Molestia o disturbo alle persone a mezzo del telefono
Molestia o disturbo alle persone a mezzo del telefono
Corte di Cassazione, sezione I Penale
Sentenza 16 dicembre 2014 – 9 marzo 2015, n. 9962
Presidente Siotto – Relatore Sandrini
La sentenza in commento ha esaminato un interessante caso relativo alle molestie continuate a mezzo del telefono. Più nello specifico, due donne, madre e figlia, hanno vissuto un vero e prorpio periodo di terrore a causa degli squilli telefonici reiterati, nell’ordine di una quindicina al giorno, anche a tarda notte, fatti l’imputata, che abitava l’appartamento sottostante quello della parte civile.
Dalle risultanze dei tabulati telefonici, era emerso che le telefonate moleste, effettuate nelle date indicate dalla persona offesa, provenivano dall’utenza cellulare intestata all’imputata, che anche in altre occasioni aveva posto in essere comportamenti persecutori e molesti nei confronti delle vicine di casa.
L’imputata, avverso la condanna in primo grado, proponeva appello – qualificato come ricorso per cassazione e trasmesso alla Suprema Corte dalla sezione distaccata di Taranto della Corte d’appello di Lecce, stante l’inappellabilità ex art. 593 comma 3 cod.proc.pen. della sentenza irrogante la sola pena dell’ammenda lamentando:
– l’errata interpretazione delle risultanze processuali, con riguardo alla ritenuta sussistenza del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice di cui all’art. 660 cod. pen., al ridotto numero delle telefonate effettuate non integranti i requisiti di ossessività e petulanza, all’individuazione nell’imputata dell’autrice delle chiamate telefoniche provenienti da un cellulare che non era nella sua esclusiva disponibilità, all’ingiustificata credibilità attribuita alle dichiarazioni della parte civile;
– la carenza della motivazione e illogicità della sentenza, con riguardo all’omessa considerazione della reciprocità e della natura ritorsiva delle molestie e all’esatta individuazione della persona offesa dal reato;
– omessa applicazione dell’art. 507 del codice di rito, con riguardo all’immotivato diniego da parte del Tribunale dell’esercizio del potere officioso di assumere la deposizione della parte civile.
Secondo i Supremi giudici “ II primo motivo di ricorso deduce delle tipiche censure di merito, dirette a sollecitare una diversa valutazione (in senso innocentista o comunque scriminante) delle risultanze istruttorie, le quali, se appaiono coerenti al mezzo di impugnazione – appello – che il ricorrente riteneva (erroneamente) di essere legittimato a proporre avverso la sentenza dì primo grado, risultano tuttavia palesemente inammissibili in questa sede di legittimità, alla quale il gravame è pervenuto in ossequio al principio di conservazione sancito dall’art. 568 comma 5 cod.proc.pen., senza peraltro consentire l’introduzione di censure diverse da quelle indicate dall’art. 606 comma 1 del codice di rito. 4. II secondo motivo di doglianza è manifestamente infondato, risolvendosi non tanto nella deduzione di un vizio della motivazione della sentenza impugnata, quanto in un’inammissibile censura di fatto rivolta al ragionamento probatorio seguito dal Tribunale per pervenire alla condanna dell’imputata, che risulta puntualmente argomentata sulla scorta di una coerente valutazione delle risultanze istruttorie (dalle quali non era emersa alcuna reciprocità delle molestie) e di una corretta applicazione dei principi di diritto elaborati da questa Corte con riguardo al reato di cui all’art. 660 cod. pen.“.
Inoltre, continuano gli ermellini, anche il terzo motivo è “inammissibile, in quanto il mancato esercizio dei potere dei giudice del dibattimento di disporre d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova a norma dell’art. 507 cod.proc.pen. non richiede un’espressa motivazione, quando dalla valutazione delle risultanze probatorie operata dal giudice possa implicitamente evincersi la superfluità di un’eventuale integrazione istruttoria“.
Conclude la Corte precisando che “la sussistenza di una causa originaria di inammissibilità del ricorso non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e, pertanto, preclude la possibilità di dichiarare la prescrizione della contravvenzione che sarebbe maturata dopo la sentenza di condanna in relazione al decorso del termine massimo di 5 anni dall’ultima telefonata molesta” e, per questi motivi i giudici hanno dichiarando inammissibile il ricorso hanno condannato la ricorrente anche al pagamento delle spese processuali.
Articolo di rifeirmento:
Articolo 660 Codice Penale
Molestia o disturbo alle persone
Chiunque, in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo è punito con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a cinquecentosedici euro.
Leggi il testo della sentenza
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