Provvisionale e sospensione condizionale della pena
Provvisionale e sospensione condizionale della pena
Corte di Cassazione, sez. VI Penale
sentenza 13 maggio – 17 giugno 2016, n. 25413
Presidente Conti – Relatore Corbo
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza emessa il 10 luglio 2014, la Corte di appello di Campobasso, ha integralmente confermato la decisione del Tribunale di Campobasso che, in data 30 maggio 2011, aveva condannato E.C. per il reato di violazione continuata degli obblighi di assistenza familiare, commesso dall’aprile 2007, per essersi sottratto all’obbligo di versare le somme stabilite con il provvedimento presidenziale in sede di separazione coniugale in favore della moglie e delle due figlie, facendo mancare alle stesse i mezzi di sussistenza, e gli ha irrogato la pena di quattro mesi di reclusione, subordinando la concessione della sospensione condizionale al pagamento di quanto liquidato a titolo di provvisionale.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la precisata sentenza l’avvocato Mario Petrucciani, difensore di fiducia del C., sviluppando cinque motivi.
2.1. Nel primo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza di norme processuali sanzionate dagli artt. 178 e 179 cod. proc. pen., perché, nel giudizio di primo grado, l’imputato non è stato avvisato della fissazione delle udienze svoltesi prima della sua dichiarazione di contumacia.
Si deduce, in particolare, che manca agli atti la prova notifica all’imputato dell’avviso del rinvio dell’udienza dal 29 ottobre 2009 al 30 marzo 2010, data nella quale è stata dichiarata la contumacia e che il precedente rinvio all’udienza del 29 ottobre 2009 era stato disposto su istanza dell’imputato; in ogni caso, comunque, non può ritenersi valida una notifica effettuata in luogo diverso dalla residenza dell’imputato.
2.2. Nel secondo motivo, il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 570 cod. pen., sia perché la mancata corresponsione di quanto previsto nell’ordinanza presidenziale non costituisce automaticamente mancata prestazione dei mezzi di sussistenza, sia perché dagli atti non emerge prova del bisogno della moglie e delle figlie di ricevere mezzi di sussistenza, quanto, piuttosto, l’impossibilità per l’imputato di corrispondere gli alimenti.
Si deduce: quanto all’insussistenza dello stato di bisogno di moglie e figlie, che dagli atti risulta la disponibilità per le stesse di entrate economiche seppur modeste, ivi comprese quelle sufficienti a frequentare l’Università fuori sede, e che le dichiarazioni delle parti civili non sono in sé attendibili, non trovando neanche conferma negli accertamenti del consulente tecnico nominato nel procedimento civile; quanto all’impossibilità per l’imputato di corrispondere alimenti, che dagli atti risulta la dichiarazione di fallimento dell’imputato del 19 marzo 2013, i numerosi protesti per assegni non pagati, la mancata individuazione di redditi nonostante gli accertamenti compiuti dal consulente tecnico nominato nel procedimento civile.
2.3. Nel terzo motivo, il ricorrente lamenta mancanza di motivazione in ordine alla irrogazione della pena detentiva, invece di quella pecuniaria, nonostante l’esplicita richiesta formulata nell’atto di appello.
2.4. Nel quarto motivo, il ricorrente lamenta inosservanza o erronea applicazione degli artt. 163, 164 e 165 cod. pen., in relazione alle disposizioni della legge fallimentare, perché la subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale è illegittima, in quanto la dichiarazione di fallimento preclude all’imputato di effettuare personalmente pagamenti, pena la commissione di un reato.
2.5. Nel quinto motivo, il ricorrente lamenta inosservanza o erronea applicazione dell’art. 164 cod. pen., e vizio di motivazione, perché la sentenza impugnata non ha motivato sulle ragioni che precludevano la concessione della sospensione condizionale.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato esclusivamente con riferimento alle censure formulate nel quarto motivo di ricorso.
