Mancata prescrizione della amniocentasi, responsabilità medica
Mancata prescrizione della amniocentasi, responsabilità medica
Suprema Corte di Cassazione Sezione III Civile
Sentenza 10/01/2017 n° 243
Svolgimento del processo
§1. B.V. , M.R. , B.A. e B.F. hanno proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del 6 febbraio 2013, con cui la Corte d’Appello di Catania ha rigettato l’appello da essi ricorrenti proposto contro la sentenza del dicembre 2006, con la quale il Tribunale di Catania aveva rigettato la domanda, proposta contro il dottor L.F.F. nel novembre del 2001 da B.V. e dalla M. , in proprio e nella qualità di esercenti la potestà sui figli allora minorenni A. e F. , per ottenere il risarcimento dei danni asseritamente subiti in conseguenza del comportamento tenuto dal medico in occasione della gravidanza della M. , conclusasi con la nascita di un terzo figlio affetto da sindrome di Down.
§2. Al ricorso hanno resistito con separati controricorsi il L.F. e la Zurich Insuranc Public Limited Company S.A. (già Zurigo Assicurazioni), che era stata chiamata in garanzia in primo grado dal L.F. .
§3. I ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
§1. Con il primo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1176 e 1218 c.c., art. 2 della legge 833/78, art. 2 e 32 Cost. – Omesso esame su fatti decisivi della controversia – Riferimento art. 360 n.ri. 3 e 5 c.p.c.”.
Il motivo esordisce con il ricordare che la corte etnea avrebbe riconosciuto l’obbligo di informazione gravante sul medico ed “il correlato diritto della M. , rectius della famiglia M. ” e, quindi, evidentemente alludendo alla motivazione che si vorrebbe criticare – osserva che essa, al rigo 21 della pagina 5, avrebbe aggiunto che il L.F. “comunque non ha mai fornito la prova del proprio adempimento, pur essendovi tenuto”, ancorché “tuttavia quell’obbligo informativo” fosse “strumentalmente preordinato non tanto all’esercizio di una procreazione consapevole, sibbene alla possibilità di praticare l’interruzione della gravidanza”, per poi affermare che la domanda non poteva essere accolta in quanto gli appellanti avevano dedotto “quale unica conseguenza lesiva… la violazione dell’obbligo informativo del sanitario”.
Dopo avere così individuato la motivazione che si intende sottopone a critica, nella successiva illustrazione si argomenta che gli attori non avevano “limitato la loro pretesa risarcitoria alla violazione dell’obbligo informativo del medico”, adducendosi che era “stata lamentata sin dal primo grado (…) la lesione del diritto di sapere che ha precluso di scegliere consapevolmente se abortire o no”.
Immediatamente dopo si asserisce che “frana dunque il teorema della Corte che assolve il medico con il mero aforisma del: … siccome tu non avresti comunque abortito, poco importa se io non ti ho informata…”.
La domanda avrebbe dovuto, invece, essere accolta sulla base della “logica equazione: mancata informazione tempestiva uguale impossibilità di scegliere se abortire oppure no”.
§1.1. Il motivo è inammissibile.
Rileva il Collegio che, all’esito della lettura dell’illustrazione del motivo, emerge un’evidente carenza di precisa individuazione della motivazione della sentenza impugnata che si vorrebbe criticare ed anzi una palese contraddizione fra il modo in cui ad essa ci si riferisce in limine dell’illustrazione (con la riproduzione delle due brevi espressioni sopra riprodotte) e il modo in cui ad essa ci si riferisce in chiusura della stessa illustrazione.
Nel primo caso si imputa alla sentenza d’appello di avere asserito che l’obbligo informativo del medico era finalizzato non all’esercizio di una procreazione consapevole, ma alla possibilità di praticare l’interruzione di gravidanza. Nel secondo si imputa alla Corte di merito di avere ritenuto che la mancanza di informazione sarebbe stata irrilevante perché in ogni caso la M. non avrebbe abortito.
