L’intento persecutorio e discriminatorio del datore di lavoro nelle condotte mobbizzanti e il …
La ricorrenza di un’ipotesi di mobbing va esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme di circostanze addotte (ed accertate nella loro materialità), pur se idonea a palesare elementi o episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consente di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro
E’ in primo luogo necessaria, quindi, la prova di un sovrastante disegno persecutorio, tale da piegare alla sue finalità i singoli atti cui viene riferito. D’altra parte, determinati comportamenti non possono essere qualificati come costitutivi di una fattispecie di mobbing, ai fini della pronuncia risarcitoria richiesta, qualora emerga una ragionevole ed alternativa spiegazione al comportamento datoriale.
Il danno non patrimoniale alla professionalità non può essere considerato in re ipsa, nella mera potenzialità lesiva della condotta integrante mobbing, essendo onere del dipendente dimostrare tale danno quale, ad esempio, un ostacolo alla carriera, oltre che il nesso causale con l’inadempimento datoriale.