Piantine di cannabis sul balcone, processo da rifare
Piantine di cannabis sul balcone, processo da rifare
Corte di Cassazione, sezione VI Penale
sentenza 13 maggio – 11 giugno 2015, n. 24732
Presidente Milo – Relatore Petruzzellis
Con la sentenza in commento, i giudici dalla suprema corte di cassazione, hanno esaminato il caso di un tossicodipendente che deteneva sul proprio balcone 4 piantine di cannabis.
L’imputato è stato condannato dai giudici territoriali ma la Cassazione, nel valutare i fatti emersi nelle fasi precedenti, hanno osservato anche altri fattori importanti tra cui lo stato vegetativo delle piantine rinvenute.
Si legge in sentenza, “quel che rileva, e che non appare verificato nel concreto, è l’effettiva offensività della condotta di coltivazione contestata che risulta eseguita, sulla base delle acquisizioni in atti, attraverso il possesso di quattro piantine in vaso alte al massimo 25 cm, in cattivo stato vegetativo“.
Secondo la Corte, “invero, come è agevolmente ricavabile dal complesso delle decisioni in argomento, il differente e più rigoroso trattamento della condotta di coltivazione rispetto a quella di materiale detenzione della sostanza pronta per l’uso è individuabile esclusivamente nella potenzialità lesiva della prima, poiché essa è direttamente connessa alla presenza di ulteriori sviluppi, e risulta, almeno in via astratta, idonea ad ampliare la possibilità di diffusione della sostanza. Ne consegue che il richiamo all’offensività cui l’interpretazione si riferisce vada concretizzato con la valutazione di tale aspetto tipico della condotta che deve essere idealmente prospettata con riferimento alle sue possibilità future, al fine di poterne verificare la concreta lesione del bene giuridico tutelato“.
Continuano i giudici “al contrario nel caso concreto, a fronte di allegazioni sul cattivo stato di coltivazione, potenzialmente incidenti proprio su tale aspetto, ove tale condizione irreversibilmente incideva sulle prospettive di accrescimento, non risulta affrontata alcuna analisi da parte del giudice del merito, che si è limitato correttamente ad escludere la rilevanza dei numero delle dosi ricavabili al momento del controllo, ma non ha svolto alcuna valutazione prospettica della situazione verificata, ed ha così omesso un accertamento rilevante al fine di configurare l’antigiuridicità della condotta“.
In conclusione, “la circostanza evidenziata, ponendo in dubbio l’accertamento dell’antigiuridicità della condotta, impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Caltanissetta, per nuovo esame sul punto“.
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