Peculato e telefonate dall’ufficio
Peculato e telefonate dall’ufficio
Corte di Cassazione VI Sezione Penale
Sentenza 24 settembre – 10 novembre 2014, n. 46282
Presidente Milo – Relatore Bassi
La Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha trattato il caso delle telefonate dall’ufficio in relazione al reato di peculato e, in particolare, ha anche fatto alcune osservazioni riguardo alla quantità di telefonate effettuate, nel senso che una chiamata singola potrebbe essere un caso, magari un’emergenza ma quando invece le chiamate dal telefono dell’ufficio diventano numerose le cose cambiano poichè devono inquadrarsi come espressione di condotta unitaria e ciò fa scattare il reato di peculato.
Il caso in esame riguardava la direttrice della casa circondariale di Palermo che era stata condannata dal Tribunale del capoluogo siciliano per avere utilizzato il telefono fisso del proprio alloggio di servizio per effettuare plurime telefonate ai propri familiari.
La questione era già stata trattata dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 19054 del 2013, richiamata anche dal giudice d’appello che ha precisato che “la verifica della integrazione della fattispecie incriminatrice deve essere compiuta avuto riguardo all’insieme delle telefonate compiute dal pubblico dipendente allorché per l’unitario contesto spazio-temporale vadano di fatto a costituire una condotta inscindibile“.
In base alla ricostruzione effettuata nella fase di merito è emerso che l’indebito utilizzo dell’utenza di servizio si caratterizzava per la costanza e la ripetitività praticamente giornaliera e, spesso, anche da plurimi utilizzi nell’ambito della stessa giornata.
Tra i motivi del ricorso, la difesa della donna, lamentava la “violazione ex art. 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen. in relazione agli artt. 81 cpv e 314, comma 2, cod. pen., per avere la Corte d’appello ritenuto integrato il reato nonostante, dalla documentazione della compagnia telefonica prodotta, emergesse che le telefonate compiute con il telefono fisso presente presso l’alloggio di servizio avevano un modestissimo valore economico (circa 20 Euro), sicché non era stato cagionato un apprezzabile danno alla pubblica amministrazione; in ogni caso, avuto riguardo alla di gran lunga più consistente bolletta del telefono personale dell’imputata, doveva ritenersi insussistente l’elemento soggettivo”.
Per la Corte di legittimità il ricorso è fondato e chiarisce che “in tema di peculato, la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che utilizzi il telefono d’ufficio per fini personali al di fuori dei casi d’urgenza o di specifiche e legittime autorizzazioni, integra il reato di peculato d’uso se produce un danno apprezzabile al patrimonio della P.A. o di terzi, ovvero una lesione concreta alla funzionalità dell’ufficio, mentre deve ritenersi penalmente irrilevante se non presenta conseguenze economicamente e funzionalmente significative” (Cass. Sez. U, n. 19054 del 20/12/2012, Vattani e altro, Rv. 255296).
Nella diffusa motivazione della citata pronuncia, si è in particolare evidenziato che “non può non rilevarsi, giusta quanto già segnalato nell’analisi generale del peculato che il raggiungimento della soglia della rilevanza penale presuppone comunque l’offensività del fatto, che, nel caso del peculato d’uso, si realizza con la produzione di un apprezzabile danno al patrimonio della p.a. o di terzi ovvero con una concreta lesione della funzionalità dell’ufficio: eventualità quest’ultima che potrà, ad esempio, assumere autonomo determinante rilievo nelle situazioni regolate da contratto c.d. “tutto incluso”. L’uso del telefono d’ufficio per fini personali, economicamente e funzionalmente non significativo, deve considerarsi, quindi (anche al di fuori dei casi d’urgenza, espressamente previsti dall’art. 10, comma 3, del d.m. 28 novembre 2000, o di eventuali specifiche e legittime autorizzazioni), penalmente irrilevante. Considerata, poi, la struttura del peculato d’uso (che implica l’immediata restituzione della cosa), la valutazione in discorso non può che essere riferita alle singole condotte poste in essere, salvo che le stesse, per l’unitario contesto spazio-temporale, non vadano di fatto a costituire una condotta inscindibile“.
