Vacanza rovinata, quando il tour operator non risarcisce il danno
Vacanza rovinata, quando il tour operator non risarcisce il danno
Corte di Cassazione Sezione III Civile
Sentenza 21 gennaio – 8 maggio 2015, n. 9317
Presidente Petti – Relatore Sestini
La Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminto un caso di risarcimento del danno da vacanza rovinata in cui un turista italiano, in occasione di un’escursione nel deserto tunisino, cadeva dal dromedario e, pertanto, conveniva in giudizio il tour operator per ottenere il ristoro dei danni subiti.
Il convenuto evidenziava che la gita in dromedario non era prevista nel programma dell’escursione ma era stata acquistata in loco da operatori locali.
La Corte di merito ha ritenuto che il programma di viaggio relativo all’escursione indicasse chiaramente che il rapporto veniva instaurato con l’agenzia tunisina, escludendo che “si fosse verificata una qualsivoglia carenza informativa sul punto” e, più in generale, che la società potesse essere considerata “organizzatore” delle varie escursioni (che non rientravano nel pacchetto turìstico) per il solo fatto che la prenotazione e l’acquisto avvenissero tramite proprio personale (che aveva il “compito di seguire la clientela e di agevolare i contatti con i locali“).
Il pacchetto del tour operator non prevedeva dunque la gita in dromedario ma solo un viaggio in fuoristrada con pernottamento in tenda.
Per i giudici di Piazza Cavour motivo lamentato dal turista “è infondato perché l’obbligo risarcitorio previsto dalle norme richiamate presuppone l’attribuzione alla società della veste di organizzatore o venditore di un “pacchetto turistico” che è stata correttamente esclusa dalla Corte (col riconoscimento di un ruolo di mera intermediazione nell’acquisto di un’escursione)”.
Testo della sentenza
Corte di Cassazione Sezione III Civile
Sentenza 21 gennaio – 8 maggio 2015, n. 9317
Presidente Petti – Relatore Sestini
Svolgimento del processo
S.G. convenne in giudizio la Francorosso s.p.a. (successivamente incorporata nella Alpitour s.p.a.) per essere risarcito dei danni riportati a seguito della caduta da un dromedario, avvenuta in occasione di un’escursione nel deserto tunisino cui aveva partecipato durante un soggiorno a Jerba acquistato presso la Francorosso.
La Corte di Appello di Bologna ha riformato la decisione di primo grado -che aveva accolto la domanda- ed ha negato il risarcimento, sul rilievo che la Francorosso era stata semplice intermediaria nella vendita dell’escursione denominata “L’avventura del deserto” organizzata dalla agenzia La Tunisie Voyages ed evidenziando –altresì- che la gita in ‘dromedario -non prevista nel programma dell’escursione- dovette essere acquistata in loco da operatori locali.
Ricorre per cassazione il G. affidandosi a tre motivi; resiste Alpitour s.p.a. a mezzo di controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Col primo motivo (“violazione e falsa applicazione dell’art. 133, co. 1 e 2 cpc”), il G. reitera l’eccezione di tardività dell’appello già svolta avanti alla Corte territoriale, ribadendo che, a fronte di una doppia attestazione di deposito risultante dalla sentenza di primo grado, doveva darsi prevalenza a quella avente data anteriore al fine di verificare il rispetto del termine `lungo’ per l’impugnazione.
1.1. La Corte di Appello ha respinto l’eccezione rilevando che, delle due attestazioni di deposito, solo una era stata apposta e sottoscritta dal Cancelliere (mentre l’altra era “scritta di pugno dal giudice”) ed ha ritenuto che solo ad essa dovesse farsi riferimento per valutare la tempestività dell’impugnazione.
1.2. I1 motivo è infondato.
A fronte del dato pacifico -e ribadito dallo stesso ricorrente- che una sola delle annotazioni di deposito (quella datata 17 marzo 2009) era sottoscritta dal Cancelliere, deve escludersi che sussistesse una duplicità di attestazioni (tale non potendosi considerare quella proveniente dal giudice, giacché l’ attività prevista dall’art. 133 C.P.C. è riservata al Cancelliere): correttamente -dunque- la tempestività dell’appello è stata affermata in relazione all’unica effettiva attestazione di deposito.
