Rifiuto ricovero e omissioni di atti di ufficio
Rifiuto ricovero e omissioni di atti di ufficio
Corte di Cassazione VI sezione Penale
Sentenza 30 settembre – 5 novembre 2014, n. 45844
Presidente Agrò – Relatore De Amicis
La Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato un caso relativo all’omissione di un ricovero per un caso di urgenza.
La Corte d’Appello di Reggio Calabria confermava la decisione presa dal giudice di primo grado emettendo una sentenza di condanna nei confronti dell’imputato perchè ritenuto colpevole del reato di cui all’articolo 328, comma 1, del Codice Penale, poichè nella sua qualità di medico di turno presso il reparto di pronto soccorso degli Ospedali riuniti di Reggio Calabria, aveva indebitamente rifiutato di visitare un paziente, ivi giunto in gravi condizioni a seguito di un sinistro stradale, e di redigere conseguentemente il verbale di consulenza chirurgica prodromico al suo ricovero presso il reparto di chirurgia d’urgenza.
La Corte di Piazza Cavour ha considerato “il ricorso è inammissibile, in quanto sostanzialmente orientato a riprodurre una serie di argomenti – già prospettati in sede di appello e nel giudizio di primo grado – che risultano, tuttavia, ampiamente vagliati e correttamente disattesi dai Giudici di merito, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, incentrandola sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, e in tal modo richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano i passaggi motivazionali della decisione impugnata.
Il ricorso, dunque, non è volto a censurare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d’accusa“.
Inoltre, continuano gli ermellini, “la Corte territoriale, sulla base di quanto sopra esposto in narrativa, ha proceduto ad un vaglio critico di tutte le deduzioni ed obiezioni mosse dalla difesa, pervenendo alla decisione impugnata attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali“.
Si legge nella sentenza in commento, “la Corte d’appello ha coerentemente concluso il suo ragionamento, ponendo in evidenza, per un verso, che la necessità di ricoverare il paziente in chirurgia d’urgenza costituiva un dato univocamente asseverato da tutti i medici che ebbero modo di visitare la persona offesa, tranne dall’imputato, che rifiutò di visitarlo, e, per altro verso, che la situazione d’urgenza che rendeva necessario il trasporto del paziente al pronto soccorso per poterlo poi avviare al reparto di chirurgia al fine di verificare se vi fossero lesioni interne causate dal grave incidente stradale di cui era rimasto vittima, si era verificata ex novo al momento della permanenza dello stesso presso il presidio ospedaliero di (omissis) , ed era insorta durante o subito dopo l’espletamento della TAC cerebrale, tanto da determinare il dr. (omissis), primo ad accorgersi del malore, ad informare i parenti della necessità di condurlo al pronto soccorso per un vero e proprio ricovero“.
In conclusione, la Corte del Palazzaccio osserva che “è agevole rilevare come l’impugnata sentenza abbia fatto buon governo del quadro di principii, più volte stabiliti da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 27840 del 09/06/2009, dep. 07/07/2009, Rv. 244416), secondo cui, in tema di rifiuto di atti di ufficio, il carattere di urgenza dell’atto rifiutato ben può essere apprezzato tenendo conto del tenore e della provenienza delle richieste formulate al soggetto attivo.
Il rifiuto di un atto d’ufficio, invero, si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un’urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assuma, per l’appunto, la valenza del consapevole rifiuto dell’atto medesimo (Sez. 6, n. 4995 del 07/01/2010, dep. 08/02/2010, Rv. 246081).
In relazione alla vicenda storico-fattuale oggetto del tema d’accusa deve pertanto ribadirsi la linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte (cfr. Sez. 6, n. 46512 del 15/10/2009, dep. 03/12/2009, Rv. 245333; Sez. 6, n. 9493 del 02/05/1995, dep. 08/09/1995, Rv. 202276), secondo cui integra l’ipotesi delittuosa contemplata dall’art. 328, comma primo, cod. pen., il rifiuto di procedere al ricovero ospedaliero di un malato, opposto dal medico responsabile del reparto, esclusivamente se il ricovero doveva ritenersi indifferibile per la sussistenza di un effettivo pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona.
Ne discende che non tutte le omissioni di ricovero ospedaliero da parte del medico di turno integrano la su indicata fattispecie incriminatrice, ma soltanto quelle legate ad una situazione di indifferibilità, in cui l’urgenza del ricovero sia effettiva e reale, per il pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona, pericolo da valutare in base alle indicazioni fornite dall’esperienza medica, tenendo conto, ovviamente, delle peculiari caratteristiche e delle specificità di ogni singolo caso concreto.
Sotto altro, ma connesso profilo, come si è già avuto modo di rilevare in questa Sede (Sez. 6, n. 3956 del 12/03/1985, dep. 24/04/1985, Rv. 168874), il potere demandato al sanitario di decidere sulla necessità del ricovero e sulla destinazione del paziente non può prescindere dal dovere di formulare una diagnosi o, comunque, di accertare le reali condizioni di chi, lamentando un grave stato di sofferenza, solleciti l’intervento del servizio di pronto soccorso; ne consegue che il rifiuto di effettuare la visita medica, nelle predette circostanze, non integra una valutazione discrezionale del medico, ma si risolve in un indebito comportamento omissivo.
Di tali principii i Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione, laddove hanno puntualmente evidenziato il manifestarsi di una oggettiva situazione di necessità ed urgenza, chiaramente rappresentativa di uno stato di emergenza sostanziale, palesato dai sopravvenuti, gravi ed improvvisi dolori addominali accusati da un paziente con diagnosi di politrauma da incidente stradale: una situazione, dunque, foriera di possibili conseguenze negative per la salute del paziente, cui non poteva opporsi alcun comportamento dilatorio, né un rifiuto avanzato sulla base del generico e formalistico richiamo a disposizioni regolamentari o a protocolli operativi – la cui applicabilità nel caso di specie, peraltro, non risulta esser stata neanche provata – secondo cui l’Ospedale che per primo prende in carico il paziente deve seguirlo per tutta la durata della degenza e deve coordinare tutti gli accertamenti del caso.
La situazione venutasi a creare nel caso in esame, infatti, non solo era connotata da un pericolo effettivo di grave danno per la salute del paziente, ma era diversa e sopravvenuta rispetto alle esigenze che avevano inizialmente determinato il suo trasferimento da un Ospedale, privo dei mezzi tecnici necessari, ad un altro più attrezzato, dove si era in seguito manifestato con assoluta evidenza un nuovo stato patologico, determinando in tal modo la necessità di atti indifferibili a tutela della salute, che imponevano un intervento immediato da parte del medico di turno del pronto soccorso, tanto più ove si consideri che egli era stato pienamente messo a conoscenza della situazione in cui il paziente versava“.
Leggi il testo della sentenza
Articolo 328 Codice Penale
Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione
Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.
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