Civile, contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza
Civile, contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza
Corte di Cassazione sezione I Civile
Sentenza 7 luglio – 10 settembre 2015, n. 17910
Presidente Forte – Relatore Genovese
Si legge in sentenza “con riferimento alle sentenze pubblicate oltre il termine di trenta giorni successivo all’entrata in vigore della legge n. 134 del 2012 (che ha convertito il DL n. 83 del 2012), ha dettato un diverso tenore della previsione processuale invocata (360 n. 5 c.p.c.) la cui interpretazione è stata così chiarita dalle SU civili (nella Sentenza n. 8053 del 2014): la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.“
Nel caso in commento, la prima sezione civile della Suprema Corte di Cassazione, ha esaminato un interessante caso relativo al contrasto tra il dispositivo della sentenza e la parte motiva della stessa. In tali casi, affermano i giudici di Piazza Cavour, prevarrà quanto viene indicato nelle motivazioni, ecco il testo della sentenza:
Svolgimento del processo
1. La signora C.G.O. , madre esercente la responsabilità genitoriale del minore C.G.E. , nato nel XXXX dalla medesima e da B.L. , ha adito il Tribunale di Napoli, citando quest’ultimo, per la determinazione dell’assegno di mantenimento del figlio, con la conseguente condanna al rimborso di quanto anticipato e al risarcimento dei danni (morali e materiali) patiti dal minore, per l’inadempimento dei doveri derivanti dalla filiazione.
2. Il B. si è costituito ed opposto alla domanda.
3. Il Tribunale ha condannato il convenuto a contribuire al mantenimento del figlio, con un assegno mensile di Euro 650,00, a decorrere dal febbraio 2007, da rivalutare annualmente secondo gli indici Istat, oltre alle spese (mediche, scolastiche e di svago) nella misura del 50%, e a rimborsare la somma di Euro 8.700,00 alla madre nonché a pagare la somma di Euro 75.000,00, a favore del minore, con il vincolo pupillare, oltre alle spese del giudizio.
4. Il soccombente ha proposto appello principale, deducendo l’errore: a) nel governo delle spese giudiziali (che avrebbero dovuto essere compensate almeno in parte); b) nella determinazione del contributo, valutando le capacità economico-patrimoniale di ciascun genitore e senza omettere la considerazione del figlio primogenito, da mantenere anche a sue spese, sia nella sua residenza in Francia che nei soggiorni in Italia.
4.1. La C. , a sua volta, ha impugnato la decisione (in via incidentale) chiedendo una maggiorazione dell’assegno.
5. La Corte territoriale ha respinto i due appelli e compensato le spese del secondo grado di giudizio.
6. La Corte d’Appello di Napoli, per quello che qui ancora rileva, ha respinto il gravame principale, confermando la prima decisione: a) con riguardo alle spese giudiziali, avendo il primo giudice motivato, circa la soccombenza del B. in ordine alla sua eccezione (infondata) di inammissibilità della domanda della C. , sia riguardo alla congruità dell’assegno mensile di Euro 250,00 (fino ad allora corrisposto per il mantenimento del figlio), sia alla sua domanda di risarcimento danni per nascita indesiderata; nonché escludendo che la determinazione dell’assegno – in una minor misura rispetto a quello richiesto dalla genitrice -potesse costituire una parziale soccombenza della controparte; b) con riferimento alla determinazione del contributo previsto dall’art. 277, comma 2, c.c., per il mantenimento del figlio minore nato fuori del matrimonio, premessa l’identità del criterio liquidatorio rispetto a quello utilizzabile anche per gli altri figli, la somma quantificata dai primi giudici andava confermata in ragione dell’entità di quanto percepito dal padre, mensilmente (identica essendo, all’incirca, lo stipendio corrisposto dalla Nato, datore di lavoro comune ai genitori e per cui lavora anche la madre del minore), e in considerazione del suo compendio immobiliare, anche considerando l’impegno già in essere a favore dell’altro figlio (primogenito).
7. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il signor B. , con quattro mezzi di impugnazione, illustrati anche con memoria.