2. Col secondo motivo (“violazione e falsa applicazione dell’art. 18, 1° comma, L. 1084/1977, con riferimento agli artt. 5 e 6 della stessa legge, nonché 13 e 15 L. 1084/1977″ e “violazione dell’art. 345 cpc”)), il ricorrente si duole che la Corte non abbia considerato che la Francorosso -pur qualificatasi mero intermediario – non aveva rilasciato il documento di viaggio contenente le indicazioni previste dall’art. 6 1. n. 1084/1977 e che -per tale ragione- avrebbe dovuto essere considerata organizzatore e -come taleresponsabile di tutti i pregiudizi sofferti dal viaggiatore.
Sotto altro profilo, censura la sentenza per non avere ritenuto inammissibile -in quanto dedotta per la prima volta in appello- la difesa secondo cui la gita in dromedario non era stata organizzata o eseguita da Tunisie Voyages, ma da terzi operanti in loco.
2.1. La Corte di merito ha ritenuto che il programma di viaggio relativo all’escursione indicasse chiaramente che il rapporto veniva instaurato con l’agenzia tunisina (“il programma in atti fornisce chiaramente tale evidenza e nessun dubbio o fraintendimento poteva insorgere, nel viaggiatore, sul ruolo di Francorosso/ Alpitour”), escludendo che “si fosse verificata una qualsivoglia carenza informativa sul punto” e, più in generale, che la Francorosso potesse essere considerata “organizzatore” delle varie escursioni
(che non rientravano nel pacchetto turìstico) per il solo fatto che la prenotazione e l’acquisto avvenissero tramite proprio personale (che aveva il “compito di seguire la clientela e di agevolare i contatti con i locali”); in merito al fatto che la gita in dromedario fosse o meno compresa nPll’e~cl~rsiene. ha osservato che il programma prevedeva esclusivamente il viaggio in fuoristrada con pernottamento in tenda e che, “in ogni caso”, anche a voler ricollegare l’esecuzione della gita all’operatore Tunisie Voyages, ciò non sarebbe valso “ad estendere il confine della culpa in eligendo dell’intermediario, che è relativa all’individuazione di un soggetto serio in loco con cui mettere in contatto i propri clienti, anche al personale da questo impiegato, che si era rivelato, nello specifico caso, insufficiente a controllare i partecipanti”.
2.2. Il motivo è infondato.
La Corte ha compiuto un apprezzamento di merito circa la completezza delle informazioni su chi organizzava l’escursione e sul ruolo di mero intermediario svolto da Francorosso che è incensurabile (e neppure censurato sotto il profilo motivazionale) in quanto congruamente motivato.
Ne consegue che l’infondatezza della censura in punto di diritto, giacché la violazione dell’art. 18 è stata ipotizzata sul presupposto che la Francorosso non avesse fornito le indicazioni (su organizzatore e intermediario) richieste dall’art. 5 l. n. 1084/77.
Quanto alla deduzione circa l’acquisto in loco della gita in dromedario, la stessa costituisce una mera difesa che -seppur sviluppata in appelloera già desumibile dai documenti prodotti in primo arado (tant’è che la Corte l’ha ritenuta plausibile per il fatto che la gita non fosse indicata nel programma in atti): non risultando pertanto modificato il tema di indagine, deve escludersi che risulti integrata la denunciata violazione dell’art. 345 c.p.c..
3. Col terzo motivo (che deduce “violazione e/o falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 111 del 1995, articoli 14, 1.5 e 17″), si assume che gravava sul tour operator un obbligo di protezione che imponeva di “adottare tutte le misure atte a garantire la sicurezza dei propri partecipanti, senza lasciare l’effettivo controllo della loro incolumità fisica alla mera discrezionalità di uno sconosciuto … prestatore locale di servizi”.
3.1. Il motivo è infondato perché l’obbligo risarcitorio previsto dalle norme richiamate presuppone l’attribuzione alla Francorosso della veste di organizzatore o venditore di un “pacchetto turistico” che -per quanto detto sopra – è stata correttamente esclusa dalla Corte (col riconoscimento di un ruolo di mera intermediazione nell’acquisto di un’escursione).
4.Le spese di lite seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di lite, liquidate in euro 3.200,00 (di cui euro 200,00 per esborsi), oltre rimborso spese forfettarie e accessori di legge.
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