporre uno sconto al cliente che decide di avvalersi dei suoi servizi. La circostanza che l’accesso sia assicurato a tutti gli utenti ovvero, come ritenuto dall’appellante, solo agli affiliati al circuito, non è di per sè, in assenza della dimostrazione di elementi qualificanti incompatibili con la deontologia e con il decoro della professione, idonea ad assegnare valenza illecita all’operazione. Allo stesso modo non rilevante, nella prospettiva in esame, è il rilievo difensivo relativo alla mancata indicazione dello sconto e dell’attività svolta. Nè risulta che «Amica Card» svolga un’attività di intermediazione dai connotati diversi da quelli sopra esposti.
In definitiva, si è in presenza di una nuova modalità di pubblicità dell’attività professionale che, per quanto si discosti, in alcune sue componenti, dai modelli tradizionali, presenta i caratteri di una attività lecita espressione dei principi di libera concorrenza.