Etilometro e prova del reato
Etilometro e prova del reato
Corte di Cassazione, sezione IV Penale
Sentenza 17 febbraio – 6 marzo 2015, n. 9863
Presidente Brusco – Relatore Serrao
Con la sentenza che di seguito si riporta, la Corte di Cassazione ha esaminato un caso interessante dal quale è emerso che il risultato dell’etilometro fa piena prova.
Nello specifico, la Corte d’Appello di Torino, riformando la formula assolutoria pronunciata in primo grado dal Tribunale di Alba in esito al giudizio abbreviato, riqualificando il fatto come violazione dell’art. 186 lett. a) d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285, assolvendo l’imputato dal reato acrittogli perchè il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Il ricorso è stato proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello propone ricorso per Cassazione censurando la sentenza impugnata per manifesta illogicità della motivazione premettendo che la Corte territoriale ha assolto l’imputato ritenendo che l’accertamento dello stato di ebbrezza mediante etilometro non fosse valido sia perché, pur essendo indicato un tasso pari a g/I 1,65 e 1,58, era altresì riportata l’indicazione , sia perché se l’imputato avesse espirato un quantitativo maggiore di aria la diluizione dell’alcol in un quantitativo di aria più abbondante avrebbe evidenziato un tasso inferiore, sia perché, essendo stato effettuato l’accertamento un’ora e mezzo dopo il sinistro provocato dall’imputato, non poteva escludersi che quest’ultimo avesse ingerito alcol immediatamente prima, quando ancora non si trovava in stato di ebbrezza.
Per il procuratore ricorrente, tale argomentazione è manifestamente illogica sia perché, malgrado il volume insufficiente, è stato possibile pervenire a un risultato certo e utilizzabile, sia perché, se fosse vero che maggiore è l’aria espirata più bassa è la concentrazione di alcol in essa rilevabile, i soggetti con minor espansione polmonare per le più ridotte dimensioni fisiche, come le donne, risulterebbero subito comunque ubriachi, sia perché non è mai stato sostenuto che l’imputato potesse avere ingerito alcol tra il momento del sinistro e il momento dell’accertamento dei tasso alcolemico, per cui sostenere che l’imputato abbia potuto ingerire un quantitativo molto rilevante di alcol subito prima di mettersi alla guida e di causare l’incidente significherebbe accogliere una tesi basata sull’assunto che l’intervento degli agenti dopo un incidente stradale a seguito dei quale viene accertato lo stato di ebbrezza dei conducente non consente la prova del reato perché, avvenendo l’intervento a inevitabile distanza di tempo, non sarebbe mai possibile escludere l’ipotesi della guida dopo l’ingestione dell’alcol ma prima che tale sostanza abbia fatto effetto.
La Corte di Cassazione, con la decisione in commento, ha ritenuto fondato il ricorso anche sulla base del fatto che, secondo gli ermellini, “la motivazione offerta dalla sentenza impugnata risulta viziata da manifesta illogicità per la ragione che, a fronte di un tasso alcolemico pari a 1,65-1,58 g/I accertato alle ore 20,09, ossia un’ora e mezza dopo che il conducente aveva provocato il sinistro, vi si trova affermata la mancanza di prova certa dell’avvenuto superamento del limite di legge al momento del sinistro in ragione del mero dato scientifico per cui la curva di assorbimento dell’alcol etilico raggiunge il picco di tasso alcolemico nel giro di circa un’ora dall’ultima assunzione, ritenendosi generico il dato sintomatico dell’alito vinoso rilevato dai Carabinieri alle ore 19,00 ed omettendosi l’esame di tali emergenze istruttorie in correlazione con le circostanze spazio-temporali in cui l’accertamento è stato eseguito.
E’, infatti, ripetutamente affermata nella giurisprudenza di legittimità la massima secondo la quale , essendo, pertanto, dovere del giudice non soffermarsi esclusivamente al dato strumentale ma esaminare tutti gli elementi a sua disposizione al fine di accertare la condotta tipica del reato“
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