2. Infondato, avendo riguardo ai suoi presupposti di fatto è il primo motivo, con cui si deduce che l’imputato, nel corso del giudizio di primo grado, non aveva ricevuto alcuna notificazione relativa all’udienza all’esito della quale era stata dichiarata la sua contumacia.
Invero, il C., a quella data, risultava avere il domicilio eletto in Isernia, via Acqua Zolfa n. 10, stante l’assenza di rituale comunicazione del mutamento di domicilio; inoltre, la notifica per l’udienza in questione era stata regolarmente effettuata a mezzo posta presso il precisato domicilio in Isernia.
3. Del tutto privo di fondamento, poi, è il secondo motivo, nel quale si contesta la configurabilità del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, deducendosi che la moglie e le figlie avrebbero comunque avuto disponibilità economiche, che le dichiarazioni delle stesse non sarebbero attendibili anche perché smentite da una consulenza tecnica disposta nel procedimento civile di separazione, e che egli, in ogni caso, sarebbe stato nell’impossibilità di corrispondere anche solo gli alimenti, per il dissesto della sua attività e la conseguenze dichiarazione di fallimento.
La sentenza impugnata motiva analiticamente su tutti i profili attinti dal ricorso. Segnala, infatti, che la moglie e le due figlie dell’imputato hanno rappresentato che, mentre quest’ultimo godeva di un elevato tenore di vita, esse versavano in una situazione di «assoluta indigenza», e che, particolare, le ragazze avevano dovuto disdire l’alloggio tenuto all’Aquila per frequentare l’Università, chiedere «sostanziosi aiuti, anche in denaro, ai prossimi congiunti», e, addirittura, domandare in prestito a cugine coetanee capi di abbigliamento. Rileva, poi, che le dichiarazioni delle tre donne sono riscontrate anche dalle dichiarazioni delle sorelle della moglie dell’imputato L.D.N. e N.D.N. e della nipote dell’imputato, G.C., e non sono smentite dalla consulenza tecnica disposta nel procedimento civile, la quale ritiene sussistere una capacità reddituale in capo all’odierno ricorrente derivante da attività gestite “in nero” o “extra-bilancio”. Osserva, quindi, che lo stato di difficoltà economica dell’obbligato alla prestazione assistenziale rileva per escludere la responsabilità penale solo quando è assoluta, tanto che, secondo la giurisprudenza di legittimità, non è decisiva a tal fine neanche l’allegazione dello stato di disoccupazione, e che, peraltro, nella specie, l’imputato mostrò assoluto disinteresse pure di fronte ad un incidente stradale subito dalla moglie ed alla laurea di una delle figlie.
Le motivazioni riportate sono sicuramente non contraddittorie, né manifestamente illogiche nella ricostruzione dei fatti rilevanti ai fini della decisione; le stesse, inoltre, fanno applicazione di principi giurisprudenziali consolidati che il Collegio condivide.
Occorre solo procedere ad una rettificazione, o meglio ad una precisazione: la dichiarazione di fallimento dell’imputato non è in sé, in linea di principio, irrilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità penale; lo è, però, nel caso di specie, perché intervenuta con sentenza del 19 marzo 2013, mentre le condotte in contestazione hanno riferimento al periodo intercorso tra l’aprile 2007 ed il 30 maggio 2011 (data della pronuncia della sentenza di primo grado).
4. Manifestamente infondato è il terzo motivo, che lamenta il difetto di motivazione sulla irrogazione della pena detentiva, nonostante l’espressa richiesta di applicazione della sola pena pecuniaria.
Invero, il giudice, anche su questo punto con motivazione immune da vizi, ha precisato che la pena inflitta, pari a quattro mesi di reclusione, deve ritenersi correttamente commisurata in considerazione della «intensità del dolo, per il lungo ed ininterrotto protrarsi delle omissioni dei versamenti di cui in imputazione» e dei «non insignificanti precedenti penali (per numero e allarme sociale) di cui l’imputato è gravato».
5. Palesemente erroneo è li quinto motivo, relativo alla mancata concessione della sospensione condizionale, ed il cui esame, per evidenti ragioni logiche, deve precedere quello relativo al quarto motivo.
