Rifiuto alcol test, cosa dicono le Sezioni Unite
Rifiuto alcol test, cosa dicono le Sezioni Unite
Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali
Sentenza 29 ottobre – 24 novembre 2015, n. 46624
(Articolo a cura dell’avv. Venusia Catania)
Le Sezioni Unite della Cassazione, con la Sentenza n. 46624 del 24/11/2015 hanno statuito che l’automobilista che si rifiuta di effettuare l’alcoltest non può essere considerato ubriaco e, quindi, non possono applicarsi le aggravanti previste dal Codice della Strada per il caso di guida in stato di ebbrezza.
Gli Ermellini hanno accolto il ricorso presentato da un automobilista, alla guida di un’autovettura appartenente a persona estranea al reato, che si era rifiutato di sottoporsi all’alcoltest.
Per gli automobilisti sorpresi a guidare in stato di ebbrezza il Codice della Strada prevede due aggravanti:
la prima consiste in un aumento di pena che prevede il raddoppio del periodo di sospensione della patente, per chi abbia guidato un mezzo di proprietà altrui;
la seconda comporta, invece, il raddoppio di tutte le sanzioni previste per il tipo di ebbrezza accertato, per chi abbia causato un incidente.
Secondo la Suprema Corte di Cassazione, le circostanze aggravanti di cui sopra non si applicano a chi ha rifiutato di sottoporsi all’etilometro, subendo solamente la pena massima prevista per il reato “base”.
Con tale affermazione la Cassazione ha così dato ragione a chi sosteneva che queste due aggravanti non si potessero applicare a colui che avesse rifiutato l’alcoltest, motivando che: “La circostanza aggravante di aver provocato un incidente stradale non è configurabile rispetto al reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento per la verifica dello stato di ebbrezza”.
Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 29 ottobre – 24 novembre 2015,
n. 46624
Presidente Agrò – Relatore Piccialli
Ritenuto in fatto
- Il Tribunale di Treviso, con sentenza in data 17 ottobre 2014, resa ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., applicava la pena concordata dalle parti nei confronti di B.L. , chiamato a rispondere del reato di rifiuto di sottoposizione ad esame alcolemico di cui all’art. 186, comma 7, d.lgs 30 aprile 1992, n. 285 (cod. strada), con l’aggravante ex comma 2-sexies dello stesso articolo, nella misura di sei mesi di arresto e 3.000 Euro di ammenda. Il giudicante sostituiva la pena con il lavoro di pubblica utilità ai sensi dell’art. 186, comma 9-bis, cod. strada, disponendo la sospensione della patente di guida per 4 anni. Con riferimento a tale ultimo profilo il Tribunale rilevava che, in considerazione dell’esistenza di cinque precedenti condanne per guida in stato di ebbrezza, la durata della sospensione doveva essere determinata nel massimo (anni 2) e che andava disposto il raddoppio della sanzione così determinata, appartenendo l’autovettura a persona estranea al reato.
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, che, nel chiederne l’annullamento, ha dedotto con un unico motivo l’erronea applicazione delle legge penale con riferimento alla disposizione di cui al comma 7 dell’art. 186, cod. strada.
Il ricorrente osserva che il giudice ha erroneamente statuito il raddoppio della durata della sospensione della patente di guida, previsto nel caso in cui il veicolo appartenga ad un terzo, come nel caso in esame.
A fondamento del ricorso si argomenta che il richiamo operato dall’art. 186, comma 7 al precedente comma 2, lett. c), va interpretato come riferito alla sola misura delle sanzioni penali, ritenendosi la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida sottoposta ad un regime autonomo rispetto a quello previsto dal precedente comma 2.
3. Il Procuratore generale aderisce, con le conclusioni scritte, alla tesi del ricorrente, specificando che la determinazione della sanzione accessoria amministrativa della sospensione della patente di guida è sottoposta ad un regime autonomo in considerazione della diversa misura del minimo edittale di sei mesi in caso di rifiuto all’accertamento, rispetto al periodo minimo di un anno previsto per la guida in stato di ebbrezza, di cui all’ipotesi prevista dall’art. 186, comma 2, cod. strada. La clausola di esclusione (“salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione”), legata all’appartenenza a terzi del veicolo, va stimata, pertanto, come collegata direttamente alla sola sanzione accessoria della confisca e non anche alla sospensione della patente di guida, per cui non è previsto il raddoppio della durata di tale sanzione accessoria.
4. La Quarta Sezione penale, assegnataria del ricorso, con ordinanza in data 10 aprile 2015, depositata il 24 aprile, ne ha disposto la rimessione alle Sezioni Unite, sulla base di un ravvisato contrasto di giurisprudenza nel caso in cui il veicolo appartenga ad un terzo.
4.1. Secondo un primo orientamento, richiamato dal ricorrente e dal Procuratore generale in sede, nel caso di rifiuto a sottoporsi all’esame alcolemico previsto dall’art. 186, comma 7, cod. strada, il rinvio operato dalla norma all’art. 186, comma 2, lett. c), è limitato al trattamento sanzionatorio ivi previsto per la più grave delle fattispecie di guida in stato di ebbrezza, mentre, in relazione alle sanzioni amministrative accessorie, il legislatore, nel corpo del citato art. 186, comma 7, ha espressamente disciplinato sia la sospensione della patente di guida, con autonoma cornice edittale (tra un minimo di sei mesi ed un massimo di due anni), sia la confisca, rinviando, solo limitatamente a quest’ultima, alle “stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione”.
