Rifiuto di atti d’ufficio, assolto l’ex sindaco di Reggio Calabria
Rifiuto di atti d’ufficio, assolto l’ex sindaco di Reggio Calabria
Corte di Cassazione VI Sezione Penale
Sentenza 9 aprile – 9 dicembre 2014, n. 51149
Presidente Milo – Relatore Paoloni
La Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta ha esaminato un caso interessante relativo al reato di cui all’articolo 328 del codice penale in cui venivano tratti a giudizio, davanti al Tribunale di Reggio Calabria, con altri coimputati, l’ex sindaco del Comune di Reggio Calabria e il dirigente dell’Unità Operativa Coordinamento controllo strategico dello stesso Comune per le accuse di concorso in omissione di atti di ufficio nonché della contravvenzione di cui all’art. 51 del D.Lgs. 5.2.1997 n. 22 (attuazione di direttive CEE sui rifiuti pericolosi).
I ricorsi presentati innanzia alla Corte del Palazzaccio, secondo gli ermellini, meritano accoglimento per la palese fondatezza dei motivi di censura segnatamente in punto di dolo del contestato reato di omissione di atti di ufficio ex art. 328 co. 1 c.p., motivi cui non può far velo l’intervenuta prescrizione del reato.
Si legge nelle considerazioni in diritto della sentenza “Se la nozione di “rifiuto indebito” di un determinato atto pubblico si sostanzia nella espressione di volontà del pubblico ufficiale agente di non compiere l’atto senza che tale determinazione sia sorretta da un giustificato motivo, sì che il rifiuto presuppone in linea di principio una specifica richiesta (di fonte pubblica o privata) di quel particolare atto, deve riconoscersi che il percorso decisorio delle due conformi sentenze di merito sembra confinare nell’ombra l’analisi della efficienza causale dei supposti rifiuti del sindaco e del dirigente comunale rispetto alla soluzione urgente del problema del percolato della discarica“
I giudici osservano che “le sentenze di primo e di secondo grado danno giustamente rilievo al tempo decorso dall’emergere della contingente urgenza del problema del percolato (gennaio 2005), quale prova o traccia della componente costitutiva della fattispecie rappresentata dal ritardo, ma lasciano in secondo piano la disamina alternativa degli interventi comunque attuati, nelle rispettive qualità, dal sindaco e dal dirigente comunale“.
Continuano i giudici “vero è che, come anche affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, le sollecitazioni o richieste di intervento, che costituiscono – come detto – presupposto della condotta di rifiuto contemplata dall’art. 328 co. 1 c.p., possono concretizzarsi nella stessa immanente “urgenza” di intervento sottesa alla situazione di pericolo (nel caso di specie per l’igiene e la sanità pubblici) di cui si impone la rimozione per mezzo di uno specifico atto o intervento pubblico (cfr.: Sez. 6, n. 35526 del 6.7.2011, Romano, Rv. 250876; Sez. 6, n. 19759 del 5.4.2013, De Rosa, Rv. 255167).
Ciò non esclude, tuttavia, che la indicata nozione stessa di rifiuto penalmente rilevante ben possa essere elisa o contraddetta, allorché l’atto di ufficio o di servizio, pur diverso da quello preteso o di per sé imposto dalla situazione di pericolo (per le espresse ragioni contemplate dall’art. 328 co. 1 c.p.), produca utili effetti pratici ai fini della rimozione del pericolo e, quindi, della tutela del pubblico interesse sotteso alla ipotizzabile situazione di pericolo. Effetti equiparabili a quelli derivanti dall’atto oggetto delle richieste o sollecitazioni giunte al pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio.
Di tal che in un simile caso, pur tenendo ferma la storicità del rifiuto di un determinato atto, il contegno alternativo (commissivo) tenuto dall’agente rende il suo contegno omissivo (rifiuto) privo del necessario connotato di ingiustizia che solo può farlo qualificare come “indebito” per gli effetti di cui all’art. 328 co. 1 c.p., impregiudicati gli eventuali connessi profili (e i relativi limiti del sindacato giurisdizionale) di discrezionalità tecnica e amministrativa propri della peculiarità dell’atto che si assume “dovuto”.“
Infine concludono affermando che “è superfluo aggiungere che la norma incriminatrice non sanziona penalmente la generica inerzia o la scarsa sensibilità istituzionale del pubblico ufficiale, ma un rifiuto consapevole di atti da adottarsi senza ritardo per la tutela di beni o interessi pubblici. Con la conseguenza che l’elemento soggettivo del reato di rifiuto di un atto di ufficio urgente deve sussistere al momento della condotta tipica, cioè al momento in cui si manifesta il contegno omissivo (dolo c.d. concomitante), perché per la configurabilità del reato è necessario che il pubblico ufficiale agente abbia consapevolezza del suo contegno omissivo, dovendo rappresentarsi e volere la realizzazione di un evento contra ius. Con l’effetto che tale requisito di illiceità speciale circoscrive la rilevanza penale della condotta omissiva alle sole forme di diniego di adempimento che non rinvengano alcuna logica giustificazione in base alle norme disciplinanti il correlativo dovere di azione“.
Per questi motivi, “traendo le conclusioni della precedente disamina, la palese insussistenza nei comportamenti dei due ricorrenti del dolo del reato loro ascritto impone una decisione di legittimità liberatoria e l’annullamento senza rinvio della impugnata sentenza di appello con la formula del fatto non costituente reato“.
Leggi il testo della sentenza
Articolo 328 Codice Penale
Rifiuto di atti d’ufficio. Omissione
Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che indebitamente rifiuta un atto del suo ufficio che, per ragioni di giustizia o di sicurezza pubblica, o di ordine pubblico o di igiene e sanità, deve essere compiuto senza ritardo, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Fuori dei casi previsti dal primo comma, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che entro trenta giorni dalla richiesta di chi vi abbia interesse non compie l’atto del suo ufficio e non risponde per esporre le ragioni del ritardo, è punito con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino a milletrentadue euro. Tale richiesta deve essere redatta in forma scritta ed il termine di trenta giorni decorre dalla ricezione della richiesta stessa.
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