Domiciliari per aver pubblicato su facebook foto intime della ex fidanzata
Domiciliari per aver pubblicato su facebook foto intime della ex fidanzata
Corte di Cassazione, sezione V Penale
Sentenza 13 gennaio – 23 marzo 2015, n. 12203
Presidente Savani – Relatore Lignola
Ancora una volta il social network più utilizzato sul web torna ad interessare i giudici del Palazzaccio.
Il Tribunale del Riesame di Napoli aveva confermato il provvedimento del G.I.P. di applicazione della misura coercitiva degli arresti domiciliare per il reato di cui all’art. 612 bis cod. pen., in danno di una donna, con la quale l’indagato aveva avuto una relazione sentimentale durata circa tre anni.
La donna, dopo la fine della relazione era tornata a vivere presso l’abitazione della famiglia d’origine.
Dall’ordinanza impugnata e da quella del giudice di primo grado emerge che la condotta dell’indagato è consistita in una serie di minacce gravi, perpetrate attraverso l’invio alla ex fidanzata, al cognato, al nipote minorenne e alla datrice di lavoro, attraverso strumenti informatici (quali un falso profilo facebook, creato con il nome della persona offesa ed altro profilo creato con il nome di suo padre), ed in tempi diversi, di foto intime, che ritraevano la donna nuda o nell’atto di compiere atti sessuali, con l’esplicitazione della volontà di diffonderle pubblicamente e di farle vedere ai figli.
II ricorrente, premesso che al di là di ogni valutazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, aveva richiesto al Tribunale dei riesame l’annullamento dell’ordinanza, in considerazione dell’insussistenza o dell’attenuazione delle esigenze cautelari ed aveva contestato la configurabilità nel caso di specie, sotto il profilo oggettivo, del reato di atti persecutori, deduce l’inesistenza dei gravi indizi di colpevolezza, poiché non sufficienti ai fini della configurabilità del delitto di atti persecutori reiterati atti di minaccia o di molestia nei confronti di un soggetto, ma è necessaria anche la determinazione di uno stato d’ansia o di paura o la sussistenza di un fondato timore per la propria incolumità
Inoltre, sotto altro profilo, evidenziava l’inesistenza di esigenze cautelari, in considerazione della cessazione dei rapporti tra le parti.
Per la Corte il ricorso è inammissibile per genericità e osservano che “il ricorrente deduce l’insussistenza del reato di atti persecutori, per carenza dell’evento, senza in alcun modo confrontarsi con la precisa ricostruzione operata dal Tribunale del riesame, nella cui ordinanza si chiarisce che i comportamenti dell’indagato, “susseguitisi per mesi e mesi, determinavano nella vittima un grave stato d’ansia e una incontrollabile paura, che l’avevano costretta a modificare le proprie abitudini ed a rivolgersi ad uno psicologo presso il centro di sostegno A.I.S. Seguimi ONLUS di Portici“.
Secondo i giudici di Piazza Cavour, “in punto di esigenze cautelare il ricorso si limita ad escluderle, in considerazione della cessazione dei rapporti tra le parti, ignorando anche in questo caso la puntuale indicazione del provvedimento impugnato, che nella molteplicità degli episodi narrati dalla persona offesa e, nel crescendo dell’aggressività, individua una personalità trasgressiva, invadente ed allarmante non contenibile con una misura meno afflittiva“
Articolo di riferimento:
Articolo 612 bis Codice Penale
Atti persecutori
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumita’ propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio
Leggi il testo della sentenza
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