Il motivo, dunque, rivela un’intrinseca contraddizione nella necessaria attività di individuazione della motivazione criticata.
§1.2. Peraltro, se si passa ad esaminare la sentenza impugnata, emerge che la prima delle brevissime frasi indicate nella prima parte dell’illustrazione del motivo è stata enunciata dalla Corte territoriale fra parentesi, dopo l’articolazione di una prima motivazione, imperniata in primo luogo sull’asserto che la pretesa risarcitoria derivante dalla lamentata violazione dell’obbligo informativo, “quantomeno così come espressa nell’atto di appello”, non era “mai stata ricondotta alla impossibilità, da parte della gestante, di far luogo alla interruzione della gravidanza, ma piuttosto unicamente al fatto di non aver potuto proseguire la gestazione con la consapevolezza di avere in grembo un feto affetto da sindrome di Down”, di modo che “nel caso in esame l’unica conseguenza lesiva che viene ricondotta alla violazione dell’obbligo informativo del sanitario” era “rappresentata unicamente dall’aver subito la M. al momento della nascita l’effetto “sorpresa” dal quale poi sarebbero scaturiti i dichiarati effetti dannosi alla di lei salute psico-fisica (nevrosi ansioso depressiva)”. Dopo di che la Corte di merito ha escluso la responsabilità del medico adducendo che, poiché in atti era dimostrato un rifiuto della M. di sottoporsi all’amniocentesi, quel comportamento escludeva che potesse sul piano causale attribuirsi una qualche rilevanza riguardo al lamentato danno al comportamento del medico, pur inadempiente (in quanto non aveva fornito la prova del proprio adempimento: è qui che trovasi inserita l’espressione richiamata nel motivo), di modo che era corretta la valutazione in tal senso della sentenza di primo grado.
§1.3. Ebbene, una volta letta la motivazione della sentenza impugnata, emerge in modo manifesto innanzitutto che la seconda frase riportata dall’illustrazione del motivo con intermezzo di puntini sospensivi altera, proprio tramite di essi, quanto la sentenza ha affermato.
In secondo luogo e comunque che la contraddittoria illustrazione del motivo non si correla affatto ad essa.
Ne deriva che il motivo di violazione di norme di diritto, al di là della già segnalata contraddittoria enunciazione, è per tale ragione inammissibile, in quanto la censura in iure sopra riferita si rivela non rivolta contro l’effettiva motivazione della sentenza impugnata.
L’illustrazione del motivo non contiene, poi, affatto l’indicazione di un fatto di cui sia stato omesso l’esame ai sensi del n. 5 dell’art. 360 c.p.c. e semmai evoca circostanze di fatto senza fornire l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c..
§2. Con il secondo motivo si denuncia “violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. – Omesso esame su fatto decisivo della controversia – Riferimento art. 360 n.ri 3 e 5 c.p.c.”.
Vi si censura la motivazione con cui la Corte territoriale ha ritenuto che il rifiuto della M. di sottoporsi ad amniocentesi in occasione del controllo presso l’Ospedale (omissis) sarebbe stato un comportamento della medesima idoneo ad elidere ogni efficienza causale del comportamento inadempiente del L.F. rispetto al danno che la stessa Corte ha ritenuto di individuare come oggetto della domanda per come limitata in appello.
L’illustrazione procede, dopo avere fatto richiamo a Cass. n. 7269 del 2013, particolarmente quanto all’affermazione, svolta in motivazione e pertinente rispetto alla decisione di merito allora impugnata, che “il rifiuto di sottoporsi ad amniocentesi, per i rischi ad essa connessi, è indice estremamente ambiguo, allorché venga espresso in un contesto diagnostico non allarmante, di talché la percezione del pericolo di danneggiare inutilmente un feto sano è ragionevolmente più forte del timore di mettere al mondo un bimbo gravemente malato”, con l’asserto che nella specie non si è tenuto in alcun conto che il rifiuto della M. era stato diretta conseguenza delle rassicurazioni ottenute dal L.F. due mesi prima, di modo che esse avevano fatto sì che la M. , rassicurata sulla buona salute del bimbo, recepisse con “preoccupata, comprensibile diffidenza l’analisi propostale da medici diversi dal suo ginecologo”.