La sentenza impugnata, infatti, non ha negato la concessione della sospensione condizionale della pena; semplicemente, ha concesso il beneficio, subordinandone l’operatività al pagamento della provvisionale.
6. Fondato, invece, è il quarto motivo, attinente alla confermata subordinazione della sospensione condizionale al pagamento della provvisionale, nonostante l’intervenuta dichiarazione di fallimento.
Il Collegio è consapevole dell’esistenza di un contrasto di giurisprudenza in ordine al dovere del giudice dì accertare quali siano le condizioni economiche dell’imputato prima di ordinare la sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del danno. Invero, accanto a chi nega ogni dovere del giudice in proposito, poiché il tema può essere oggetto di approfondimento in sede di esecuzione (cfr., tra le tante, Sez. 2, n. 26221 del 11/06/2015, Dammico, Rv. 264013), vi è chi, invece, afferma la necessità di una valutazione, sia pure sommaria, sul punto (così, tra le tante, Sez. 5, n. 21557 del 02/02/2015, Solazzo, Rv. 263675), e chi, ancora, in posizione intermedia, ritiene la necessità di compiere un motivato apprezzamento delle condizioni economiche dell’imputato se dagli atti, eventualmente acquisiti proprio su iniziativa della difesa di quest’ultimo, emergono elementi tali da far dubitare della capacità del soggetto di soddisfare l’obbligo economico impostogli (in questo senso, Sez. 5, n. 14205 del 29/01/2015, R, Rv. 263185).
Il Collegio ritiene di aderire a quest’ultima soluzione, posto che il giudice non può sottrarsi alla valutazione degli elementi a sua disposizione.
In questa prospettiva, è sicuramente rilevante l’intervenuta dichiarazione di fallimento, poiché, a far data dalla stessa, tutta l’amministrazione del patrimonio del fallito è rimessa alle decisioni degli organi della procedura fallimentare, e restano estranei alla procedura solo i beni strettamente personali (cfr., in particolare, quanto stabilito dagli artt. 42, 44 e 46 r.d. 16 marzo 1942, n. 267). Né rileva che la dichiarazione di fallimento è, come nel caso di specie, successiva alla sentenza di primo grado, perché l’obbligo di pagamento della somma liquidata a titolo di provvisionale, quale condizione per fruire del beneficio della sospensione condizionale, deve essere adempiuto dopo il passaggio in giudicato della sentenza, attesa l’assenza di diversa specificazione sul punto (cfr., in questo senso, tra le tante, Sez. 1, n. 24642 del 27/05/2015, Hosu, Rv. 263974).
Di conseguenza, limitatamente a questo punto, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Salerno, quale Corte di appello più vicina a quella di Campobasso, affinché verifichi se il ricorrente sia stato dichiarato fallito in proprio, e se non abbia più la possibilità di adempiere personalmente all’obbligo di pagamento della provvisionale: in tal caso, infatti, non sarebbe legittima l’imposizione della condizione sospensiva in discorso al beneficio di cui all’art. 163 e ss. cod. proc. pen.
7. In conclusione, quindi, il ricorso deve essere accolto in relazione al quinto motivo; l’infondatezza degli altri motivi, invece, impone il rigetto degli stessi, con conseguente irrevocabilità della dichiarazione di responsabilità penale dell’imputato, della commisurazione della pena e delle statuizioni civili. Da ciò deriva, ulteriormente, la condanna del ricorrente alla refusione delle spese di fase in favore delle parti civili D.N.L., C.N. e C.F., che si stima equo liquidare, complessivamente, in Euro 4.900 (quattromilanovecento), oltre spese generali nella misura del quindici per cento, I.V.A. e C.P.A.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nel punto relativo alla sospensione condizionale della pena e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.
Rigetta nel resto il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere alle parti civili D.N.L., C.N. e C.F. le spese sostenute nel grado, che liquida in complessivi euro quattromila novecento, oltre spese generali nella misura del quindici per cento, I.V.A. e C.P.A.
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