Sulla necessità del rapporto causale tra la condotta del proprietario del fondo ed il danno …
L’articolo 239 del Testo Unico dell’Ambiente nel formulare i principi generali in materia di rifiuti e di bonifiche dei siti contaminati – applicabili anche alla procedura semplificata qui in questione in ragione della superficie coinvolta inferiore a 1000 metri quadrati – richiama i principi e le norme comunitarie con particolare riferimento al principio , ora contenuto anche dall’articolo 3-ter del TUA. Il cardine di tale principio consiste nell’imputazione dei costi ambientali al soggetto che ha causato la compromissione ecologica, così come affermato dalla Corte di Giustizia nell’ordinanza 9 marzo 2010 nelle cause riunite C-478/08 e C. 479/08 (“conformemente al principio “chi inquina paga”, l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento”). (Nello stesso senso anche la sentenza della Corte di Giustizia 24 giugno 2008, causa C. 188/07, Comune di Mesquer). In conformità a tale principio, gli articoli 242, comma 1 e 244, comma 2 del TUA stabiliscono che, riscontrato un fenomeno di potenziale contaminazione di un sito, gli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza (d’emergenza o definitiva), di bonifica e di ripristino ambientale possono essere imposti dalla pubblica amministrazione solamente ai soggetti “responsabili dell’inquinamento”, quindi ai soggetti che abbiano in tutto o in parte generato la contaminazione tramite un proprio comportamento commissivo od omissivo, legato all’inquinamento da un preciso nesso di causalità. L’articolo 244 del TUA è inequivoco nell’affermare che, individuato un fenomeno di contaminazione, devono essere svolte le “opportune indagini volte ad identificare il responsabile dell’evento di superamento”. Coerentemente con il suddetto principio del “chi inquina paga” l’allegato 4 pone gli obblighi di caratterizzazione, analisi rischio e di bonifica e messa in sicurezza in capo al soggetto “responsabile”. Nessun dubbio sussiste in conseguenza sul fatto che il soggetto obbligato alla caratterizzazione, all’analisi di rischio e alla bonifica o alla messa in sicurezza debba essere l’autore del comportamento che ha causato la contaminazione, che è concettualmente distinto dagli altri possibili soggetti coinvolti o interessati e segnatamente dal proprietario delle aree contaminate (cfr. tra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 18 aprile 2011, n. 2376). E’ quindi necessario un rigoroso accertamento al fine di individuare il responsabile dell’inquinamento, nonché del nesso di causalità che lega il comportamento del responsabile all’effetto consistente nella contaminazione. Tale accertamento presuppone una adeguata istruttoria non essendo configurabile una sorta di responsabilità oggettiva facente capo al proprietario o al possessore dell’immobile in ragione di tale sola qualità. Il che implica la ricerca di prove certe e inequivoche, non potendo l’accertamento basarsi su mere presunzioni (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 9 gennaio 2013, n. 56; 5 settembre 2005, n. 4525).
Quanto all‘applicazione dei principi civilistici in base ai quali incombe al proprietario la responsabilità per i danni che il bene locato dovesse arrecare ai terzi, trattasi di principi che possono trovare applicazione in via sussidiaria, dovendo darsi prevalenza al principio di rango comunitario sulla responsabilità da inquinamento in base al quale “chi inquina, paga” e sempre che sussista un comportamento colpevole (a titolo di dolo o colpa) del proprietario il quale, avendo acquisito consapevolezza dell’inquinamento non abbia preteso dal conduttore responsabile le necessarie opere di bonifica (cfr. Cass. civ. III, n. 6525 del 2011). In tal senso è anche la univoca giurisprudenza dei TAR e del Consiglio di Stato che ha affrontato la questione sulla responsabilità da inquinamento ambientale nel caso di immobile condotto in locazione da terzi (cfr. Cons. Stato, sez. V, n. 3274 del 2014; sez. IV, n. 8501 del 2010; sez. III, n. 4328 del 2003). Assume, invero, la Regione che la circostanza che i ricorrenti non fossero più proprietari del ristorante al momento della notifica del provvedimento sarebbe irrilevante, atteso che essi non sarebbero stati coinvolti nella qualità di proprietari ma di responsabili dell’inquinamento e che le vicende proprietarie non sarebbero state comunicate all’amministrazione regionale, nel mentre gli appellanti avrebbero partecipato alle conferenze di servizi tenutesi nel 2012 e nel 2013, senza mai accennare alla cessione della proprietà medio tempore intervenuta e che, comunque alla data dei fatti essi erano proprietari del ristorante. Tale prospettazione, peraltro contraddittoria, incentrata sulle disposizioni di cui agli articoli 1575 e 1576 del codice civile, in base ai quali spetterebbe al proprietario il controllo e la manutenzione della cisterna, non è idonea, come già detto, a contestare il principio di origine comunitaria del “chi inquina paga” che prescindendo dall’esistenza di un rapporto giuridico qualificato con la cosa che ha prodotto il danno, privilegia la responsabilità di chi ha procurato di fatto il danno. Ne consegue che la responsabilità del proprietario è ipotizzabile solamente nel caso di comportamento colpevole, nel mentre ai sensi degli articoli 1575 e 1576 del codice civile, il conduttore è custode della cosa locata e grava su di esso l’onere di mantenere la cosa locata in buono stato e di segnalare al proprietario ogni fatto che possa procurare danni, non potendosi di conseguenza presumere la responsabilità in base ad un’asserita e indimostrata culpa in vigilando del proprietario. Nella ricerca del responsabile è quindi rilevante la circostanza che il ristorante fosse stato dato per lungo tempo in locazione, in particolare dal 1997 al 2004 e dal mese di novembre 2005 al 30 aprile 2007, essendo evidente che ove fossero state accertate inadempienze in tale periodo e lo sversamento di carburante dalla cisterna, sarebbe stato responsabile il gestore dell’azienda che, avendone la disponibilità, avrebbe dovuto prontamente evitare il danno ed informarne tempestivamente il proprietario.
La Corte di Giustizia “conformante al principio “ chi inquina paga”, ha stabilito nella pronuncia del 4 marzo 2015, in concausa C – 534/13 che l’obbligo di riparazione incombe agli operatori solo in misura corrispondente al loro contributo al verificarsi dell’inquinamento o al rischio di inquinamento. Non può, quindi, condividersi l’opposta tesi dell’amministrazione che ritiene la responsabilità solidale più confacente alla tutela del pubblico interesse finalizzato a garantire un celere intervento di messa in sicurezza del bene e lascia impregiudicata l’azione di regresso nei confronti degli altri obbligati, atteso che non possono trovare ingresso, in ragione della specialità della materia, i principi civilistici in materia di concorso nella causazione del danno che impongono l’obbligo della solidarietà risarcitoria (art. 2055 cod. civ.)