A questa prospettazione, peraltro, seguono argomentazioni che lamentano l’erroneità di tale valutazione, adducendo che con essa la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che la M. , se anche informata a suo tempo dal L.F. , in ogni caso avrebbe rinunciato alla scelta di abortire. Si critica, cioè, la sentenza impugnata come se avesse desunto dal rifiuto della M. di sottoporsi a novembre all’amniocentesi, la conclusione che la stessa non avrebbe scelto di abortire ove, una volta sottopostasi all’esame, avesse avuto contezza della sindrome poi rivelatasi presente nel figlio e, quindi, l’ulteriore inferenza che, ove il L.F. due mesi prima le avesse consigliato quello stesso accertamento, parimenti essa, una volta conosciutone l’esito, non avrebbe interrotto la gravidanza.
§2.1. Queste argomentazioni non considerano l’effettiva motivazione della sentenza impugnata, la quale, come s’è veduto esaminando il primo motivo, ha espressamente affermato che i ricorrenti in appello avevano concentrato la domanda risarcitoria individuando il danno c.d. conseguenza sofferto dalla M. nell’effetto di “sorpresa” delle condizioni del figlio, dal che sarebbe scaturito il danno alla sua salute psico-fisica, cioè una nevrosi ansiosa depressiva.
Il motivo, peraltro, là dove, dopo avere svolto l’erronea supposizione di cui si è detto, sostiene che l’affermazione della sentenza impugnata circa l’interruzione del nesso causale riferito al danno così individuato da parte del rifiuto a sottoporsi all’amniocentesi sarebbe stata contraria all’art. 2727 c.c., in quanto l’applicazione di tale norma avrebbe giustificato che dal dato – che si dice pacifico – dell’insorgenza all’esito della gravidanza della nevrosi ansioso-depressiva, dovesse desumersi che analoga patologia si sarebbe manifestata nella M. se avesse conosciuto le condizioni del feto, ove il L.F. le avesse prescritto l’amniocentesi a settembre del 1999 e vi si fosse sottoposta.
Tuttavia, subito dopo tale asserto si torna a postulare che il comportamento del L.F. e, quindi, il deficit di informazione da lui provocato, avrebbe cagionato come danno la perdita della scelta di decidere se interrompere la gravidanza.
§2.2. Il motivo, nonostante la confusione ingenerata dall’erroneo riferimento al danno rispetto al quale la Corte avrebbe ritenuto l’efficacia interruttiva sul piano del nesso causale del rifiuto della M. di sottoporsi all’amniocentesi rispetto al comportamento del medico, si presta ad essere inteso come motivo che investe la correttezza in iure della premessa che ha portato la Corte territoriale ad affermare quell’efficacia e come tale dev’essere scrutinato.
Il motivo dev’essere esaminato nell’esercizio dei poteri di questa Corte di attribuire alla censura in iure l’esatto significato che essa riveste in relazione al diritto oggettivo e con riferimento alla motivazione impugnata.
Detti poteri si debbono esercitare, al di là della correttezza dei ragionamenti svolti dal ricorrente, per sorreggere la censura in iure, essendo compito della Corte di Cassazione, una volta dedotto un motivo di violazione di norma di diritto, considerarlo al di là di detta correttezza, cioè dando rilievo alla questione di diritto che esso pone sulla base dell’esatto inquadramento nel tessuto normativo, che la Corte conosce in applicazione del principio iura novit curia.