4.2 Secondo l’opposta linea interpretativa, la durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida trova una sua autonoma regolamentazione quanto alla durata (da sei mesi a due anni: cfr. art. 186, comma 7, richiamato dall’art. 187, comma 8), ma, in forza del rinvio al trattamento sanzionatorio dell’art. 186, comma 2, lett. c), deve ritenersi operante il raddoppio di tale durata nel caso in cui il veicolo appartenga a persona estranea al reato e non possa procedersi alla confisca.
Tale conclusione è fondata sul riconoscimento della natura “formale” (o “dinamica”) del rinvio operato dal comma 7, secondo periodo – dopo la previsione delle sanzioni accessorie della sospensione della patente e della confisca del veicolo – “alle modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c) del medesimo art. 186”, con la conseguente applicabilità alla fattispecie del rifiuto della disciplina sanzionatoria prevista dalla più grave ipotesi di guida in stato di ebbrezza, sia con riferimento alla “pena principale”, sia con riguardo alle “modalità e procedure” afferenti alla sospensione della patente di guida ed alla confisca del veicolo.
5. Con decreto in data 20 febbraio 2015 il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite penali, fissando per la trattazione l’odierna udienza in camera di consiglio.
Considerato in diritto
- La questione della quale sono investite le Sezioni Unite è enunciabile nei seguenti termini: “Se, nel caso di rifiuto a sottoporsi all’esame alcolemico previsto dall’art. 186, comma 7, del codice della strada, il rinvio operato dalla norma all’art. 186, comma 2, lettera c), è limitato al trattamento sanzionatorio ivi previsto per la più grave delle fattispecie di guida in stato di ebbrezza o sia esteso anche alla previsione del raddoppio della durata della sospensione della patente di guida qualora il veicolo appartenga a persona estranea al reato“.
2. Sul tema, un primo orientamento giurisprudenziale è nel senso che il rinvio operato dall’art. 186, comma 7, cod. strada, all’art. 186, comma 2, lett. c), dello stesso codice, è limitato al trattamento sanzionatorio ivi previsto per la più grave delle fattispecie di guida in stato di ebbrezza, mentre, in relazione alle sanzioni amministrative accessorie, il legislatore, nel corpo del citato articolo 186, comma 7, ha espressamente disciplinato la sospensione della patente di guida, con autonoma cornice edittale (tra un minimo di sei mesi ed un massimo di due anni), e la confisca, rinviando limitatamente a quest’ultima ad altra disposizione di legge solo con esclusivo riferimento alle “stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione”.
In altri termini, secondo questa tesi, tale rinvio, contenuto nel secondo periodo del comma 7 dell’art. 186, dopo le previsioni relative alla sospensione della patente di guida ed alla confisca del veicolo, dovrebbe intendersi limitato alle sole modalità e procedure che regolano il sistema della confisca del veicolo, non estendendosi alla disciplina del raddoppio della durata della sospensione della patente di guida qualora il veicolo appartenga a persona estranea al reato. Conseguentemente, la durata della sospensione della patente di guida, quale sanzione amministrativa che accede al reato di rifiuto, compresa, ai sensi dell’art. 186, comma 7, secondo periodo, tra il minimo di sei mesi ed il massimo di due anni, non dovrebbe essere raddoppiata nel caso in cui il veicolo appartenga a persona estranea al reato (Sez. 4, n. 15184 del 24/03/2015, Vaglia, Rv. 263277; Sez. 6, n. 36396 del 10/07/2014, Farinelli, Rv. 263254).
A tale orientamento se ne oppone uno di segno diametralmente contrario, in forza del quale il rinvio al trattamento sanzionatorio dell’art. 186, comma 2, lett. c), contenuto nell’art. 186, comma 7, legittima la conclusione dell’applicabilità del raddoppio della durata della pena accessoria della sospensione della patente di guida, nel caso in cui il veicolo appartenga a persona estranea al reato e non possa quindi procedersi alla confisca: ciò in ragione del fatto che tale rinvio sarebbe da qualificare come “formale” (o “dinamico”) e ciò importerebbe la conseguenza di dover individuare la disciplina applicabile per relationemavendo i riguardo a quella attualmente vigente contenuta nell’art. 186, comma 2, lett. c), che comprende l’espressa previsione del raddoppio della durata della sospensione della patente di guida, qualora il veicolo appartenga a persona estranea al reato (Sez. 4, n. 46390 del 16/10/2014, Bianchi, Rv. 263275; Sez. 4, n. 14169 del 16/10/2014, dep. 2015, De Berardinis, n.m.).
3. In via preliminare è opportuno ricordare il quadro normativo di riferimento, costituito dagli artt. 186, commi 7 e comma 2, lett. c) e dall’art. 187, comma 8, cod. strada.
L’art. 186, comma 7, così recita: “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, in caso di rifiuto dell’accertamento di cui ai commi 3, 4, o 5, il conducente è punito con le pene di cui al comma 2, lettera c). La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione”.
