Espropriazioni: la p.a non può essere obbligata alla cessione bonaria
“L'iter procedurale della cessione volontaria di un bene oggetto di espropriazione per pubblica utilità, non consente di individuare, prima della stipula del contratto definitivo di cessione del bene, un contratto preliminare tra l'ente espropriante e il proprietario espropriando…;…nell'intervenuto scambio fra le parti dei due atti (la comunicazione dell'espropriante e la dichiarazione di condivisione dell'espropriando) non è ravvisabile un contratto preliminare rispetto a quello successivo di cessione volontaria del bene perché nessuno degli atti in questione ha un contenuto volitivo, ma solo conoscitivo nel senso che il primo dei due si limita a fornire alla controparte gli elementi di conoscenza necessari perché questi possa consapevolmente decidere di optare per il proseguo del procedimento oblatorio, ovvero per una soluzione negoziale, mentre il secondo, a sua volta, si limita a dichiarare che condivide la stima effettuata dal primo, dichiarandosi, quindi, disponibile ad una cessione su base negoziale del terreno.
La scelta del proprietario espropriando di concludere la cessione volontaria del bene, ha essenzialmente l'effetto di attribuire al proprietario espropriando: a) il diritto di pretendere dall'espropriante che abbandoni il procedimento ablatorio in corso e acquisisca la proprietà del bene con attività negoziale; b) di ottenere l'indennità secondo i criteri di cui alla L. n. 865 del 1971, art. 12; ma non anche l'effetto di obbligare la Pubblica Amministrazione a porre in essere il contratto di cessione del bene, perché l'amministrazione che ha iniziato un siffatto procedimento non è obbligata per legge a completarlo, e quindi, neppure, a porre in essere il contratto di cessione, né è configurabile in capo al privato che abbia concluso detto accordo un diritto ad essere espropriato.” (cfr. Cass., Sez. II, 8 maggio 2014, n. 9990).