§2.3. Il motivo, stante l’evocazione della violazione dell’art. 2727 e 2729 c.c., prospetta come sostanza della censura che erroneamente la corte territoriale avrebbe inferito che il nesso causale fra il comportamento del medico, che la stessa Corte ha qualificato come di inadempimento, e l’evento dannoso (pur, come s’è veduto, erroneamente individuato) sia stato interrotto dal comportamento tenuto dalla M. nel (omissis) , allorquando la stessa si rifiutò di sottoporsi all’amniocentesi. Tale rifiuto, secondo la corte siciliana, avrebbe assunto efficacia causale esclusiva del danno, cioè, per il tramite dell’effetto di “sorpresa” circa la condizione del figlio verificatosi al momento della nascita, della determinazione delle conseguenze sulla salute psico-fisica della M. .
Ora, la corte di merito non ha giustificato il suo ragionamento facendo riferimento alle norme degli artt. 2727 e 2729 c.c., evocate nell’intestazione del motivo, ma ha, facendo riferimento al concetto di interruzione del nesso causale, fatto applicazione del criterio di causalità, che nel nostro ordinamento civile non ha un preciso referente normativo, se non in quello di consequenzialità immediata e diretta di cui all’art. 1223 c.c., il quale, com’è noto, induce e giustifica l’applicazione delle regole di causalità dettate dal codice penale negli artt. 40 e 41. Sostanzialmente il ragionamento della corte territoriale si è risolto nella surrettizia applicazione del secondo comma dell’art. 41, poiché ha attribuito al rifiuto, quale fatto sopravvenuto all’inadempimento del L.F. , efficacia causale esclusiva nella determinazione della sorpresa causativa del danno alla M. .
Il motivo, dunque, avrebbe dovuto evocare la violazione del secondo comma dell’art. 41 del c.p..
Alla stregua di Cass. sez. un. n. 17931 del 2013 ciò di cui il ricorso si duole con il motivo in esame, pur nella confusione circa l’individuazione del danno che sopra è stata riferita, consente, però, di intendere l’esatto parametro normativo della cui sostanziale erronea applicazione si duole.
Ebbene l’applicazione implicita dell’art. 41, secondo comma, c.p.c., che è stata fatta dalla sentenza impugnata, risulta erronea, una volta assunti i criteri di individuazione della causa sopravvenuta di per sé sola sufficiente a determinare l’evento dannoso e ad elidere l’efficacia causale del comportamento del soggetto inadempiente.
Occorre tenere conto della particolarità della fattispecie ed in particolare del fatto che, per effetto dell’inadempimento, pacificamente riconosciuto addebitabile al L.F. con affermazione della sentenza impugnata su cui si è formata cosa giudicata e che avrebbe dovuto essere impugnata, sia pure con ricorso incidentale condizionato, dai resistenti, la situazione della M. , là dove non gli fu prescritto o almeno consigliato di sottoporsi all’amniocentesi, si connotò, fino al momento in cui venne fatta successivamente la prescrizione dell’accertamento due mesi dopo, come situazione che metteva la M. nella condizione di confidare che la gravidanza era regolare.
Nel momento in cui l’amniocentesi le venne invece prescritta oltre cinque mesi dopo la gravidanza, la situazione della M. non era quella che era stata al momento dell’inadempimento del L.F. .
Allora era situazione di incertezza, per la cui soluzione si era affidata al medico e, successivamente allo svolgimento della prestazione del medico essa si trasformò in situazione di affidamento e certezza per effetto del risultato di quella prestazione. Ne segue che, al momento del rifiuto di sottoporsi all’amniocentesi due mesi dopo, tale rassicurazione la decisione della M. e, quindi, il comportamento cui si è attribuito efficacia causale esclusiva, ebbe luogo in una situazione e condizione diversa, nella quale da un lato vi era l’affidamento nell’operato del L.F. e dall’altro vi era la prescrizione dell’Ospedale. Non solo: la gravidanza era giunta ormai ad uno stato più avanzato di ben due mesi e, sebbene il diritto di scelta sul se continuare la gravidanza comunque si collocasse, come all’epoca della prestazione del L.F. , al di là del periodo che consente alla gestante di scegliere di abortire liberamente, era mutato il bene coinvolto dalla scelta, atteso che il feto ormai aveva due mesi in più.
