Demolizione e ricostruzione di un immobile sito in area a rischio frana: alterazione …
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 3662 del 2014, proposto da:
Comune di …, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati …, con domicilio eletto presso … in …;
contro
E. A. e società …, in persona del legale rappresentante pro tempore, entrambe rappresentate e difese dagli avvocati …, con domicilio eletto presso … in …;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. Piemonte – Torino: Sezione II n. 00197/2014, resa tra le parti, concernente diniego di permesso di costruire;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Emanuela Arvat e della società Sanda Vadò s.a.s.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 marzo 2015 il cons. Giuseppe Castiglia e uditi per le parti gli avvocati …;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
La signora E. A. e la società … hanno ottenuto dal Comune di … l’autorizzazione paesaggistica e il permesso di costruire per l’esecuzione di opere di restauro e risanamento conservativo su un immobile di loro proprietà, sito in zona urbana consolidata collinare R7, classificata nella sottoclasse geomorfologica IIIb3(C) dalla variante n. 100 al P.R.G. e soggetta a vincolo ambientale e paesistico.
Riferendo che all’inizio dei lavori sarebbero emerse gravi carenze strutturali dell’edificio, hanno chiesto il rilascio di un permesso in variante, per procedere alla demolizione e alla ricostruzione integrale dello stabile, ferme le precedenti volumetria, sagoma e localizzazione.
Previo preavviso di rigetto l’Amministrazione – con provvedimento del 29 giugno 2012 – ha respinto la domanda, ritenendo il rilascio impedito dalla locale disciplina di piano.
Le richiedenti hanno impugnato il diniego, formulando anche una domanda cautelare che il T.A.R., dopo avere disposto verificazione sui luoghi di causa, ha accolto con ordinanza 23 maggio 2013, n. 206, in seguito riformata dalla Sezione con ordinanza 31 luglio 2013, n. 3005.
Con sentenza 31 gennaio 2014, n. 197, il T.A.R. per il Piemonte, sez. II, ha accolto il ricorso nel merito. Il Tribunale territoriale ha ritenuto che le norme urbanistiche non vieterebbero direttamente un intervento quale quello contestato. Questa interpretazione sarebbe conforme agli esiti della verificazione espletata, la quale avrebbe accertato sia l’effettiva carenza strutturale dell’edificio, sia la circostanza che un intervento di demolizione e ricostruzione, corredato da opere di consolidamento, potrebbe avere un minore impatto sulla stabilità del versante rispetto a un intervento di recupero dell’esistente.
Annullato il diniego impugnato con salvezza del potere dell’Amministrazione di riesaminare la domanda alla luce dei principi affermati, il T.A.R. ha respinto la domanda di risarcimento del danno.
Contro la sentenza il Comune di … ha interposto appello, chiedendone anche la sospensione dell’efficacia esecutiva.
Il Comune ricorda la disciplina di salvaguardia idrogeologica introdotta con la variante n. 100 al vigente P.R.G., a seguito della quale tutto il territorio comunale sarebbe stato suddiviso – “secondo i livelli di pericolosità intrinseca, indipendentemente da fattori antropici” – in tre fasce di rischio (classe I, basso rischio; classe II, rischio medio; classe III, rischio elevato), ulteriormente suddivise in sottoclassi. Nella sottoclasse IIIb3(C), in cui si trova l’immobile, caratterizzata da rischi di frana, non sarebbe ammessa la demolizione e ricostruzione dell’esistente.
La parte appellante sostiene che la norma della variante n. 100 né sul piano letterale, né sotto il profilo logico si presterebbe all’interpretazione adottata dal T.A.R. L’esclusione degli interventi di ristrutturazione edilizia (sub art. 4, lett. d1), delle N.U.E.A. del P.R.G.) sarebbe naturale conseguenza della maggiore incisività di tali interventi rispetto a quelli espressamente previsti. Sarebbe irrilevante l’assenza di maggior carico antropico (d’altra parte la norma pacificamente escluderebbe la realizzazione di piscine) e irrilevante l’esito della verificazione, non potendo lo stato di fatto prevalere sulla disciplina giuridica, peraltro incontestata.
La signora A. e la società si sono costituite in giudizio per resistere all’appello.
