Detenuto depresso e sostituzione della misura cautelare in carcere
Detenuto depresso e sostituzione della misura cautelare in carcere
Corte di Cassazione, sezione III Penale
Sentenza 17 dicembre 2014 – 10 febbraio 2015, n. 5934
Presidente Fiale – Relatore Pezzella
Cassazione, sentenza, penale, carcere, pena, misura cautelare, sostituzione, detenuto, depresso, depressione, perizia, cure, giudice, obbligo, arresti domiciliari
La sentenza che di seguito si riporta ha trattato il caso di incompatibilità del detenuto con il regime carcerario e, ciò che emerge dalla lettura della decisione della terza sezione penale della Suprema Corte di Cassazione è l’obbligo del giudice di disporre una perizia sul detenuto al fine di accertare le sue condizioni fisiche e, nel caso in cui si prospetti una situazione patologica tale da non permettere al detenuto di avere delle cure adeguate all’interno dell’Istituto penitenziario, detta misura cautelare dovrà sostituirsi.
Nel caso di specie, era stata rigettata l’istanza del ricorrente per ottenere gli arresti domiciliari in sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere.
La Corte di Cassazione rigettava il ricorso ma chiariva che “l’art. 299, co. 4 ter, cod. proc. pen. impone al giudice la nomina del perito solo se sussiste un apprezzabile “fumus” e cioè se risulti formulata una chiara diagnosi di incompatibilità con il regime carcerario, o comunque si prospetti una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere“
Si legge in sentenza “che in tema di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, secondo la previsione di cui all’art. 299 co. 4 ter cod. proc. pen. se la richiesta è basata sulle condizioni di salute di cui all’art. 275 cod. proc. pen., comma 4 bis, ovvero se tali condizioni di salute sono segnalate dal servizio sanitario penitenziario, il giudice, se non ritiene di accoglierla sulla base degli atti, dispone con immediatezza e comunque non oltre il termine previsto al comma 3, gli accertamenti medici del caso, nominando un perito.
Il giudice, dunque, ha l’obbligo di disporre la perizia solo se sono evidenziate ragioni di salute riconducibili alla previsione di cui all’art. 275 co. 4 bis cod. proc. pen. e cioè: l’essere il richiedente persona affetta da AIDS conclamata o da gravi deficienze immunitarie accertate ai sensi dell’art. 256 bis, co. 2 cod. proc. pen. ovvero da altra malattia particolarmente grave, per effetto della quale le sue condizioni di salute risultino incompatibili con lo stato di detenzione e comunque tali da non consentire adeguate cure in caso di detenzione in carcere.
A far scattare l’obbligo di nominare un perito non basta, dunque, evidentemente, prospettare una qualsivoglia malattia, ma occorre che venga evidenziata e circostanziata una patologia “particolarmente grave”, la cui cura non sia compatibile con il regime carcerario, anche nei centri clinici particolarmente attrezzati disponibili all’interno di talune strutture dell’amministrazione penitenziaria. E se non è onere del richiedente provare in maniera esaustiva tale incompatibilità, per contro la richiesta deve contenere degli elementi che consentano al giudice una delibazione circa la ricaduta del caso in esame nella previsione di cui all’art. 275 co. 4 bis cod. proc. pen..
In tal senso anche le citate SS.UU. 3/1999, Femia, che pure si sono richiamate tra le pronunce più restrittive, mostravano di consentire al giudice di delibare sull’ammissibilità della richiesta, onde attivare la procedura decisoria, pur se solo al fine di verificare che fosse stata prospettata una situazione di salute della specie prevista dall’art. 275 co. 4 bis cod. proc. pen., comma 4.
Resta condivisibile il dictum delle citate SS.UU. secondo cui al giudice è inibito respingere la domanda solo perché, in via preliminare, si prefiguri la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, non potendo tale apprezzamento che essere successivo all’accertamento peritale che offre il parametro di comparazione (SS.UU. sent. 3 del 1999, rie. Femia, RV 212756). Tuttavia il giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta de libertate ex art. 299 cod. proc. pen. sarà chiamato a verificare se quella prospettatagli è una richiesta fondata su esigenze di salute tout court ovvero su quelle situazioni particolarmente gravi enucleabili dal dettato dell’art. 275 co. 4 bis che gli impongono la nomina del perito. E se propende per la prima tesi – come evidentemente ha fatto il GIP genovese nel caso che ci occupa.- trova applicazione la prima parte del comma 4ter dell’art. 299 cod. proc. pen., secondo cui “quando non è in grado di decidere allo stato degli atti, il giudice dispone, anche di ufficio e senza formalità, accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell’imputato”.
Diversamente opinando, evidentemente, se si propendesse per un obbligo del giudice di disporre perizia ogni qualvolta venga solo affermata l’incompatibilità carceraria per ragioni di salute non si comprenderebbe in quali casi potrebbero essere disposti gli “accertamenti sulle condizioni di salute” previsti dalla prima parte della norma richiamata.
Naturalmente nulla esclude che gli accertamenti informali disposti presso la struttura carceraria evidenzino che, contrariamente a quanto emergeva dalla prima delibazione operata dal giudice, si versi in un caso particolarmente grave, di quelli riconduciteli al comma 4bis dell’art. 275 cod. proc. pen. Ed allora il giudice, se non ritiene di dover provvedere allo stato degli atti a disporre una misura extracarceraria, dovrà provvedere alla nomina del perito ex art. 299 co. 4 ter cod. proc. pen..“
Leggi il testo della sentenza
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