L’essere stata posta la M. in una condizione di scelta sul se proseguire la gravidanza o interromperla con due mesi in più di durata della stessa ed il dovere esercitare la scelta ponendo a raffronto, nei termini in cui un paziente può farlo, il risultato della prestazione del L.F. e quello della prescrizione dell’Ospedale, non consente di attribuire alla sua scelta, indirizzatasi con il rifiuto della seconda, l’efficacia di causa esclusiva oltre che della prosecuzione della gravidanza soprattutto dell’effetto della sorpresa poi verificatasi all’atto della nascita, quale evento dannoso che avrebbe avuto la conseguenza di ledere la sua integrità psico-fisica.
Essendo avvenuta la scelta di rifiutare anche sulla base e, quindi, con il condizionamento del risultato dell’inadempimento della prestazione del medico non si può ritenere in astratto – cioè utilizzando il criterio dell’id quod plerumque accidit quando taluno prima si rivolge ad un medico di fiducia e confida nella sua diagnosi e poi, da parte di una struttura ospedaliera, ha una diagnosi diversa e si deve determinare – che il risultato della prestazione del L.F. , cioè il suo inadempimento, sia di per sé divenuto privo di ogni efficienza causale. Poiché esso, sempre in astratto, ha condizionato la scelta di rifiutare la prescrizione della struttura, l’affermazione della corte di merito nel senso di attribuire alla scelta stessa un’efficacia causale sopravvenuta esclusiva non è corretta. Non è corretto cioè dire che, poiché la M. ha rifiutato l’amniocentesi a (omissis) , è solo tale rifiuto che ha cagionato la sorpresa dell’esito della gravidanza. L’efficacia causale esclusiva del rifiuto postulava il concreto accertamento che esso non dipendesse anche solo parzialmente dal fatto di confidare nella diagnosi del L.F. .
Il che postulava il concreto accertamento delle modalità e del contesto in cui il rifiuto era avvenuto, naturalmente sulla base delle richieste istruttorie formulate dalle parti, se ammissibili, e naturalmente se il giudice d’appello ne era stato investito eventualmente anche con critica delle valutazioni espresse dal primo giudice.
§2.4. D’altro canto, il ragionamento della Corte di merito risulta erroneo anche per un’ulteriore autonoma ragione: invero, la cattiva esecuzione della sua prestazione da parte del L.F. ha in ogni caso precluso alla M. la possibilità di conoscere lo stato del feto fin dal momento in cui si rivolse al medesimo. Su tale preclusione il successivo rifiuto dell’amniocentesi non ha potuto dispiegare alcuna efficacia causale esclusiva sopravvenuta per l’assorbente ragione che la perdita della chance di conoscere lo stato di gravidanza e, quindi, di abituarsi alla condizione del nascituro fin da quel momento, si era ormai definitivamente verificata quando nel (OMISSIS) ebbe luogo il rifiuto.
Né può interpretarsi il rifiuto come una sorta di rinuncia tacita a dolersi della perdita della detta chance. Il rifiuto si risolse solo nella perdita – peraltro astrattamente imputabile anche all’inadempimento – della possibilità di conoscere lo stato del feto a partire dal momento in cui venne espresso.
Sotto questo secondo aspetto si configura certamente un’efficacia causale dell’inadempimento per quella parte del danno che si individui come determinata dalla perdita della chance di conoscere lo stato del feto ben prima dell’esito della gravidanza.
Le svolte considerazioni comportano l’accoglimento del motivo e la cassazione della sentenza impugnata.
