Porta a spasso il cane mentre si trova agli arresti domiciliari
Porta a spasso il cane mentre si trova agli arresti domiciliari
Corte di Cassazione sezione VI Penale
sentenza 16 settembre – 10 novembre 2015, n. 45073
Presidente Milo – Relatore Citterio
Ritenuto di fatto
1. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova che in data 14.3.2014 confermava la sua condanna per evasione (fatto del 22.4.12), ricorre per cassazione l’imputato M.B. a mezzo del difensore, enunciando motivo di illogicità della motivazione per la non adeguata valutazione della peculiare circostanza in cui il ricorrente era uscito dalla propria abitazione.
2. Con memoria pervenuta il 23.6.15 il difensore ha chiesto di applicare nella fattispecie la disciplina introdotta dall’art. 131-bis c.p., argomentando la sussistenza dei corrispondenti presupposti: l’imputato, già autorizzato ad allontanarsi da casa tutti i giorni per quattro ore (due la mattina e due il pomeriggio), era stato trovato ad una trentina di metri dall’abitazione, in ciabatte e pigiama (‘abiti da casa’ riferiscono i carabinieri, precisa la Corte distrettuale) mentre faceva espletare al cane i bisogni fisiologici (il cane sarebbe stato sottoposto tre giorni prima ad intervento chirurgico, l’ascensore di casa era non funzionante come accertato dalla polizia giudiziaria, per caratteristiche fisiche-fisiologiche la moglie non sarebbe stata nelle condizioni di sollevare il cane nel caso di necessità). Quindi: il titolo del reato e la pena edittale non erano ostativi, certamente il fatto si caratterizzava per modesta offensività.
Ragioni della decisione
3. II ricorso va rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
4. II motivo originario è inammissibile perché, osservato che la mera illogicità non rientra tra i casi di cui alla lettera E dell’art. 606.1 c.p.p., è diverso da quelli consentiti, prospettando – a fronte di un duplice conforme specifico apprezzamento in fatto dei due Giudici del merito, sorretto da motivazione non apparente ed immune dai vizi di manifesta illogicità e contraddittorietà che, soli, rilevano ai sensi dell’art. 606.1 lett. E c.p.p. – deduzioni difensive che si risolvono nella mera sollecitazione ad una diversa valutazione, del tutto preclusa in questa sede di legittimità.
5. La richiesta di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. è infondata, nei termini che seguono.
5.1 L’art. 131-bis cod. pen. ha introdotto una nuova causa di esclusione soggettiva della punibilità (considerando che ai presupposti oggettivi – entità della pena edittale e offesa di particolare tenuità – si aggiungono quelli soggettivi del comportamento non abituale ‘e dell’intensità del dolo o della colpa).
La causa di non punibilità è idonea a determinare l’assoluzione (art. 530, comma 1, cod. proc. pen.). Da qui l’applicabilità della stessa ai processi in corso in ragione dell’art. 2, comma 4, cod. pen. (Sez.6, sent. 17065/12).
L’applicazione della legge posteriore ‘sostanziale’ più favorevole può avvenire anche nel giudizio di cassazione (artt. 609, comma 2; 619, comma 3; 620, lett. L, cod. proc. pen.): quanto alla specifica fattispecie dell’art. 131-bis si vedano tra le altre Sez. 3 sent. 15449/15; Sez.4 sent. 22381/15; Sez.3 sent. 21474/15; Sez.3 sent. 24358/15.
Le perplessità manifestate da autorevole dottrina sulla riconducibilità dell’intervento della Corte di legittimità, per questo peculiare caso di sopravvenuta normativa più favorevole, alla disciplina dell’art. 129 cod. proc. pen. (perché tale articolo non richiama esplicitamente anche la causa di non punibilità) sono nel nostro caso (in cui vi è stata richiesta specifica della parte) non rilevanti e comunque non decisive, posto che il capoverso dell’art. 609 cod. proc. pen. fa espresso riferimento (alternativo all’intervento d’ufficio) alle “questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d’appello”, delle quali è in realtà esempio significativo proprio il mutamento in senso favorevole dei quadro normativo pertinente al processo (Sez. 3, sent. 15449/15, paragr.9).
5.2 II legislatore non ha inteso disporre una disciplina transitoria per l’applicazione della nuova norma ai procedimenti in corso, in particolare quelli pendenti nella peculiare fase di legittimità.
E’ tuttavia possibile ricostruire i limiti entro i quali il nuovo istituto può trovare applicazione davanti alla Corte di cassazione, muovendo dai principi generali che caratterizzano il giudizio di legittimità.
