Il Consiglio di Stato fa il punto sui principi che regolano la verifica di congruità …
Con orientamento ormai ampiamente consolidato questo Consiglio di Stato sostiene l’ampia discrezionalità che l’art. 86, comma 3, del codice dei contratti pubblici attribuisce alle stazioni appaltanti di procedere a verifica facoltativa della congruità dell’offerta; tale controllo non deve essere particolarmente motivato e può essere sindacato solo in caso di macroscopica irragionevolezza. Le valutazioni che sottostanno alla scelta di procedere a verifica costituiscono, quindi, una tipica manifestazione del merito amministrativo, suscettibile di essere sindacato in sede di giurisdizione di legittimità quando siano evidentemente arbitrarie e non rispondenti alla causa tipica del potere.
La facoltà di procedere simultaneamente a verifica di anomalia delle offerte, contenuta nell’art. 88, comma 7, secondo periodo, cod. contratti pubblici, non risponde all’esigenza di effettuare delle comparazioni tra queste ultime, dal momento che il giudizio di congruità è necessariamente individualizzato e che, in ogni caso, l’amministrazione è comunque in grado di avere un quadro esauriente della struttura dei costi di ciascuna offerta sottoposta a verifica anche se questa venga svolta in successione, come avvenuto nel caso di specie.
In merito al giudizio positivo di congruità dell’offerta, la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato afferma che esso può legittimamente fondarsi anche su un utile esiguo, purché all’esito dell’analisi delle voci di costo il margine rimanga comunque positivo. Tuttavia, se non poteva essere disposta l’esclusione del raggruppamento per tale motivo, la commissione del reato di omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali da parte del legale rappresentante denota senza dubbio una inaffidabilità morale tale da costituire perciò causa ostativa alla partecipazione a procedure di affidamento di contratti pubblici ai sensi dell’art. 38 d.lgs. n. 163 del 2006.