Sinistro stradale e danno biologico
Sinistro stradale e danno biologico
Corte di Cassazione, sezione III Civile,
sentenza 12 novembre 2014 – 20 maggio 2015, n. 10246
Presidente Petti – Relatore Travaglino
Con la sentenza in esame la Cassazione ha trattato esaminato il caso di un uomo, deceduto in coseguenza di un sinistro stradale.
L’uomo era terzo trasportato a bordo della vettura condotta dal convenuto che perdeva il controllo della vettura a causa dell’alta velocità cagionando l’incidente.
I prossimi congiunti della vittima chiedevano quindi il risarcimento del danno derivato dall’incidente osservando che il decesso avveniva dopo alcuni giorni del sinistro.
Testo della sentenza
Corte di Cassazione, sezione III Civile,
sentenza 12 novembre 2014 – 20 maggio 2015, n. 10246
Presidente Petti – Relatore Travaglino
I fatti
Gli odierni ricorrenti convennero dinanzi al Tribunale di Cosenza M.B. e la s.p.a. Bayerische Assicurazioni, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da loro patiti in conseguenza del decesso del prossimo congiunto G.B., terzo trasportato a bordo dell’auto condotta dal convenuto che, a causa dell’eccessiva velocità, ne aveva perduto il controllo cagionando il gravissimo incidente in cui aveva perso la vita il giovane.
Il giudice di primo grado accolse in parte qua la domanda.
La corte di appello di Catanzaro, dinanzi alla quale i B. avevano impugnato la sentenza, rigettò il gravame. Gli appellanti hanno proposto ricorso per cassazione sorretto da 2 motivi di censura e illustrato da memoria.
Resiste con controricorso la Ergo s.p.a. (subentrata, nelle more, all’originaria compagnia assicurativa convenuta in prime cure).
Le ragioni della decisione
Il ricorso è infondato.
Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2043, 2056 e 2059 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.; insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.. Il motivo – con il quale si lamenta, da un canto, la impredicabilità della circostanza dello stato di coma del giovane B., dall’altro, sotto plurimi profili, la insufficienza dei valori monetari riconosciuti agli istanti a titolo di risarcimento iure haereditario – è in parte inammissibile, in parte infondato.
Inammissibile nella parte in cui viene prospettato in sede di legittimità una circostanza di fatto che non risulta – dalla lettura della sentenza impugnata – essere mai stata oggetto di dibattito nei precedenti gradi di giudizio (i.e. lo stato di coma del giovane deceduto, del quale si mostra di dubitare nello svolgimento del motivo), senza che, in spregio al principio di autosufficienza del ricorso, venga indicato alla Corte in quale fase del giudizio di merito la questione sia stata tempestivamente sollevata e il suo esame illegittimamente pretermesso;
Infondato nella parte in cui, lamentando un insufficiente riconoscimento della gravità del danno patito dalla vittima e una conseguente esiguità del risarcimento, esso appare destinato ad infrangersi sul corretto impianto motivazionale adottato dal giudice d’appello che, con ampia e articolata motivazione, ha ritenuto, in sintesi, di affermare i principi che seguono, sulla premessa in punto di fatto (folio 12 della sentenza impugnata) che G.B. non riprese mai conoscenza dopo l’incidente, restando ricoverato da quello stesso giorno (il 22.9.1997) in stato di coma profondo nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Cosenza sino alla data della morte (13.10.1997):
La circostanza che il B. non avesse ripreso conoscenza non poteva ritenersi di scarso rilievo ai fini della personalizzazione del danno;
Il dictum delle sentenze di S. Martino (in particolare, di Cass. ss.uu. 26973/2008) sul tema del danno da lucida agonia, e dell’insopprimibile angoscia che assale la vittima in attesa della fine – che sopraggiunge anche di lì a poche ore – consentiva la risarcibilità del danno morale inteso “nella sua nuova e più ampia accezione”, mentre il limitatissimo intervallo di tempo intercorso tra lesione e morte – fattispecie diversa da quella comunemente definita “danno tanatologico”, riferibile alla sola ipotesi di perdita del bene (non della salute ma) della vita come conseguenza immediata della lesione – impediva la degenerazione in patologia del danno sofferto;
Tale principio non appariva peraltro predicabile qualora la sopravvivenza del danneggiato si fosse protratta per alcuni giorni (nella specie, quasi due settimane), ipotesi nella quale non era seriamente contestabile la sussistenza della componente di danno non patrimoniale rappresentato dalla invalidità temporanea, normativamente disciplinata da ultimo con il codice delle assicurazioni agli artt. 138 e 139:
– In particolare, l’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte sembrava “non chiarire la regola da seguire per i soggetti non senzienti rimasti in vita per alcuni giorni, per i quali non può valere l’applicazione dei criteri di quantificazione che la decisione 26973 detta per il giudice del rinvio nel caso di un danneggiato in giovane età deceduto dopo poche ore a seguito delle gravi ustioni riportate, discorrendo espressamente di protrazione dell’agonia in stato di lucidità … sofferenze fisiche per le lesioni mortali e sofferenze morali per la coscienza della imminente fine della vita, di estrema gravità; La più meditata presa di posizione sul punto era rappresentata da quanto affermato in Cass. 21976 del 2007, ove si legge che il danno terminale, biologico e morale, sussiste in tutti i casi in cui tra il fatto illecito e il decesso della vittima sia trascorso un apprezzabile lasso di tempo, tale potendosi astrattamente considerare anche la sopravvivenza della vittima per 24 ore dal fatto: sia il danno biologico, sia il danno morale terminali comprendono anche le sofferenze fisiche e morali sopportate dalla vittima in stato di incoscienza;