L’art. 187, comma. 8, dispone che, in caso di rifiuto, “il conducente è soggetto alle sanzioni di cui all’art. 186, comma 7”, rinviando quindi alla corrispondente fattispecie contravvenzionale di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti previsti agli effetti della verifica dello stato di ubriachezza per colui che si ponga alla guida di veicolo.
Entrambe tali disposizioni fanno rinvio, pertanto, “alle pene” di cui all’art. 186, comma 2, lett. c), che prevede, quanto alla sanzione principale, “l’ammenda da Euro 1.500 a Euro 6.000 e l’arresto da sei mesi ad un anno”, e, relativamente a quelle accessorie, che all’accertamento del reato consegue in ogni caso la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni; sanzione, quest’ultima, la cui durata è raddoppiata se il veicolo appartiene a persona estranea al reato. La norma, poi, stabilisce la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato, salvo che lo stesso appartenga a persona estranea al reato.
4. Tanto posto, vanno esaminate in dettaglio le decisioni più significative a supporto dei due distinti orientamenti che hanno originato il contrasto.
4.1. In una decisione particolarmente articolata, conforme alla prima linea interpretativa (Sez. 4, n. 15184 del 24/03/2015, Vaglia, Rv. 263277), si sostiene che a tale conclusione conducono valutazioni interpretative di natura letterale, diacronica e sistematica.
Sotto il profilo letterale, la sentenza in esame sottolinea che il legislatore, con la norma incriminatrice in esame, ha proceduto alla diretta selezione della condotta penalmente rilevante, che è stata individuata nel rifiuto, opposto dal conducente del veicolo, all’invito a sottoporsi all’accertamento strumentale del tasso alcolemico rivolto dagli organi di polizia stradale. E, per quanto concerne le pene principali, da applicarsi alla fattispecie de qua, lo stesso legislatore ha effettuato il riferimento alle pene di cui al comma 2, lett. c), cioè a dire al trattamento sanzionatorio previsto per la più grave delle fattispecie di guida in stato di ebbrezza.
In relazione alle sanzioni amministrative accessorie, invece, secondo il Collegio decidente, il legislatore ha espressamente disciplinato la sospensione della patente di guida con autonoma cornice edittale (tra un minimo di sei mesi ed un massimo di due anni), e rinviato solo limitatamente alla confisca alle “stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione”.
Il riferimento, operato nel comma 7, secondo periodo, dell’art. 186, cod. strada – dopo la previsione delle sanzioni accessorie della sospensione della patente e della confisca del veicolo – alle “modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c)” del medesimo art. 186, risulterebbe così limitato, secondo l’interpretazione letterale del testo normativo, alla sola confisca, non essendo presenti, nella norma alla quale viene fatto il rinvio, “modalità e procedure” attinenti alla sospensione della patente di guida ed essendovi, al contrario, espresso riferimento a modalità e procedure che regolano la confisca del veicolo sia laddove è stabilito che “con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata applicata la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato”, sia laddove si dispone che “ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’articolo 224-ter”.
Sotto un profilo diacronico, la citata sentenza si è soffermata sulla tortuosa evoluzione legislativa cui si è assistito nel corso di questi ultimi anni con riferimento alla disciplina dell’art. 186 cod. strada ed ha rilevato l’infelice formulazione dell’art. 186, comma 7, derivante dalla genesi legislativa dei due testi normativi: il vigente testo dell’art. 186, comma 7, cod. strada, è stato infatti inserito dal decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, mentre in precedenza la condotta del rifiuto di sottoporsi all’accertamento strumentale del tasso alcolemico aveva rilevanza solo amministrativa, per effetto di modifiche introdotte al codice della strada dal decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 170.
La Corte rimarca, alla luce del dato letterale della norma relativa alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida – già presente nel previgente testo normativo e rimasta immutata – che il legislatore del 2008, nell’attribuire nuovamente rilevanza penale alla condotta di rifiuto, ha escluso che il regime sanzionatorio concernente le sanzioni amministrative accessorie possa mutuarsi dall’art. 186, comma 2, lett. c), cod. strada, essendo prevista un’autonoma disciplina (su cui non occorre qui soffermarsi) che rinvia a quest’ultima norma con esclusivo riferimento alle modalità e procedure stabilite a proposito della confisca.
4.2. In senso contrario a questo indirizzo si pone, oltre Sez. 4, n. 14169 del 16/10/2014, dep.2015, De Berardinis, n.m., anche Sez. 4, n. 46390 del 16/10/2014, Bianchi, Rv. 263275, in cui si è ritenuto che nel caso di rifiuto a sottoporsi agli accertamenti finalizzati alla verifica dello stato di alterazione derivante dall’uso di sostanze stupefacenti previsto dall’articolo 187, comma 8, cod. strada (e lo stesso vale per il rifiuto a sottoporsi all’esame alcolemico previsto dall’articolo 186, comma 7, dello stesso codice), la durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, pur trovando una sua autonoma regolamentazione quanto alla durata (da sei mesi a due anni: cfr. articolo 186, comma 7, richiamato dall’articolo 187, comma 8), in forza del rinvio al trattamento sanzionatorio dell’articolo 186, comma 2, lett. c) (contenuto nell’articolo 186, comma 7, richiamato, a sua volta, dall’art. 187, comma 8), deve ritenersi operante il raddoppio di tale durata nel caso in cui il veicolo appartenga a persona estranea al reato e non possa procedersi alla confisca.
