Nozione funzionale di P.A. e ammissibilità dell’in house aperto ai privati alla luce delle …
La nozione di ente pubblico nell’attuale assetto ordinamentale non può ritenersi fissa ed immutevole. L’ordinamento si è ormai orientato verso una nozione funzionale e cangiante di ente pubblico. Si ammette senza difficoltà che uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura privatistica. La conseguenza che ne deriva è che è del tutto normale, per così dire “fisiologico”, che ciò che a certi fini costituisce un ente pubblico, possa non esserlo ad altri fini, rispetto all’applicazione di altri istituti che danno rilievo a diversi dati funzionali o sostanziali.
La nozione di ente pubblico che viene in rilievo ai fini della verifica del requisito del controllo analogo nell’ambito dell’istituto dell’ in house è particolarmente rigorosa e restrittiva, dovendosi escludere la possibilità di equiparare all’ente pubblico qualsiasi soggetto che, a prescindere dai poteri, dai fini e dalla struttura organizzativa, operi grazie a capitali privati. E questo è certamente il caso delle Università private.
Le nuove direttive in materia di appalti, nonostante il loro contenuto in alcune parti dettagliato, non possono ritenersi self-executing per la dirimente considerazione che è ancora in corso il termine previsto per la loro attuazione da parte dello Stato. È vero che la giurisprudenza comunitaria riconosce una forma di rilevanza giuridica alla direttiva anche prima che sia scaduto il termine per il suo recepimento. Si tratta, però, di una rilevanza giuridica certamente minore rispetto al c.d. effetto diretto (che implica l’immediata applicazione della direttiva dettagliata ai rapporti c.d. verticali), che si traduce semplicemente, in nome del principio di leale collaborazione, in un dovere di standstill, ovvero nel dovere per il legislatore di astenersi dall’adottare, nel periodo intercorrente tra la pubblicazione della direttiva nella G.U.U.E. e il termine assegnato per il suo recepimento, qualsiasi misura che possa compromettere il conseguimento del risultato prescritto (C.G.U.E. 18 dicembre 1997, C-129/96, Inter-Environnement Vallonie) e per il giudice di astenersi da qualsiasi forma di interpretazione o di applicazione del diritto nazionale da cui possa derivare, dopo la scadenza del termine di attuazione, la messa in pericolo del risultato voluto dalla direttiva (C.G.U.E., 15 aprile 2008, C-268/08, Impact).
Ritenere da subito possibili forme di partecipazione di capitali privati significherebbe disapplicare la fin qui consolidata giurisprudenza comunitaria sui limiti all’in house, dando prevalenza ad una nozione meno restrittiva prevista da una direttiva sopravvenuta ancora in corso di recepimento. Deve quindi ritenersi che l’in house aperto ai privati previsto dall’art. 12 della nuova direttiva, rappresenti non un obbligo, ma una facoltà della quale il legislatore nazionale potrebbe legittimamente decidere di non avvalersi, scegliendo di attuare un livello di tutela della concorrenza ancor più elevato rispetto a quello prescritto a livello comunitario.