Ritiene il Collegio che “la Corte territoriale non abbia fatto buon governo dei principi affermati da questa Corte a Sezioni Unite, laddove non ha proceduto ad una commisurazione puntuale del danno economico cagionato alla pubblica amministrazione, così da poter affermare che la condotta abbia superato la soglia di rilevanza penale. In particolare, il giudice di secondo grado non ha verificato se l’utilizzo da parte dell’imputata del telefono presente nel suo alloggio di servizio abbia cagionato un apprezzabile danno al patrimonio della p.a., non ricorrendo, nella specie, i presupposti per ravvisare una concreta lesione della funzionalità dell’ufficio (stante la plurioffensività alternativa del delitto di peculato ribadita anche dalle Sezioni Unite), in quanto si trattava di situazione regolata da contratto “a consumo” e non “tutto incluso“.
Per gli ermellini, pur a fronte di una specifica doglianza mossa con l’atto d’appello, la Corte territoriale si è limitata ad osservare sul punto che “È dunque da considerare certo che, nell’unitario spazio temporale preso in considerazione, che per il costante plurimo utilizzo giornaliero fatto del telefono di servizi a fini privati, non può che essere individuato in tutto il periodo preso in considerazione, l’appellante abbia comunque procurato un danno economico stimabile in varie decine di Euro, che, ovviamente, non può essere considerato trascurabile e, comunque, stimabile al di sotto della soglia minima di rilevanza penale“.
Si legge in sentenza “È invero connaturale alla fattispecie di peculato d’uso che l’agente agisca all’esclusivo fine di fare un uso momentaneo della cosa e che questa, dopo l’uso, sia stata immediatamente restituita. Come chiarito dalle Sezioni Unite nella già ricordata sentenza, l’elemento della “fisica” sottrazione della res alla sfera di disponibilità e controllo della pubblica amministrazione non è essenziale, in quanto estraneo allo specifico scopo perseguito dal legislatore, di tal che il peculato d’uso risulta configurabile anche nel caso in cui l’apparecchio non esca mai dalla materiale disponibilità della pubblica amministrazione e, nondimeno, il telefono assegnatogli per le esigenze dell’ufficio sia utilizzato dal pubblico agente per fini personali. Tuttavia, proprio la struttura della fattispecie del peculato d’uso, presupponendo l’uso momentaneo, è inconciliabile con un uso prolungato della cosa altrui (Cass. Sez. 6, n. 1862 del 20/10/1992, Riggio Rv. 193529).
Cercando di esemplificare, potrà allora ravvisarsi un’unitaria condotta di peculato d’uso allorché le plurime telefonate siano state compiute nello stesso giorno o in un arco temporale ristretto o ancora se, pur in un intervallo più ampio, l’utilizzo dell’apparecchio di servizio da parte dell’agente sia così intenso e senza soluzioni di continuità da poter considerare le diverse chiamate, in quanto cosi ravvicinate nel tempo, espressione di una condotta unitaria“.
In ossequio a tali condivisibili principi, la Corte siciliana “avrebbe pertanto dovuto argomentare, in modo puntuale e con specifico ancoraggio alle risultanze obbiettive del traffico telefonico fornito dal gestore, la ragione per la quale – sebbene, in linea generale, debbano ritenersi consumate tante condotte di peculato d’uso quante sono le telefonate fatte dall’agente con l’apparecchio di servizio – nel caso specifico, stante l’unitario contesto spazio-temporale, le diverse chiamate effettuate dall’imputata dovessero stimarsi integrare un’unica ed inscindibile condotta.
Onere argomentativo che non può ritenersi assolto in modo adeguato mediante l’apodittica e del tutto generica asserzione fatta sul punto dalla Corte territoriale, laddove ha commisurato il danno economico procurato alla pubblica amministrazione (ritenendolo appunto non trascurabile e quindi rilevante ai fini della integrazione del reato) “nell’unitario spazio temporale preso in considerazione” “per il costante plurimo utilizzo giornaliero fatto del telefono di servizi a fini privati“.
Per la Corte, dunque, “il giudice d’appello avrebbe, infatti, dovuto rigorosamente: 1) verificare, lasciandone circostanziata traccia argomentativa nel provvedimento, se, nel lasso temporale di nove mesi sotto lente, potesse ravvisarsi, in taluni giorni o periodi, una concentrazione di chiamate tale da consentirne una valutazione unitaria; 2) accertare quale danno economico tali “grappoli” di conversazioni telefoniche integranti peculato d’uso avessero cagionato all’amministrazione; 3) evidenziare se le condotte così unitariamente considerate superassero la soglia di rilevanza penale“.
Leggi il testo della sentenza
Articolo 314 Codice Penale
Peculato
Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di danaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni.
Si applica la pena della reclusione da sei mesi a tre anni quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l’uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.
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