La Corte di merito provvederà ad una nuova decisione applicando i seguenti principi di diritto, che intendono esprimere – secondo il modo delle c.d. massime di specie – il modo in cui la fattispecie concreta avrebbe dovuto essere sussunta sotto le regole giuridiche del rapporto causale:
a) “qualora risulti che un medico ginecologo, cui fiduciariamente una gestante si sia rivolta per accertamenti sulle condizioni della gravidanza e del feto, non abbia adempiuto correttamente la prestazione, per non avere prescritto l’amniocentesi ed all’esito della gravidanza il feto nasca con una sindrome che quell’accertamento avrebbe potuto svelare, la mera circostanza che due mesi dopo quella prestazione la gestante abbia rifiutato di sottoporsi all’amniocentesi presso una struttura ospedaliera in occasione di ulteriori controlli, non può dal giudice di merito essere considerata automaticamente come causa efficiente esclusiva, sopravenuta all’inadempimento, riguardo al danno alla propria salute psico-fisica che la gestante lamenti per avere avuto la “sorpresa” della condizione patologica del figlio all’esito della gravidanza, occorrendo all’uopo invece accertare in concreto che sul rifiuto non abbia influito il convincimento ingenerato nella gestante dalla prestazione erroneamente eseguita”;
b) “qualora risulti che un medico specialista in ginecologia, cui una gestante si sia rivolta per accertamenti sulle condizioni della gravidanza e del feto, non abbia adempiuto correttamente la prestazione per non avere prescritto l’amniocentesi ed all’esito della gravidanza il feto nasca con una sindrome che quell’accertamento avrebbe potuto svelare, la mera circostanza che, due mesi dopo quella prestazione, la gestante abbia rifiutato di sottoporsi all’amniocentesi, non elide l’efficacia causale dell’inadempimento quanto alla perdita della chance di conoscere lo stato della gravidanza fin dal momento in cui si è verificato e, conseguentemente, ove la gestante lamenti di avere subito un danno alla salute psico-fisica, per avere avuto la sorpresa della condizione patologica del figlio solo al termine della gravidanza, la perdita di quella chance dev’essere considerata un parte di quel danno ascrivibile all’inadempimento del medico”.
§3. Il terzo motivo lamenta che non si sia dato sfogo alle prove ritenute inammissibili dal primo giudice ed alla richiesta di c.t.u..
Non essendosi la Corte territoriale pronunciata riguardo alla loro ammissibilità e, quindi, sulla doglianza rispetto all’operato di quel giudice, esso resta assorbito.
Il giudice di rinvio dovrà pronunciarsi al riguardo ai fini dello svolgimento del giudizio di rinvio.
§4. Il quarto motivo è inammissibile alla stregua di Cass. sez. un. n. 3840 del 2007.
Invero, la corte territoriale, una volta individuata – a torto o a ragione – la domanda per come devolutale dall’appello esclusivamente nella postulazione di un danno psico-fisico cagionato all’avere la M. avuto la “sorpresa” dello stato morboso del nuovo nato, non aveva potestas iudicandi sulla domanda intesa come relativa al danno da perdita della possibilità di scegliere di interrompere la gravidanza.
D’altro canto, i ricorrenti non hanno svolto alcun motivo di impugnazione contro l’affermazione della sentenza impugnata circa il tenore della domanda devoluta in appello.
Per discutere delle questioni poste dal motivo sarebbe stato necessario formulare un motivo di impugnazione.
§5. Il quinto ed il sesto motivo pongono questioni che dovranno prospettarsi al giudice di rinvio, non essendo state decise dalla sentenza impugnata, in ragione della soluzione data all’appello.
§6. Rimane assorbito anche il settimo motivo, concernente la statuizione sulle spese, che resta caducata, in conseguenza della cassazione della sentenza impugnata.
§7. Conclusivamente la sentenza è cassata in relazione al secondo motivo.
Il giudice di rinvio, che si designa in altra sezione della Corte d’Appello di Catania, comunque in diversa composizione, provvederà al regolamento delle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il primo motivo. Accoglie il secondo motivo. Dichiara assorbito il terzo ed inammissibili il quarto, il quinto ed il sesto motivo. Dichiara assorbito il settimo motivo. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia ad altra sezione della Corte d’Appello di Catania, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.
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