La sentenza, in via preliminare, a sostegno della tesi interpretativa esposta procede ad un’analisi della lettera della norma incriminatrice e, con riferimento alla individuazione delle sanzioni amministrative accessorie da applicarsi alla fattispecie in esame, afferma che il legislatore ha adottato una tecnica mista: il comma 7 dell’art. 186 cod. strada, oltre a prevedere espressamente sia la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, con la relativa cornice edittale, sia la confisca del veicolo, contiene – nel secondo periodo – un ulteriore rinvio ad altra disposizione di legge, concludendosi con il riferimento alle “stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione”.
La Corte si interroga sulla natura del rinvio operato dalla norma, alla luce della distinzione tra rinvio recettizio (o statico) e rinvio formale (o dinamico) che ha trovato riconoscimento nella giurisprudenza di legittimità (v. Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, Cavalli, Rv. 255582): il primo recepisce per intero, senza che ne sia prodotto il testo, il contenuto di un altro articolo, vale a dire la stessa disposizione normativa (si tratta in sintesi, di una tecnica di stesura della norma, ispirata al principio di “economia redazionale”); il secondo, invece, fa riferimento alla norma in sé, cioè al principio contenuto nella formula verbale dell’articolo e ne segue, inevitabilmente la eventuale evoluzione, di talché, mutato il contenuto della norma di riferimento, muta inevitabilmente il significato della norma di rinvio.
Ciò premesso, la sentenza, dopo aver ripercorso il travagliato iter di formazione delle norme oggetto di interpretazione, ritiene che i rinvii, inseriti nel primo e nel secondo periodo del comma 7 dell’art. 186 cod. strada alle “pene di cui al comma 2, lett. c)” ed alle “modalità e procedure”, previste dal comma 2, lett. c) del medesimo art. 186, rientrino nell’ambito della nozione di rinvio formale (dinamico), atteso che il legislatore, nel reintrodurre la rilevanza penale della condotta di rifiuto, ha richiamato la disciplina sanzionatoria prevista dalla più grave ipotesi di guida in stato di ebbrezza, sia con riferimento alla “pena” principale, sia con riguardo alle “modalità e procedure” afferenti la sospensione della patente di guida ed alla confisca del veicolo.
Sul tema specifico della durata della sospensione della patente di guida, è stato così rilevato che la disposizione normativa richiamata non risulta “cristallizzata”, nel corpo della fattispecie di rifiuto di cui al comma 7, dell’art. 186 cod. strada, nei termini testuali vigenti al momento di entrata in vigore del d.lgs 285/1992, con il quale il legislatore ha inserito, nel secondo periodo del comma 7, il rinvio di cui si tratta; e che le modifiche che hanno interessato le “modalità” e “le procedure” previste dal comma 2, lett. c) dell’art. 186 cod. strada, intervenute successivamente, risultano, pertanto a loro volta oggetto del richiamo operato dalla norma di rinvio e concorrono a delinearne il portato normativo.
5. La soluzione indicata dalla sentenza Bianchi non può essere accolta, dovendosi privilegiare l’opposta soluzione ermeneutica.
Per un corretto approccio interpretativo, occorre prendere le mosse dalla lettura delle modifiche apportate all’originaria formulazione dell’art. 186, comma 7, cod. strada e del comma 2, lett. c), alla quale lo stesso rinvia.
È, innanzitutto, il caso di evidenziare la faticosa lettura delle norme richiamate a causa dei reiterati interventi del legislatore che hanno modificato la disciplina normativa della materia negli ultimi anni, in assenza di un coordinamento testuale degli articoli oggetto di modifiche ed integrazioni.
Già immediatamente dopo l’emanazione del d.l. 3 agosto 2007, n. 117 (Disposizioni urgenti del codice della strada per incrementare i livelli di sicurezza della circolazione stradale), convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, la dottrina stigmatizzava il ricorso alla decretazione d’urgenza, che in materia penale pone sempre delicatissimi problemi di diritto transitorio – soprattutto nella materia in esame, quando le norme vengono poi convertite con significative modifiche – apparendo tale strumento in realtà avulso dalla ricorrenza di quei casi straordinari di necessità e d’urgenza, richiesti dall’art. 77 Cost., e piuttosto riconducibile all’onda emotiva sollevata dalle notizie di cronaca di alcuni eclatanti incidenti stradali.
È pienamente condivisibile il dubbio, infatti, che l’estemporaneo inasprimento sanzionatorio connesso alle violazioni che comportino maggiore incidenza di rischio per la sicurezza stradale sia davvero idoneo ad avere una qualche efficacia preventiva, in mancanza di un disegno razionalizzatore del sistema.
La scarsa efficacia dissuasiva di questa politica sembra aver determinato il legislatore ad un mutamento di strategia, concretizzatosi con l’introduzione nell’art. 186, ad opera dell’art. 33 della legge n. 120 del 2010, del comma 9- bis, che attribuisce al giudice il potere di sostituire per non più di una volta la pena (sia detentiva che pecuniaria) applicata per le contravvenzioni di guida in stato di ebbrezza con quella del lavoro di pubblica utilità, salvo nel caso in cui il conducente abbia provocato un incidente.