Le appellate si diffondono sul primo motivo del ricorso introduttivo, accolto dal T.A.R. In presenza di una disposizione ambigua come quella del punto 30 delle N.U.E.A., sul cui significato le parti controvertono, andrebbe accolta, anche in chiave evolutiva, un’interpretazione costituzionalmente orientata, compatibile con il testo e tale da conciliare l’interesse pubblico salvaguardato (la tutela idrogeologica del suolo) e quello privato (la tutela della proprietà). Il giudice di primo grado avrebbe agito correttamente, interpretando la disposizione nel senso condiviso dalle ricorrenti e accertando in concreto come l’intervento rispetti la finalità programmatoria del piano e garantisca l’ordinata utilizzazione del territorio in condizioni di sicurezza.
In particolare, il combinato disposto della variante n. 100 e dell’art. 4 delle N.U.E.A. consentirebbe tutti gli interventi classificati come “ristrutturazione edilizia” eccezion fatta per la costruzione di piscine, espressamente eccettuata, e per gli interventi del tipo sub lett. d1.5) (non compresi dall’espressione “fino a”). L’intero art. 4 classificherebbe i tipi di interventi secondo un ordine crescente, da a) “manutenzione ordinaria” a i) “nuovo impianto”; sarebbe dunque incongruo riconoscere all’attribuzione di lettere e numeri un significato opposto per la sola fattispecie in esame.
In definitiva, nelle zone in questione sarebbero ammessi i soli interventi che non aumentino ulteriormente il carico antropico, come dimostrerebbe l’esclusione degli interventi ex lett. d1.5) (recupero di sottotetti con modifiche alla quota di imposta e di colmo delle falde di copertura superiori a quanto altrimenti consentito). Tale interpretazione sarebbe coerente con gli atti che il pianificatore avrebbe inteso attuare, in particolare della circolare del Presidente della Giunta regionale 8 maggio 1996, n. 7-LAP, la quale attesterebbe il valore di criterio discretivo per la compatibilità dell’intervento assegnato al carico antropico, fatte salve le situazioni di grave pericolo (insussistenti nel caso di specie).
Non sarebbe poi esatto quanto affermato dal Comune circa una pretesa maggiore incisività degli interventi in questione, poiché già la variante n. 100 ammetterebbe nella zona, sia pure in maniera condizionata, scavi e sbancamenti (ad esempio, per la realizzazione di locali interrati) compatibili con quelli connessi alle ristrutturazioniex lett. d1a) e d1b).
Il divieto in ordine alle piscine sarebbe giustificato in considerazione del pericolo di dispersione d’acqua e di intercettazione non corretta delle acque piovane conseguente alla impermeabilizzazione della vasca.
La compatibilità della demolizione/ricostruzione con la sottoclasse di pericolosità IIIb emergerebbe anche dal raffronto con la disciplina della Regione Piemonte (in specie: l’art. 5 della legge 14 luglio 2009, n. 20, come modificato da leggi successive, e la nota del 12 novembre 2013, concernente il decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 2011, n. 106). Ciò dimostrerebbe che, in linea generale e astratta, tale tipo di intervento non pregiudicherebbe l’interesse tutelato.
Apparirebbe dunque evidente il dovere dell’Amministrazione di applicare un criterio di interpretazione evolutiva.
In via cautelativa, le appellate ripropongono infine i motivi del ricorso non decisi dal Tribunale regionale.
In caso di accoglimento dell’appello, l’intervento andrebbe comunque assentito nel rispetto degli indici originari e non di quelli previsti per le nuove costruzioni. Come avrebbe finito per ammettere lo stesso Comune, nell’affermare che il diniego non sarebbe stato formulato per motivi urbanistici, tali indici di zona sarebbero stati richiamati come mere considerazioni preliminari di inquadramento descrittivo e generale.
Quanto all’assenza di uno studio geomorfologico, anche in questo caso il Comune avrebbe dichiarato non trattarsi di ragione ostativa al rilascio del titolo. Nel prenderne atto, le appellate ricordano di avere comunque integrato la propria documentazione producendo anche tale relazione.
Alla camera di consiglio del 24 maggio 2014, la parte appellante non ha insistito nella domanda di sospensiva.
Con successiva memoria, il Comune riepiloga le proprie ragioni.
Come dimostrerebbe il divieto di costruzione di piscine, la ratio della norma di piano sarebbe nell’escludere gli interventi capaci di compromettere, attraverso scavi profondi, la stabilità dell’area.