Il danno da liquidare, in tali casi, è quello sofferto nel tempo (di cui si era predicata la caratteristica della apprezzabilità) intercorso tra la lesione e la morte: si trattava della più grave forma possibile di danno alla salute, rapportato al solo periodo di sopravvivenza dopo il sinistro, valutato come M. nella sua entità e intensità e conseguentemente destinato ad essere risarcito / attraverso una personalizzazione ispirata a criteri assai più pregnanti rispetto a quelli usualmente adottati;
– Il danno biologico – nella specie esistente e risarcibile in quanto la vita del giovane era continuata sino alla morte in una situazione psico-fisica gravemente compromessa -, identificandosi come danno alla salute da invalidità temporanea (benché irreversibile), andava personalizzato secondo i parametri dettati dalle sezioni unite di questa Corte, atteso che una persona in stato soporoso, pur non avendo sofferenza cosciente, avverte comunque la sofferenza del suo fisico che sussiste e si aggrava fino alla morte;
– Negare in radice la possibilità di riconoscere questa lesione della salute avrebbe per converso significato accreditare una nozione di diritto della persona puramente astratta, riconoscendo il corrispondente diritto soltanto quando ne sia possibile il cosciente esercizio, con la inaccettabile conseguenza che andrebbe a legittimarsi una concezione di un minor diritto a sopravvivere di chi non sia assistito da piena coscienza;
– Nel procedere alla personalizzazione del danno, andava considerato che la vittima cosciente vede preclusa qualunque possibilità di recupero della propria salute, osservando la propria vita spegnersi più o meno lentamente e così subendo un gravissimo stress psico-fisico – mentre, in caso di incoscienza, la sofferenza era senz’altro minore;
Nella specie, essendosi protratta la sopravvivenza dello sfortunato giovane per 21 giorni, il danno alla salute subito andava liquidato con riferimento esclusivamente a tale periodo, sia pur con parametri diversi da quelli usualmente utilizzati per la liquidazione dell’indennità temporanea in tutte le ipotesi di evoluzione migliorativa della malattia;
Tale liquidazione, di natura strettamente equitativa, doveva tener conto, quali parametri oggettivi di riferimento, dell’età della vittima, delle sue condizioni di totale incoscienza, delle modalità di verificazione del fatto, dell’entità e della natura del vulnus subito; Il criterio di liquidazione utilizzato dal Tribunale aveva tenuto conto di tali parametri e, nella liquidazione finale, aveva altresì operato un aumento di un terzo sulla somma liquidata a titolo di danno morale soggettivo – danno che, se rettamente inteso come sofferenza psico-fisica, non avrebbe neppure potuto esser riconosciuto, attesa la condizione di incoscienza in cui versava il B., anche se, sul punto, in mancanza di impugnazione incidentale, la decisione di primo grado doveva essere tenuta ferma; Nel procedere ad una autonoma valutazione del danno, l’aumento di un terzo operato dal primo giudice a titolo di danno morale costituiva comunque una adeguata personalizzazione, adeguatamente correttiva del risultato
ottenuto con il calcolo puramente matematico del danno biologico;
Il criterio di calcolo adottato, attraverso il quale la considerazione del danno biologico al 100% conduceva alla astratta quantificazione del risarcimento in una somma pari ad E. 681.785, appariva del tutto corretto, come del pari corretta risultava la liquidazione in concreto del danno subito con riferimento al tempo di vita effettivamente trascorso tra la lesione e la morte e non alla durata probabile della vita del defunto (in termini, Cass. 23053 del 2009; 870 del 2008; 18163 del 2007).
La motivazione, condivisibile in ogni sua parte, si sottrae tout court alle critiche ad essa infondatamente mosse dal parte ricorrente.
Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2043, 2056, 2697, 2727 c.c. in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.; insufficiente e/o contraddittoria motivazione su di un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c..
Il motivo – che lamenta il mancato riconoscimento del danno patrimoniale conseguente alla perdita del contributo economico connesso alla futura attività del B. – è manifestamente infondato.
Nel far propria, e per l’effetto confermare, la decisione adottata in proposito dal Tribunale, il giudice di appello fa rilevare come la assoluta mancanza di allegazione e di prova//
della ipotetica derivazione, dalla mancata partecipazione del minore all’impresa individuale paterna, di una modificazione peggiorativa dell’assetto imprenditoriale in termini di lessione del reddito ovvero di mancata realizzazione di un suo incremento apparisse del tutto impeditiva al riconoscimento e alla liquidazione della predetta voce di danno. Il ricorso è pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di Cassazione seguono il principio della soccombenza.
Liquidazione come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione, che si liquidano in complessivi euro 7200, di cui 200 per spese.
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