8. La signora C. resiste con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso (indicato come preliminare, e con cui lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 24, co. 2, 111, co. 2, Cost., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) il ricorrente si duole del fatto che il giudice di secondo cure avrebbe deciso la causa omettendo l’esame delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, tempestivamente depositate dall’appellante nel rispetto dei termini concessi ex art. 190 c.p.c., in quanto la decisione sarebbe stata assunta nella stessa data della celebrazione dell’udienza collegiale (il 29 novembre 2013), pur essendo stati assegnati i termini per il deposito delle comparse e delle repliche, effettivamente depositate dalle parti.
1.1. Si verserebbe, perciò, nell’ipotesi della violazione del diritto costituzionale di difesa (ex art. 24 Cost.) e del principio del contraddittorio nei rapporti con le altre parti ed il giudice (art. 111 Cost.).
2. Con il secondo mezzo (indicato come primo, e con cui si lamenta l’erronea applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) il ricorrente si duole della mancata compensazione, almeno parziale, delle spese del giudizio di primo grado in presenza di una non integrale soccombenza del B. .
3. Con il terzo (indicato come secondo, e con cui si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 132 n. 4 c.p.c. e 111, co. 2, Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., per omessa motivazione) il ricorrente lamenta la pretesa mancata motivazione in ordine alla sua condanna alla corresponsione a vario titolo degli importi indicati nella pronuncia, con riferimento al contributo di mantenimento del figlio, al rimborso delle spese sostenute e al risarcimento del danno esistenziale subito dal minore.
3.1. Il ricorrente, si duole della estrema laconicità della motivazione e dell’omissione di qualsiasi riferimento al lavoro espletato – su incarico del ricorrente – da studiosi di statistica dell’Università di Firenze, finalizzato al calcolo della giusta entità dei contributi a carico di ciascun genitore.
4. Con il quarto (indicato come terzo, e con cui si lamenta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per omessa pronuncia sulle istanze istruttorie) il ricorrente si duole della omessa pronuncia sulle istanze istruttorie.
5. Anzitutto deve essere esaminato il mezzo di ricorso denominato “preliminare” (e che, in realtà, corrisponde al primo motivo).
6.1. La denuncia di violazione di legge (nella specie di disposizioni costituzionali) non è fondata, poiché con essa si fa rilevare in realtà una contraddizione tra motivazione e dispositivo della sentenza, frutto della svista dell’estensore (e del Presidente del collegio).
6.2. Infatti, si assume (da parte del ricorrente) che il giudice di secondo cure avrebbe deciso la causa omettendo la previa lettura delle comparse conclusionali e delle memorie di replica, pure tempestivamente depositate dall’appellante, nel rispetto dei termini concessi ex art. 190 c.p.c., in quanto la decisione sarebbe stata assunta nella stessa data della celebrazione dell’udienza collegiale (il 29 novembre 2013), pur essendo stati assegnati i termini per il deposito delle comparse e delle repliche, effettivamente depositate dalle parti nei termini stabiliti.
6.3. Invero, come si evince dalla lettura della motivazione, “alla udienza del 29.11.2013, sulle conclusioni riportate in epigrafe, la causa è stata riservata a sentenza con i termini di cui all’art. 190 c.p.c.; le parti hanno poi depositato comparse conclusionali e memorie di replica” (p. 4) e non vi sono motivi per dubitare del rispetto di tale procedimento, osservato dai giudici, anche se poi è scritto (a p. 9 della sentenza, alla fine del dispositivo) che è stato “cosi deciso in Napoli, in data 29.11.2013”.
6.4. Orbene, come questa Corte ha già avuto modo di affermare (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 15585 del 2007), nell’ordinario giudizio di cognizione, l’esatto contenuto della pronuncia va individuato non alla stregua del solo dispositivo, bensì integrando questo con la motivazione nella parte in cui la medesima rivela l’effettiva volontà del giudice. Ne consegue che è da ritenere prevalente la parte del provvedimento che è da considerare come maggiormente attendibile e capace di fornire una giustificazione del dictum giudiziale.
