Cassazione, senza patente offre soldi all’agente di polizia
Fermato senza patente offre soldi all’agente di polizia. Assolto
Suprema Corte di Cassazione VI Sezione Penale Sentenza 4 novembre 2015 – 19 gennaio 2016, n. 1935 – Presidente Agrò – Relatore Di Salvo
Ritenuto in fatto
1.S.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata, nella parte in cui ha confermato la sentenza di condanna emessa in primo grado, in ordine al delitto di cui all’art. 322 cod. pen..
2.11 ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché l’offerta di 100 euro all’agente di polizia che lo aveva colto alla guida di un’autovettura, in stato di ebbrezza, non rivestiva connotati di serietà e non era tale da assumere alcuna effettiva e concreta potenzialità corruttiva, anche perché il ricorrente era visibilmente ubriaco, avendo perfino difficoltà ad articolare il linguaggio, onde non è ravvisabile neanche il dolo del reato in disamina, non potendosi nemmeno escludere che egli volesse soltanto pagare la sanzione pecuniaria, dovuta per l’illecito riscontrato a suo carico.
Si chiede pertanto annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1.Le doglianze formulate sono fondate. Ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 322 cod. pen. è infatti necessario che l’offerta sia caratterizzata da adeguata serietà e sia in grado di turbare psicologicamente il pubblico ufficiale (Cass., Sez. 6, 29-1-1998, Lupo). La serietà dell’offerta va valutata alla stregua delle condizioni dell’offerente nonché delle circostanze di tempo e di luogo in cui l’episodio si colloca (Cass., Sez. 6, 25-5-2000, Evangelista).
Nel caso di specie, risulta dalla motivazione della sentenza impugnata che l’imputato era in stato di ubriachezza, tanto che aveva appena cagionato un incidente stradale. D’altronde la somma offerta era certamente modesta. Alla luce del contesto appena descritto,il giudice a quo avrebbe dovuto tematizzare il profilo inerente alla ravvisabilità, nell’offerta, di connotati di serietà tali da provocare nel pubblico ufficiale un concreto ed effettivo turbamento. Né rilievo dirimente può assumere la frase “parliamo da persone serie”, proferita, nella circostanza,dall’imputato, attese le condizioni in cui versava quest’ultimo. D’altronde la sussistenza del reato va esclusa allorchè, come nel caso in disamina, difetti l’idoneità potenziale dell’offerta a ledere o a porre in pericolo l’interesse protetto dalla norma (Cass., Sez. 6,n. 28311 dell’ 8-5-2003, Rv. 225758).
2. I principi appena indicati si collocano nell’alveo dell’ampia elaborazione dottrinaria e giurisprudenziale in tema di offensività. Come è noto, Il principio di offensività ha trovato espresso riconoscimento sia nella giurisprudenza della Corte Costituzionale che in quella della Corte di cassazione. Il giudice delle leggi ha infatti più volte affermato la rilevanza di questo principio e, pur non esprimendosi in ordine al suo fondamento costituzionale, ha asserito che esso costituisce un canone ermeneutico di fondamentale importanza (cfr., in tal senso, Corte cost. 19-26 marzo 1986, n. 62, Von Delleman, in materia di armi ed esplosivi; Corte cost. n. 957 del 26 settembre -6 ottobre 1988, Leombruni, in tema di sottrazione di minorenni; Corte cost., n. 360 del 24-7-1995, Leocata e Corte cost. , n. 133 del 27-3-1992, Bizzarri, in materia di sostanze stupefacenti). L’applicazione di questo criterio interpretativo importa, secondo il giudice costituzionale, in primo luogo, l’individuazione del bene tutelato, argomentando “dal sistema tutto e dalla norma particolare (così, letteralmente, Corte cost., 19-26 marzo 1986 n 62); e,in secondo luogo, la valutazione della effettiva lesività del fatto. In quest’ottica, la Corte costituzionale ha, più volte (Corte cost. n. 263 e n 519 del 2000; ord. n. 30 del 2007), additato al giudice la necessità di verificare la sussistenza non solo della formale tipicità del fatto ma anche della sua effettiva capacità di offendere il bene protetto. In questa prospettiva, si è affermato, in giurisprudenza, che il giudice di merito deve verificare se la condotta oggetto della contestazione risulti effettivamente e concretamente pericolosa, cioè idonea a ledere o a porre in pericolo il bene giuridico tutelato, giacché, ove il comportamento posto in essere dall’agente risulti assolutamente inidoneo a porre a repentaglio il bene protetto, deve concludersi per l’inoffensività della condotta, con la conseguente applicazione della disciplina del reato impossibile (Cass., Sez. 4, n. 40819 del 21-10-2008; Cass. 2-5-2001 , Pinarello; Sez 4, n. 37253 del 17-9-2002).