Ai sensi del comma in esame l’effettivo svolgimento del lavoro sostitutivo non comporta la mera espiazione della pena, ma costituisce una vera e propria causa di estinzione del reato. Ed in tal senso al giudice viene imposto di fissare una “nuova udienza” proprio per dichiarare l’avvenuta estinzione del reato, riducendo obbligatoriamente della metà la sanzione della sospensione della patente di guida e revocando quella della confisca del veicolo, che deve essere restituita al suo proprietario.
6. Ebbene, limitando l’indagine alla modifiche di rilievo ai fini della soluzione del caso in esame, va rilevato che la fattispecie di cui all’art. 186, comma 7, cod. strada, è stata depenalizzata dal decreto-legge 3 agosto 2007, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 ottobre 2007, n. 160, che ha introdotto in luogo della contravvenzione previgente un illecito amministrativo punito con la sanzione pecuniaria (da Euro 2.500 a Euro 10.000; da Euro 3.000 ad Euro 12.000 se la violazione era commessa in occasione di un incidente stradale) e la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e del fermo amministrativo del veicolo, con la clausola di salvaguardia “salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione”, da intendersi chiaramente riferita all’inapplicabilità della seconda sanzione, qualora il veicolo non fosse appartenuto a persona coinvolta nell’illecito amministrativo.
Quanto al rifiuto di sottoporsi agli accertamenti per verificare l’eventuale stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti, il comma ottavo previsto dall’art. 5 del citato decreto-legge rinviava alla nuove previsioni del comma 7 dell’art. 186 e, dunque, anche il rifiuto di sottoporsi alle verifiche finalizzate all’accertamento dell’uso di sostanze stupefacenti integrava un mero illecito amministrativo.
L’art. 4 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, modificava nuovamente l’art. 186 (oltre agli artt. 187, 189 e 222) cod. strada e ripristinava, tra l’altro, la sanzione penale per il rifiuto opposto dal guidatore all’accertamento alcolimetrico, parificando nella risposta sanzionatoria il rifiuto dell’accertamento alla più grave violazione delle ipotesi contemplate nell’art. 186, comma 2, vale a dire quella contenuta nella lett. c) della disposizione. In quell’occasione il legislatore si limitava ad adattare il regime delle sanzioni accessorie alla nuova incriminazione della condotta di rifiuto, con la seguente previsione: “La condanna per il reato di cui al periodo che precede comporta la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per un periodo da sei mesi a due anni e della confisca del veicolo con le stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lettera c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione”.
Il citato decreto-legge rafforzava ulteriormente l’apparato sanzionatorio della più grave delle fattispecie di guida in stato di ebbrezza di cui alla lett. c) dell’art. 186, comma 2.
Infatti, l’art. 4, comma 1, lett. b), ha imposto che alla condanna o al patteggiamento della pena per tale fattispecie consegua obbligatoriamente la confisca del veicolo “con il quale è stato commesso il reato”.
La norma ha richiamato il disposto dell’art. 240, secondo comma, cod. pen., prevedendo altresì che la confisca dovesse essere disposta anche in caso di sospensione condizionale della pena. Precisazione invero superflua, atteso che già l’art. 164, terzo comma, cod. pen. esclude che questa causa di estinzione del reato possa influire sull’applicabilità della misura di sicurezza patrimoniale.
L’unico limite previsto alla confiscabilità del veicolo riguardava (e riguarda) l’ipotesi che quest’ultimo appartenesse a persona estranea al reato. In tal caso era previsto che lo stesso fosse comunque sottoposto al fermo amministrativo per il periodo di centottanta giorni, misura che poteva essere anticipata a fini cautelari per sessanta giorni su iniziativa dell’organo che aveva accertato la violazione attraverso un provvedimento di fermo provvisorio reclamabile dinanzi al tribunale.
La legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), con l’art. 3, comma 45, inseriva nell’articolo 186, comma 2, lett. c), dopo il secondo periodo, la previsione che la durata della sospensione della patente di guida è raddoppiata nella ipotesi che il veicolo appartenga a persona estranea al reato.
L’art. 33 della legge n. 120 del 2010 modificava anche la lett. c) del comma 2 dell’art. 186, con riferimento al trattamento sanzionatorio per la più grave delle tre contravvenzioni di guida in stato di ebbrezza, innalzando il minimo edittale da tre a sei mesi di arresto, lasciando però immutati il limite massimo di un anno e la misura dell’ammenda (da 1.500 a 6.000 Euro) introdotti dalla citata legge n. 125/2008.
È da sottolineare, altresì, che la nuova disposizione contenuta nell’art. 186-bis, inserita dall’art. 33, comma 2, della legge n. 120 del 2010 – con la quale il legislatore ha inteso accentuare la repressione nei confronti di alcune particolari categorie di conducenti ivi indicati – prevede il trattamento sanzionatorio della contravvenzione di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici – in gran parte mutuato dal comma 7 dell’art. 186 – in termini più rigorosi, essendo previsto l’aumento da un terzo alla metà delle pene previste dal comma 2, lett. c), dello stesso art. 186 e, soprattutto, con immediata rilevanza ai fini della presente decisione, stabilisce che, qualora non sia possibile confiscare il veicolo perché appartenente a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida (da sei mesi a due anni) è raddoppiata (art. 186-bis, comma 6).