6.5. Nel caso di specie, il contrasto tra la motivazione ed il dispositivo deve essere sciolto a favore di quanto riportato in motivazione atteso che l’indicazione della data di deliberazione, così come riportata nel dispositivo, è quello dell’udienza di precisazione delle conclusioni, non certo quella della seduta di camera di consiglio, tenutasi necessariamente in una data successiva, non menzionata (come avrebbe dovuto) ma verosimilmente posteriore alla data di deposito delle memorie conclusionali. Tanto è vero che la sentenza è stata depositata solo il 17 aprile 2014, ossia circa cinque mesi dopo la data di precisazione delle conclusioni, in una data altrimenti troppo lontana (se fosse stata quella della seduta deliberativa), che appare invece non tale e del tutto compatibile proprio con la decisione della controversia, avvenuta (credibilmente) solo dopo il deposito delle memorie (ed il decorso dei termini stabiliti per queste incombenze), esattamente come riportato in motivazione (a p. 4).
6.6. Ne consegue che l’errore in cui sono incorsi i giudici di appello nel datare la decisione in calce al provvedimento, lungi dall’essere un’ipotesi di contrasto insanabile tra dispositivo e motivazione, costituisce solo un errore materiale, come tale emendabile ai sensi degli articoli 287 e 288 cod. proc. civ. (procedura emendativa mai richiesta alla Corte territoriale, anche per fugare il dubbio espresso – in questa impropria sede – dal ricorrente che se ne duole).
7. Quello denominato come primo motivo di ricorso (ma che in realtà corrisponde al secondo mezzo) e che attiene alla mancata compensazione, anche parziale, delle spese del primo grado di giudizio, deve essere dichiarato inammissibile.
7.1. Infatti, il mezzo di impugnazione corrisponde a critiche svolte nel giudizio di appello e riprende (lì dove le aveva già svolte, ossia nell’appello) le censure avanzate in quella sede ma senza che siano esaminate e criticate, nella loro struttura motivazionale, le nuove argomentazioni, per quanto sintetiche, elaborate nella sentenza impugnata (a p. 5 della motivazione).
8. Quello denominato come secondo motivo di ricorso (ma che in realtà corrisponde al terzo mezzo) e che attiene alla presunta mancata motivazione (in realtà ben presente), deve essere dichiarato altrettanto inammissibile.
8.1. Infatti, questa Corte, con riferimento alle sentenze pubblicate oltre il termine di trenta giorni successivo all’entrata in vigore della legge n. 134 del 2012 (che ha convertito il DL n. 83 del 2012), ha dettato un diverso tenore della previsione processuale invocata (360 n. 5 c.p.c.) la cui interpretazione è stata così chiarita dalle SU civili (nella Sentenza n. 8053 del 2014): la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
8.2. Tale non è certamente il caso della sentenza impugnata che, alle pp. 6-8, riporta una sintetica ma congrua e perciò sufficiente motivazione esplicativa delle ragioni addotte a sostegno della conferma delle statuizioni deliberate dal primo giudice.
8.2.1. Perciò la critica svolta, per quando assai ampia (anche se costituita, come per il mezzo di ricorso precedentemente esaminato, essenzialmente dalla riproduzione – anche pedissequa – delle ragioni svolte in sede di appello) incorre nell’inammissibilità dello strumento utilizzato, in conformità del principio di diritto sopra richiamato.
9. Lo stesso deve dirsi per il quarto motivo di ricorso (definito come terzo) in quanto, in disparte la reiterazione, quasi pedissequa, delle doglianze svolte in sede di appello, il mezzo non correla l’omissione istruttoria (rendendola autosufficiente con le ragioni della sua proposizione) con il punto della decisione che, quei mezzi, ove ammessi, sarebbero idonei a confutare o sovvertire.
10. In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese giudiziali, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questa fase che liquida, in favore della resistente, nella complessiva misura di Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali forfettarie ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1- quater d.P.R. n. 115 del 2002, da atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
Dispone che, ai sensi dell’art.52 D. Lgs. n.198 del 2003, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
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