Anche le Sezioni unite (Sez. U. 2- 4-1998, Kremi), pur esprimendosi nel senso che integra il reato di cui all’art. 73 DPR 309/90 la cessione a terzi di sostanza stupefacente contenente un principio attivo così modesto da escluderne l’efficacia drogante, in quanto i beni oggetto della tutela penale, individuabili in quelli della salute pubblica, della sicurezza e dell’ordine pubblico,sono messi in pericolo anche dallo spaccio di dosi contenenti un principio attivo al di sotto della soglia drogante, si sono richiamate al principio, affermato dalla giurisprudenza costituzionale, secondo il quale, ove la singola condotta sia assolutamente inidonea a porre in pericolo i beni giuridici tutelati, viene meno la riconducibilità della fattispecie concreta a quella astratta. Le indispensabili connotazioni di offensività di quest’ultima, implicano, infatti, di riflesso, la necessità che anche in concreto l’offensività sia ravvisabile, almeno in grado minimo, nella singola condotta dell’agente. In difetto di ciò, la fattispecie verrebbe a refluire nella figura dei reato impossibile.In questa prospettiva si collocano anche varie pronunce della Corte di cassazione,ad esempio,in materia di reati di falso (Cfr., ex plurimis, Cass. 4-11-1993, Buraccini, che ha statuito che la falsità non è punibile quando si riveli in concreto inidonea a ledere l’interesse tutelato dalla genuinità del documento, vale a dire quando non abbia la capacità di conseguire uno scopo antigiuridico ed appaia dei tutto irrilevante ai fini del significato dell’atto e dei suo valore probatorio; Cass., 13-11-1997, Gargiulo, secondo la quale non è punibile, per inidoneità dell’azione a produrre l’evento dannoso, la falsità che si riveli in concreto insuscettibile di produrre una lesione dell’interesse tutelato); o di alimenti (cfr., ad esempio, Cass. 12-3-1998, Piazza, secondo cui, una volta che la USL abbia rilasciato il parere favorevole , essendo già stata accertata la sussistenza dei prescritti requisiti igienico-sanitari, l’esercizio dell’attività dopo tale parere non configura una reale violazione dell’art. 2 I. 283/62, dal momento che il difetto del provvedimento formale di abilitazione, ormai dovuto , non configura alcuna offesa all’interesse tutelato dalla norma).
A quest’ordine di idee possono essere ricondotte anche svariate pronunce di questa Corte in materia di sostanze stupefacenti (cfr., ex plurimis, Cass. 1- 2 -1989, Bellinger, secondo la quale, per la sussistenza del reato, occorre che il materiale oggetto della condotta abbia percentuali di tetraidrocannabinolo sufficienti a rendere effettivamente psicoattivo il contenuto della sostanza; conf. Cass. 2-101989, Biscardi, nonché Cass. 1-10-1993, El Mehirsi).
3.In un orizzonte concettuale affine a quello in disamina si colloca l’indirizzo ermeneutico volto a valorizzare la ratio dell’incriminazione. Anche questo orientamento muove dall’esigenza di sottrarre all’area della punibilità i c.d. fatti inoffensivi conformi al tipo. Ed è stato rilevato, in dottrina, come le ipotesi di sfasatura tra tipicità ed offesa non siano conseguenza di un’imperfetta formulazione tecnico-legislativa della fattispecie bensì della tensione tra astrattezza normativa e concretezza fattuale. Si ritiene però che non possa essere tanto il concetto di bene giuridico a risolvere i problemi applicativi posti dalle ipotesi di sfasatura quanto lo scopo della norma. Le ipotesi fattuali di discrasia fra tipicità ed offesa non rientrano infatti, secondo questa tesi, negli scopi di tutela della disposizione incriminatrice, per cui la non punibilità dei soggetto può essere affermata mediante un’interpretazione teleologica della norma, incentrata sulla considerazione degli scopi di tutela perseguiti dal legislatore. L’interpretazione teleologica della norma è infatti espressamente prevista dall’art. 12 prel. ed impone di fare riferimento all’intenzione del legislatore. Tale interpretazione induce, nei casi in disamina, ad escludere la tipicità dei fatto, in quanto il fatto inoffensivo in realtà non è conforme al modello legale finalisticamente interpretato. Si tratta, come si vede , di un diverso percorso interpretativo che conduce però agli stessi risultati.
4.Nel caso in disamina,dunque, la mancanza di serietà dell’offerta e, conseguentemente,l’inidoneità della condotta a ledere o a porre a repentaglio l’oggetto giuridico della norma elide la rilevanza penale del fatto.
La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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