Ben più rilevanti le modifiche apportate dalla legge n. 120 del 2010 in materia di confisca del veicolo con cui è stato commesso il reato, previsione introdotta nella lett. c) dell’art. 186 dal d.l. n. 92/2008.
Rimane fermo che la misura debba essere obbligatoriamente disposta in caso di condanna ovvero di patteggiamento per la contravvenzione di cui alla disposizione in commento, anche nel caso in cui venga concessa la sospensione condizionale della pena e salvo che il veicolo appartenga a persona estranea al reato (per tale dovendosi intendere chi non sia concorso nel reato e, rispetto al medesimo, sappia dimostrare l’insussistenza di profili di colpa dai quali sia derivata la possibilità di uso illecito del veicolo: cfr. in proposito, Sez. 4, n. 15898 del 18/12/2012, dep. 2013, Janusz, n.m.; Sez. 4, n. 16553 del 26/01/2011, Pasolini, n.m. sul punto; Sez. 4, n. 11230 del 14/01/2010, Pagano, n.m).
È stato, invece, eliminato l’inciso secondo cui la confisca doveva essere disposta ai sensi del secondo comma dell’art. 240 cod. pen., modifica imposta dall’intervento della Corte Costituzionale, che, con la sentenza 4 giugno 2010, n. 196, ha dichiarato l’illegittimità parziale della lett. c) del comma 2 dell’art. 186 proprio in riferimento al citato rinvio all’art. 240 cod. pen., affermando la violazione dell’art. 117 Cost. in riferimento all’art. 7 CEDU.
In particolare – per quanto riguarda la confisca del veicolo appartenente alla persona cui sia addebitato il reato previsto dall’art. 186, comma 2, cod. strada (guida in stato di ebbrezza) o quello previsto dall’art. 187 del medesimo codice (guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti) – l’art. 33, comma 1, della legge 120 del 2010 ha modificato l’art. 186, comma 2, lett. c) inserendo un ultimo periodo che contiene la previsione che, ai fini del sequestro (disciplinato della medesima norma che prevede anche la confisca del veicolo), si applichino le disposizioni di cui all’art. 224-ter cod. strada.
L’art. 224-ter, introdotto dalla medesima legge, qualifica espressamente la confisca come “sanzione amministrativa accessoria”. La stessa norma prevede che nelle ipotesi di reato cui consegue tale sanzione (e quindi non solo artt. 186 e 187 ma, per esempio, l’art. 9-ter in tema di divieto di gareggiare in velocità con veicoli a motore) l’agente o l’organo accertatore, procedano al sequestro ai sensi dell’art. 213 cod. strada.
7. Tanto premesso non convince nella sentenza Bianchi, innanzitutto, la premessa che richiama la distinzione tra rinvio recettizio (o statico) da quello formale (dinamico), arrivando alla conclusione che i rinvii, inseriti nel primo e nel secondo periodo del comma 7 dell’art. 186 cod. strada, alle pene di cui al comma 2, lett. c) ed “alle modalità e procedure”, previste dal comma 2, lett. c) del medesimo art. 186, rientrino nell’ambito del rinvio formale (dinamico), atteso che il legislatore, nel reintrodurre la rilevanza penale della condotta di rifiuto, ha inteso richiamare la disciplina sanzionatoria prevista dalla più grave ipotesi di guida in stato di ebbrezza, sia in riferimento alla pena principale sia con riguardo alle “modalità e procedure” afferenti alla sospensione della patente di guida ed alla confisca del veicolo.
Proprio il dato letterale dell’art. 186, comma 7, come introdotto dal decreto-legge 92/2008-convertito dalla legge 125/2008 – nella parte in cui tiene distinti i rinvii, inseriti nel primo e nel secondo periodo del comma 7 dell’art. 186, cod. strada, rispettivamente alle “pene di cui al comma 2, lettera c)” ed alle “modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c)” del medesimo art. 186 -non consente di ritenere che il regime sanzionatorio concernente la sanzione accessoria della sospensione della patente di guida possa mutuarsi dall’art. 186, comma 2, lett. c), cod. strada, essendo prevista un’autonoma disciplina che rinvia a quest’ultima norma con esclusivo riferimento “alle modalità e procedure” previste a proposito della confisca. In tal senso va precisato che il comma 7 esplicitamente prevede che con la sentenza di condanna ovvero di applicazione della pena su richiesta delle parti, anche se è stata concessa la sospensione condizionale della pena, è sempre disposta la confisca del veicolo con il quale è stato commesso il reato e dispone, altresì, che ai fini del sequestro si applicano le disposizioni di cui all’art. 224-ter stesso codice.
Va rimarcato, invece, che la norma alla quale viene fatto il rinvio non contiene alcun riferimento alle “modalità e procedure” attinenti alla sospensione della patente di guida.
In altri termini, per il reato di cui all’art. 186, comma 7, cod. strada, con riferimento alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, non può parlarsi né di rinvio formale né ricettizio, giacché il legislatore ha espressamente disciplinato tale sanzione con autonoma cornice edittale. È da escludere, pertanto, una cristallizzazione della disposizione normativa recepita, come pure l’adeguamento della stessa all’evoluzione della norma richiamata. Ne consegue che non è applicabile all’ipotesi del reato di cui all’art. 186, comma 7 (ed a quella di cui all’art. 187, comma 8, che rinvia alla prima per le sanzioni), la sanzione del raddoppio della sospensione della patente di guida, introdotta, come sopra precisato, con la legge n. 94 del 2009.