La normativa richiamata dalle controparti sarebbe irrilevante:
la legge regionale n. 20 del 2009 (c.d. “Piano casa”) sarebbe successiva alla disposizione in discorso e dunque non applicabile all’immobile, il quale, per essere assoggettato a vincolo paesistico, ai sensi dell’art. 5 della stessa legge sarebbe insuscettibile di quegli interventi in deroga che l’art. 4 invece disciplina;
l’art. 5, comma 11 (recte: 2) del decreto-legge n. 70 del 2011 manterrebbe ferma l’inapplicabilità della deroga alle norme di sicurezza, fra le quali rientrerebbe a pieno titolo il P.A.I.
Quanto alle questioni evocate con i motivi riproposti, il Comune le ritiene definitivamente superate.
All’udienza pubblica del 24 marzo 2015, l’appello è stato chiamato trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Non è contestato che l’immobile oggetto della controversia ricada nella sottoclasse IIIb3(C), secondo la suddivisione disposta dalla variante n. 100 al P.R.G. del Comune di ….
Al punto 30, la variante stabilisce che “ferme restando le prescrizioni del P.R.G. sulle edificazioni ricadenti in questa sottoclasse sono ammessi interventi fino alla ricostruzione edilizia di cui all’art. 4 lettere d2) (esclusa la costruzione di piscine), d3) e d4) delle presenti N.U.E.A. e Allegato A, punto 5”.
La questione riguarda il punto del se, a norma di tale disposizione, nella zona siano consentiti anche gli interventi previsti dall’art. 4, lett. d1.b), cioè l’<<integrale demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma dell’edificio preesistente e rispettando l’originario posizionamento >>.
A favore della risposta positiva al quesito – sostenuta dai privati, fatta propria dal T.A.R. e contestata dal Comune – militerebbero, in sintesi:
– l’elemento letterale: i lavori ex lett. d1.b) non sarebbero espressamente vietati, al contrario della costruzione di piscine, e il sintagma “fino a” comprenderebbe tutte le operazioni di ristrutturazione sino a quelle sub lett. d4), testualmente escludendo solo quelle sub lett. d5) (recupero dei sottotetti);
– il criterio teleologico: la ratio della variante sarebbe quello di tutelare il suolo evitando l’aggravio del carico antropico, sul quale la semplice demolizione/ricostruzione ceteris paribus non avrebbe alcun impatto;
– l’interpretazione evolutiva, in considerazione dei successivi atti normativi e amministrativi generali;
– il dato concreto: la verificazione svolta in primo grado avrebbe accertato l’effettiva carenza strutturale dell’edificio e dimostrato che le opere progettate, con un potenziale minore impatto sulla stabilità del versante, sarebbero coerenti con le finalità di recupero dell’area già edificata.
2. Si tratta, evidentemente, di applicare la norma nel senso “fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore” (art. 12 disp. prel. c.c.).
A questo riguardo, gli argomenti portati contro il Comune non appaiono convincenti.
Benché la lettera della disposizione non sia particolarmente felice, ritiene il Collegio che, con l’espressione “fino a”, essa abbia inteso:
ammettere gli interventi previsti dalle lettere precedenti, vale a dire: a) “manutenzione ordinaria”; b) “manutenzione straordinaria”; c) “restauro e risanamento conservativo”;
della lett. d) (“ristrutturazione edilizia”), consentire gli interventi previsti nelle singole categorie elencate nominatim;
escludere gli interventi descritti nelle lettere successive, a partire dalla lett. e) (“sostituzione edilizia”).
Questo dato letterale – inequivocabile, ad avviso del Collegio – non può essere sovvertito sulla scorta di considerazioni ulteriori.
3. Come si autoqualifica, la variante è adottata “in adeguamento alla circolare P.G.R. 8 maggio 1966, n. 7/LAP, e al Piano per l’assetto idrogeologico”.
3.1. Il Piano “attraverso le sue disposizioni persegue l’obiettivo di garantire al territorio del bacino del fiume Po un livello di sicurezza adeguato rispetto ai fenomeni di dissesto idraulico e idrogeologico, attraverso il ripristino degli equilibri idrogeologici e ambientali, il recupero degli ambiti fluviali e del sistema delle acque, la programmazione degli usi del suolo ai fini della difesa, della stabilizzazione e del consolidamento dei terreni, il recupero delle aree fluviali, con particolare attenzione a quelle degradate, anche attraverso usi ricreativi…” (art. 1, comma 3, delle N.T.A.).