Va innanzitutto esclusa la compatibilità col sistema processuale di un “annullamento con mere finalità esplorative” (Sez. Unite sent. 25887/03, Giordano e altri). La disciplina dell’annullamento, con e senza rinvio (artt. 620 – 624 cod. proc. pen.), presuppone infatti l’individuazione di ‘vizi’ specifici dei provvedimento impugnato: una situazione, quindi, che allo stato sarebbe, per ragioni specifiche pertinenti il caso concreto, idonea a condurre anche a decisione di diverso contenuto. Ciò vale anche per la fattispecie della sopravvenuta norma più favorevole: anche tale novità rileva in tanto in quanto, allo stato degli atti e in relazione alle peculiarità del caso quali delineatesi nei precedenti gradi di merito del processo (attraverso l’imputazione, le sentenze e gli atti di impugnazione), risulti potenzialmente effettivamente pertinente, perché congrua ad una possibile diversa decisione. Ciò comporta escludere la necessità di un annullamento con rinvio generalizzato delle sentenze deliberate in procedimenti già pendenti davanti a questa Corte al momento della sopravvenuta disciplina dell’art. 131-bis cod. pen., quando sia in questa stessa fase di legittimità proposto il motivo nuovo, o la richiesta comunque, dell’applicabilità di tale più favorevole normativa.
5.3 Le soluzioni quindi uniche ipotizzabili, sul piano sistematico, sono quelle: dell’annullamento con rinvio (in ragione delle peculiarità del caso) limitato al nuovo esame del giudice del merito, che ha pronunciato il provvedimento impugnato, avente per oggetto solo l’applicazione della nuova causa di non punibilità; dell’annullamento senza rinvio in seguito alla diretta sua applicazione da parte della Corte di legittimità; dell’inammissibilità o dei rigetto del motivo (nel primo caso quando sia evidente la mancanza di uno dei presupposti di applicazione: si pensi al limite edittale di pena incompatibile con quello previsto dall’art. 131-bis cod. pen. o all’esistenza di un presupposto soggettivo ostativo; nel secondo caso quando le deduzioni relative al caso concreto risultino infondate alla luce dello specifico contenuto della sentenza impugnata).
Condivisi i rilievi dell’Ufficio del Massimario sulla diversità dell’istituto ex art. 131-bis cod. pen. rispetto a quello ex art. 34 d. Igs. n. 274/2000 (per la natura sostanziale del primo e quella processuale del secondo) e, quindi, la non pertinenza al caso del precedente Sez.5 sent. 25063/02, osserva la Corte che non vi è infatti ragione, anche solo sistematica, per escludere la diretta applicazione della causa di non punibilità nel giudizio di legittimità, in applicazione dei poteri che l’art. 620, lett.L), cod. proc. pen. le riconosce (e quindi con annullamento senza rinvio), ogniqualvolta già dalla sentenza impugnata risultino palesi la ricorrenza dei presupposti oggettivi e soggettivi formali e un apprezzamento del giudice del merito coerente alla conclusione logica che il caso di specie vada sussunto nella particolare tenuità dei fatto.
Si pensi, per questo secondo aspetto, al caso emblematico in cui le sentenze di merito, da leggere anche alla luce dell’atto d’appello, diano conto di un imputato incensurato e che abbia commesso il reato occasionalmente e con condotta di durata temporale contenutissima, di un danno esiguo eventualmente pure risarcito, di una pena irrogata nel minimo ed eventualmente nella specie più favorevole, con concorso di attenuanti generiche e con benefici argomentati sulla sussistenza della prognosi più favorevole. Restituire gli atti al giudice del merito (previo annullamento con rinvio) per chiedere se questo contesto configuri o meno anche un’ipotesi di particolare tenuità del fatto appare soluzione in rito non solo disapplicante il richiamato art. 620 lett. L, non solo contrastante con i principi costituzionali della ragionevole durata del processo e della sua economia ed efficienza, ma a ben vedere anche intrinsecamente contraddittorio perché non si vede come potrebbe una motivazione del giudice dei merito che negasse la sussistenza, in un tal genere di fattispecie, della causa di non punibilità essere sostenuta da una motivazione non apparente, non contraddittoria o non manifestamente illogica.
6. Nel nostro caso risulta dall’imputazione datile due sentenze di merito che: a B. è stata contestata la recidiva reiterata infraquinquennale; il Giudice dei primo grado non ha escluso la recidiva, ponendola in equivalenza con le riconosciute attenuanti generiche; il Giudice d’appello ha confermato l’applicazione della recidiva argomentando (p. 5) di gravi precedenti riportati dall’imputato ed evidenziando che uno era anche un precedente specifico (quindi della medesima indole), in materia di evasione.
La memoria con cui il difensore argomenta l’applicazione dell’art. 131-bis glissa completamente sui precedenti penali dell’imputato.
Gli stessi invece vanno considerati all’evidenza ostativi (il che assorbe ogni altro rilievo), costituendo presupposto di comportamento abituale di violazione della legge penale, anche della stessa indole, rispetto al quale la modestia del singolo episodio non ha rilievo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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