7.1. Il rinvio che l’art. 186, comma 7, effettua al comma 2, lett. c), dello stesso articolo, sia con riferimento alla pena principale sia con riguardo alle “modalità e procedure” afferenti alla confisca del veicolo deve, invece, qualificarsi, come rinvio formale (o dinamico).
Si è già accennato il significato normativo da attribuirsi alle diverse tecniche di rinvio.
Il rinvio recettizio (o statico) recepisce per intero, senza che ne sia riprodotto il testo, il contenuto di un altro articolo, vale a dire la disposizione normativa; quello formale (o dinamico), al contrario, fa riferimento alla norma in sé, cioè al principio contenuto nella formula verbale dell’articolo del codice e ne segue, dunque, inevitabilmente la eventuale evoluzione, di talché, mutato il contenuto della norma di riferimento, muta inevitabilmente il significato della norma di rinvio (v., tra le altre, Sez. U, n. 26268 del 28/03/2013, cit.).
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 315 del 2004, ha affermato che, in presenza di un rinvio recettizio (o statico), il contenuto della disposizione richiamata diviene parte del contenuto della norma richiamante, restando le successive vicende della norma richiamata prive di effetto ai fini della esistenza ed efficacia della norma richiamante.
È stato altresì precisato (v. la citata sentenza delle Sezioni Unite) che, in mancanza di formule chiarificatrici, il rinvio operato a diversa disposizione di legge deve intendersi come rinvio statico. Il rinvio operato da una norma può essere considerato dinamico (formale) solo qualora esso si riferisca, non già ad una disposizione determinata, ma a un istituto o a una normativa complessivamente considerati, oggetto di un separato atto normativo e dotati di una propria autonoma rilevanza. In questo senso è stato ritenuto, in tema di processo minorile, l’applicabilità della custodia cautelare in carcere in ipotesi di furto in abitazione in quanto l’art. 23 del d.P.R. n. 448 del 1988 – ancorché non preveda tra i casi in cui può essere applicata la custodia cautelare in carcere nei confronti di minorenni, l’ipotesi di cui all’art. 380, comma 2, lett. e-bis, cod. proc. pen. – richiama, tuttavia, l’art. 380, comma 2, lett. e), cod. proc. pen., che prevede l’ipotesi di furto aggravato, ex art. 625, primo comma, n. 2, prima parte, cod. pen., che corrisponde esattamente all’ipotesi di cui all’art. 624-bis, terzo comma, cod. pen. (furto in abitazione o con strappo aggravato da una o più delle circostanze di cui all’art. 625, primo comma, cod. pen.), introdotta quale autonoma figura di reato dalla legge 26 marzo 2001, n. 128 (v., tra le altre, Sez. 4, n. 48436 del 17/10/2012, V., Rv. 255010; Sez. 4, n. 19680 del 09/04/2009, G., Rv.243509).
7.2. La diversa disciplina della sanzione amministrative della sospensione della patente afferente al reato in esame trova, del resto, la sua giustificazione, come rileva la sentenza Vaglia, nell’intento del legislatore di mantenere entro limiti edittali più contenuti, in ragione della distinta oggettività giuridica dei reati contemplati dall’art. 186, comma 2, e dall’art. 186, comma 7 (nonché dall’art. 187, comma 8) la durata della stessa nell’ipotesi in cui la condotta criminosa non sia strettamente correlata all’utilizzo del veicolo ma si sostanzi nella frapposizione di un ostacolo all’accertamento di altro reato.
Come chiaramente indicato nella relazione di accompagnamento al d.l. n. 92 del 2008, il legislatore ha inteso intervenire con decretazione di urgenza per fronteggiare l’incremento “esponenziale” delle vittime di incidenti stradali cagionati dall’abuso di alcool e stupefacenti; e, in tale prospettiva finalistica, ha voluto introdurre significative modifiche agli artt. 186, 187 e 222 cod. strada, tra le quali il ripristino della rilevanza penale delle condotte di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti relativi allo stato di ebbrezza alcolica od all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope.
Nella relazione, sul punto di interesse, si osserva che “la depenalizzazione delle condotte in parola ha infatti portato alla materiale impossibilità di addivenire a condanne per il reato di cui all’art. 187 cod. strada, risultando impossibile accertare aliunde la circostanza che il soggetto controllato sia sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope e rendendo, inoltre, molto difficile ed in ogni caso suscettibile di contestazioni altrimenti evitabili il medesimo accertamento in relazione ai soggetti postisi alla guida in stato di ebbrezza”.
Il perseguimento dei richiamati obiettivi è stato quindi tecnicamente realizzato già con la previsione, contenuta nel primo periodo dell’art. 186, comma 7, cod. strada, relativa alla applicazione, in caso di rifiuto, come sopra si è evidenziato, delle “pene di cui al comma 2, lett. c)”, lasciando immutato il regime della sanzione accessoria in questione.
