Niente Facebook ai domiliciari, lo dice la Cassazione
Niente Facebook ai domiliciari, lo dice la Cassazione
Suprema Corte di Cassazione II sezione penale
Sentenza n. 46874/2016
Con la sentenza che di seguito si riporta, la seconda sezione della Suprema corte di Cassazione ha esaminato il caso di un detenuto che ricorreva alla massima corte contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame che aveva confermato l’aggravamento della misura custodiale, da domiciliare a inframuraria, come conseguenza di alcune violazioni della misura domiciliare.
Più nello specifico, la vicenda ruota intorno al famoso social network Facebook poichè l’imputato avrebbe inviato un messaggio chiaramente intimidatorio mentre si trovava ai domiciliari.
Per i giudici della Corte che hanno rigettato l’impugnazione dell’uomo, la motivazione del Tribunale è assolutamente logica e condivisibile e specificano che “I limiti di applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere previsti dall’art. 275, comma secondo bis, secondo periodo, cod. proc. pen. (testo introdotto dal D.L. 26 giugno 2014, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 117) possono essere superati dal giudice qualora ritenga, secondo quanto previsto dal successivo comma terzo, prima parte, della norma citata, comunque inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari ogni altra misura meno afflittiva“.
In altre parole, ai domiciliari non si può comunicare con nessuno che non sia un convivente poichè detto divieto esclude al soggetto destinatario della misura anche di stabilire contatti con altri soggetti, sia vocalmente che utilizzando congegni elettronici.
Testo della sentenza
Corte di Cassazione, sez. II Penale,
Sentenza 14 luglio – 8 novembre 2016, n. 46874
Presidente Fiandanese – Relatore Taddei
Motivi della decisione
Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale del riesame di Catania confermava l’ordinanza del GIP del Tribunale di Ragusa che aveva disposto l’aggravamento della misura custodiale, da domiciliare a inframuraria, per G.G. in seguito a violazioni delle misura domiciliare ritenute gravi.
Avverso l’ordinanza propone ricorso la difesa di G. deducendo che il messaggio pubblicato su Facebook , impropriamente attribuito all’indagato che si è solo limitato a condividerlo, inviato a C. B., vittima della condotta illecita del G. , non ha un chiaro contenuto intimidatorio nè una inequivoca coloritura minatoria né tantomeno si prospetta come una condotta trasgressiva che realizzi i caratteri di effettiva lesività richiesti dalla norma per la sostituzione.
Deduce,inoltre, inosservanza o erronea applicazione della legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett.e) e lett. c) c.p. p . e manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) c.p.p., in relazione all’interpretazione ed all’applicazione dell’art. 275 comma 2 bis, in combinato disposto con il successivo comma 3, c.p.p. Censura il ricorrente l’interpretazione data dal tribunale del riesame alle nuove disposizioni dell’art.275 cod.proc.pen. secondo le quali si giustifica il superamento del limite all’applicabilità della custodia in carcere così attuandosi un rovesciamento della logica garantista e pro imputato che sorregge la novella legislativa.
Il ricorso non è fondato e deve essere rigettato con condanna alle spese per il ricorrente.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato: il ricorrente, infatti, si limita a promuovere una diversa valutazione dell’episodio che ha dato origine all’aggravamento della misura senza indicare quali siano i vizi che inficiano le argomentazioni del Tribunale.
In altri termini la parte ricorrente propone una diversa lettura del materiale probatorio esaminato dai giudici di merito, così prospettando una diversa ricostruzione della fattispecie concreta.
Sotto questo profilo deve essere ribadito che nel giudizio di cassazione, pur dopo la novella introdotta dalla 1. n. 46 del 2006, alla Corte di Cassazione restano precluse sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisioni impugnata, sia l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Infatti il giudice di legittimità ha l’esclusivo compito di controllare se la motivazione dei giudici del merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito [Cass. n. 42369/2006].
La motivazione del Tribunale è assolutamente logica e condivisibile quando afferma che la prescrizione di non comunicare con persone estranee deve essere inteso nel senso di un divieto non solo di parlare con persone non conviventi, ma anche di stabilire contatti con altri soggetti, sia vocali che a mezzo congegni elettronici.
Il messaggio diffuso sul social network, peraltro, è oggettivamente criptico per i più ed indirizzato a chi può comprendere perché sottintende qualcosa di riservato e conosciuto da una ristretta cerchia di persone ed è chiaramente intimidatorio a dispetto del tono volutamente suggestivo, rafforzato dalle coloratissime emoticon, ancora più esplicitamente intimidatorie.
Anche il motivo relativo all’interpretazione dell’art. 275 comma 2 bis e comma tre non è fondato.
Questa Corte, con la decisione n.32702 del 2015 ha già avuto modo di decidere un questione analoga a quella qui all’esame ed ha dettato un principio che questo collegio condivide ed al quale ritiene di dover dare seguito, secondo cui “I limiti di applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere previsti dall’art. 275, comma secondo bis, secondo periodo, cod. proc. pen. (testo introdotto dal D.L. 26 giugno 2014, n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 11 agosto 2014, n. 117) possono essere superati dal giudice qualora ritenga, secondo quanto previsto dal successivo comma terzo, prima parte, della norma citata, comunque inadeguata a soddisfare le esigenze cautelari ogni altra misura meno afflittiva.”
Applicando questa interpretazione della correlazione tra i due commi dell’articolo in questione il Tribunale del riesame ha ritenuto necessario applicare la detenzione intramuraria, poichè la violazione delle prescrizioni commessa dal G. ha rivelato, incisivamente, l’inadeguatezza della detenzione domiciliare in ragione della inaffidabilità dell’indagato.
Il ricorso, per i motivi che precedono, deve essere rigettato: al rigetto consegue la condanna alle spese.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.
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