“I Comuni, in sede di formazione e adozione degli strumenti urbanistici generali o di loro varianti comprese quelle di adeguamento ai sensi del precedente comma, sono tenuti a conformare le loro previsioni alle delimitazioni e alle relative disposizioni di cui al comma 1 del presente articolo” (art. 18, comma 3, delle N.T.A.).
Quelle richiamate sono “le disposizioni concernenti l’attuazione del Piano nel settore urbanistico conseguenti alle condizioni di dissesto delimitate nella cartografia … e alle corrispondenti limitazioni d’uso del suolo …” (art. 18, comma 1, N.T.A.).
3.2. Dal canto suo, la circolare ha un obiettivo “di prevenzione territoriale, nel contesto storico in cui si colloca a livello regionale … ed a livello nazionale …” (si vada la nota tecnica esplicativa a tale circolare della Regione Piemonte del dicembre 1999 – doc. n. 16 del fascicolo di primo grado della parte ricorrente).
Il punto 7.2 consente “solo trasformazioni che non aumentino il carico antropico”.
Peraltro, tale espressione va intesa “in senso generale, in funzione del grado di pericolo, in funzione della possibilità di mitigazione del rischio ed in relazione al numero di abitanti già presenti nella zona”. Per questo, sono considerati accettabili “gli adeguamenti che consentano una più razionale fruizione degli edifici esistenti, oltreché gli adeguamenti igienico-sanitari …” (punto 7.3).
3.3. La variante n. 100 ha inteso dunque introdurre una disciplina di salvaguardia del territorio cittadino, nell’ambito della quale il controllo dell’incremento del numero degli abitanti in zona è secondario rispetto al parametro principale, che è quello del grado di pericolo.
Non è l’accrescimento del carico antropico che viene in gioco come criterio discretivo della compatibilità dell’intervento, ma – in coerenza con la finalità di tutela perseguita dalla disposizione – l’aggravio strutturale sull’area.
E’ del tutto coerente con questa finalità la testuale estromissione – dall’ambito degli interventi ammessi nella sottoclasse – della costruzione di piscine, mentre il divieto di recupero dei sottotetti, valorizzato dai privati, svolge un ruolo marginale ed è comunque limitato alla fattispecie in cui l’intervento superi i limiti del risanamento conservativo ex lett. c).
L’esclusione di operazioni di demolizione/ricostruzione si spiega proprio in ragione della particolare incidenza sui suoli che ne consegue, valutata come fattore di rischiosa alterazione di un equilibrio idrogeologico delicato. Si tratta peraltro di un intervento che palesemente esorbita dagli “adeguamenti” che il punto 7.3 della nota consente nella sottoclasse IIIb.
4. Quanto all’interpretazione evolutiva, l’insistito richiamo che a essa fanno le appellate non è concludente. La norma di piano va interpretata e applicata per quello che dice, mentre il sopravvenuto mutamento della disciplina di settore, nelle sue linee portanti, non appare da solo idoneo a modificare il significato normativo della disposizione controversa.
In particolare, non valgono le previsioni della legge regionale n. 20 del 2009, nel testo modificato dalle leggi 2 marzo 2011, n. 1, e 25 marzo 2013, n. 3, perché gli interventi in deroga che la legge autorizza non possono essere realizzati su edifici vincolati, quale è quello oggetto della causa (v. art. 5, comma 2).
La nota regionale del 12 novembre 2013, poi, è successiva al provvedimento impugnato.
5. Da ultimo, nessun peso possono avere gli esiti della verificazione. E’ irrilevante opporre il fatto al diritto, perché la norma della variante potrebbe in astratto anche essere irrazionale e illegittima, ma tale specifica doglianza non è stata dedotta in giudizio.
6. Dalle conclusioni che precedono discende che l’appello del Comune è fondato e va pertanto accolto.
I motivi non esaminati dal T.A.R. e riproposti con l’appello attengono a profili non contestati fra le parti. La riproposizione in questa sede appare sostanzialmente cautelativa e su tali censure, nulla opponendo il Comune, non occorre decidere.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell’art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
Considerate la novità della questione e la non perspicua formulazione del testo normativo di cui si discute, le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l'effetto, conferma la sentenza impugnata.
Compensa fra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 marzo 2015 con l'intervento dei magistrati:
Riccardo Virgilio, Presidente
Raffaele Greco, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Giuseppe Castiglia, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 27/04/2015