L’art. 4, lett. d), del decreto non si è peraltro limitato a ristabilire la rilevanza penale della fattispecie, ma ha altresì recuperato la filosofia che aveva ispirato l’incriminazione fino alla depenalizzazione con il decreto-legge 117/2007, e cioè quella di parificare nella risposta sanzionatoria il rifiuto dell’accertamento alla violazione del divieto di guidare in stato di ebbrezza, prevenendo in tal modo potenziali sacche di impunità. Ed in tal senso per la “nuova” contravvenzione viene previsto lo stesso trattamento sanzionatorio riservato alla più grave delle ipotesi contemplata nell’art. 186, comma 2, vale a dire quella contenuta nella lett. e) della disposizione.
In tal modo viene rovesciata la situazione creatasi a seguito del precedente intervento normativo: mentre il conducente prima poteva vantare un interesse a rifiutare di sottoporsi al test alcolimetrico, accettando l’irrogazione della sanzione amministrativa nella consapevolezza che senza la misurazione strumentale egli poteva essere al più riconosciuto colpevole della meno grave delle ipotesi di guida in stato di ebbrezza, ora lo stesso conducente ha esattamente l’interesse contrario, giacché se non si sottopone agli accertamenti si vedrà applicare la sanzione penale più elevata e perderà così l’opportunità di veder eventualmente dimostrato che il suo tasso alcolemico è inferiore agli 1,5 grammi per litro, circostanza che gli garantirebbe invece l’irrogazione delle più miti sanzioni previste dalle lett. a) e b) dell’art. 186, comma 2 (la prima di natura amministrativa).
8. Tale soluzione trova ulteriore conforto nell’art. 186-bis, inserito dall’art. 33, comma 2, della legge n. 120 del 2010, con il quale il legislatore, nell’accentuare la repressione nei confronti di alcune particolari categorie di conducenti ivi indicati, non solo ha previsto il trattamento sanzionatorio della contravvenzione di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti alcolimetrici – in gran parte mutuato dal comma 7 dell’art. 186 – in termini più rigorosi, essendosi stabilito l’aumento da un terzo alla metà delle pene previste dal comma 2, lett. c), dello stesso art. 186, ma, con immediato rilievo in questa sede, ha stabilito che, qualora non sia possibile confiscare il veicolo perché appartenente a persona estranea al reato, la durata della sospensione della patente di guida (da sei mesi a due anni) è raddoppiata (art. 186-bis, comma 6).
Ciò significa che quando il legislatore ha inteso determinare la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida con limiti edittali superiori rispetto a quelli indicati nell’art. 186, comma 7, cod. strada, lo ha esplicitamente previsto. Il che lascia ragionevolmente presumere che lo stesso legislatore nella fattispecie in esame abbia operato una precisa scelta e non abbia inteso procedere ad un rinvio ad altra norma.
9. Da tale impostazione costruttiva discende il seguente principio di diritto: “Il rinvio alle stesse modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c), salvo che il veicolo appartenga a persona estranea alla violazione, contenuto nel secondo periodo del comma 7 dell’art. 186 cod. strada, dopo le previsioni relative alla sospensione della patente di guida ed alla confisca del veicolo, deve intendersi limitato alle sole modalità e procedure, contenute nell’art. 186, comma 2, lett. c), cod. strada, che regolano il sistema della confisca del veicolo, con esclusione del rinvio alla disciplina del raddoppio della durata della sospensione della patente di guida, qualora il veicolo appartenga a persona estranea al reato; conseguentemente, la durata della sospensione della patente di guida, quale sanzione amministrativa che accede al reato di rifiuto, compresa, ai sensi dell’art. 186, comma 7, secondo periodo, tra il minimo di sei mesi ed il massimo di due anni, non deve essere raddoppiata nel caso in cui il veicolo appartenga a persona estranea al reato”.
10. Le considerazioni che precedono comportano, pertanto, l’accoglimento del ricorso.
Applicando i richiamati principi di diritto al caso di specie, deve osservarsi che la durata della sospensione della patente di guida ex art. 186, comma 7, cod. strada, risulta compresa tra il minimo di sei mesi al massimo di due anni, non avendo rilievo, ai fini della determinazione della durata della sanzione, alla luce delle considerazioni sopra esposte, la circostanza che l’autovettura utilizzata dall’imputato, autore del rifiuto, risulta appartenere a persona estranea al reato.
Deve ritenersi, pertanto, fondato il rilievo attinente all’erroneità della determinazione della sanzione accessoria, applicata dal giudice nella misura del doppio del massimo, in ragione dell’erronea interpretazione del duplice rinvio contenuto nella disposizione incriminatrice di cui all’art. 186, comma 7, cod. strada, alle “pene di cui al comma 2, lett. c)” ed alle “modalità e procedure previste dal comma 2, lett. c)”, cod. strada.
È dato quindi procedere all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata limitatamente alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, contestualmente determinandone la durata nella misura di anni due.
La predetta sanzione va direttamente applicataci sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., in misura corrispondente al massimo legale previsto per la fattispecie in esame, giacché il giudicante, nel raddoppiare la durata della sanzione, era partito dal massimo edittale di anni due.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, che determina in anni due.
Torna alle sentenze delle Sezioni Unite
L’articolo Rifiuto alcol test, cosa dicono le Sezioni Unite sembra essere il primo su sentenze cassazione.