La revisione del contenzioso tributario nella delega fiscale
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La delega fiscale (legge n. 23 del 2014) individua una serie di interventi, che dovrà attuare il Governo nei prossimi dodici mesi, per migliorare il rapporto tra fisco e contribuenti in un’ottica di reciproca e leale collaborazione.
Tra i principi ispiratori della delega spiccano, infatti, il coordinamento e la semplificazione degli obblighi contabili e dichiarativi dei contribuenti; il potenziamento delle forme di contradditorio ante accertamento; la coerenza e la tendenziale uniformità dei poteri in materia tributaria, anche attraverso la definizione di una disciplina unitaria della struttura, efficacia e validità degli atti dell’amministrazione finanziaria e dei contribuenti in sede contenziosa.
In particolare, quest’ultimo principio manifesta la volontà del Legislatore di incidere su un momento fondamentale nel quale si esplica la dialettica tra fisco e contribuenti: il processo tributario.
La revisione del contenzioso tributario
L’art. 10 della delega fiscale ridisegna, in parte, l’architettura del contenzioso tributario. Le modifiche apportate vanno in due direzioni: la prima corregge alcune norme che regolano il processo tributario; la seconda, e più importante dal mio punto di vista, prevede la riorganizzazione della giustizia tributaria.
Le modifiche al processo tributario riguardano essenzialmente:
1) il rafforzamento e la razionalizzazione della conciliazione giudiziale;
2) la revisione delle soglie in relazione alle quali il contribuente può difendersi senza l’assistenza tecnica(attualmente solo per le controversie inferiori a 2.582,28 euro);
3) eventuale ampliamento dei soggetti abilitati all’assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie (una platea che già oggi coinvolge diverse figure professionali come i dottori commercialisti, gli avvocati, i ragionieri, i periti commerciali e i consulenti del lavoro);
4) l’immediata esecutività delle sentenze;
5) la predisposizione di criteri più rigorosi per la ripartizione delle spese del giudizio, limitando la compensazione delle stesse ai soli casi di soccombenza reciproca (nonostante quanto già stabilito dall’art. 92 c.p.c. post riforma del 2009);
6) l’uniformazione e la generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare.
La riorganizzazione della giustizia tributaria è, invece, la vera novità contenuta nella delega. È la prima volta, infatti, che si assiste alla volontà del Legislatore di mettere mano al funzionamento di questo apparato, il cui ruolo è oramai divenuto di primaria importanza nel rapporto tra fisco e contribuenti e, in generale, nel sistema economico del nostro Paese.
La giustizia tributaria italiana non solo è iniqua perché non garantisce la terzietà dell’organo giudicante, ma è anche lenta e inefficiente viste le scarse risorse a disposizione (che novità).
Per quanto riguarda la questione della non terzietà dell’organo giudicante, occorre solamente riflettere sul fatto che le Commissioni tributarie dipendono direttamente dal Ministero dell’Economia e delle finanze, come l’Amministrazione finanziaria (non per niente le retribuzioni delle Commissioni tributarie sono stabilite dal MEF e pagate direttamente dall’Agenzia delle Entrate): ciò vuol dire che per i contribuenti la partita del contenzioso non si gioca mai in campo neutro (anche logisticamente, visto che può capitare che una Commissione tributaria sia ubicata nello stesso edificio dell’Agenzia delle Entrate).
L’incipit dell’articolo sembra però ricordarsi di questo problema quando evoca, come principio guida, ilrafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, assicurando la terzietà dell’organo giudicante, ma poi, nel proseguo della norma, non vi è alcuna traccia degli strumenti operativi che ne consentano la realizzazione.
Con riferimento, invece, alla lentezza e all’inefficienza cronica della giustizia tributaria, sono presenti segnali incoraggianti verso una maggiore rapidità ed efficienza.
Il primo passo è quello del massimo utilizzo possibile della posta elettronica certificata per le comunicazioni e le notificazioni, un’ulteriore spinta verso il processo tributario telematico che ancora stenta a decollare, ma che farebbe risparmiare molto tempo e denaro a tutte le parti coinvolte nel giudizio.
Il secondo, e di maggior interesse perché inedito fino ad oggi, è la previsione di coinvolgere solamente un giudice, al posto dell’attuale terna che compone l’organo giudicante, nella decisione delle controversie di minore importanza, ossia quelle cause di modesto valore e di non particolare complessità.
Ciò che preoccupa è, tuttavia, l’uso del termine “eventuale” all’inizio della formulazione della norma. Questo significa che il Governo sarà libero o meno di scegliere se procedere in questa direzione nella successiva stesura del decreto legislativo.
L’auspicio è che una simile misura possa invece essere adottata, al fine di consentire un abbattimento della durata dei processi.
Dall’osservazione, infatti, dei dati pubblicati dal Dipartimento delle Finanze per il 2012, emerge che il tempo medio – che intercorre dalla data di deposito del ricorsoalla data di spedizione del dispositivo della sentenza – sia di ben 806,8 giorni per le Commissioni tributarie provinciali e di 598,6 per le Commissioni tributarie regionali.
Se poi si analizza il numero di controversie di minore importanza, prendendo come valore di riferimento, per esempio, le cause non superiori a 20.000 euro, si nota come queste incidano per il 72,69% sul totale dei ricorsi pervenuti in provinciale nel 2012 (e il dato è per di più sottostimato, visto che dal primo aprile 2012 è entrato in vigore l’istituto del reclamo e della mediazione proprio per le cause non superiori a questa soglia), mentre rappresentino il 54,1% dei ricorsi in regionale (dato ancor più sottostimato giacché risente della riduzione del numero di appelli contro l’Agenzia delle Entrate grazie all’istituto della chiusura delle liti fino ai 20.000 euro, che era stato introdotto nel 2011 per i ricorsi pendenti al 31 dicembre 2011).
Passare quindi da una terna di giudici a uno solo, per le cause non superiori a 20.000 euro, significherebbe liberare risorse da allocare ai ricorsi che attendono di essere discussi. Semplificando molto e ipotizzando che tali cause siano pari al 70% in provinciale e al 50% in regionale, il numero dei ricorsi definiti (indipendentemente dal relativo valore) aumenterebbe, infatti, a parità di altre condizioni, del 140% in primo grado e del 100% in appello, consentendo una notevole riduzione della durata dei processi.
Un’allocazione più efficiente della distribuzione dei giudici deve però essere accompagnata da un aumento dei relativi compensi (attualmente molto bassi e composti da una parte fissa di 311 euro mensili e da una parte variabile di 26 euro a sentenza, secondo quanto affermato dalla Relazione del 15 giugno 2012 del Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria), in modo da incentivarne la produttività, oltre a remunerare il maggior sforzo profuso nella risoluzione in composizione monocratica, e non collegiale, delle controversie.
Le risorse potrebbero comunque essere trovate grazie ai risparmi di spesa derivanti dall’introduzione del processo telematico. La delega, invero, si esprime in tal senso, anche se in termini molto generici, enunciando una correzione (si presume in aumento) dei criteri di determinazione del trattamento economico dei giudici, risalenti a due decreti ministeriali un po’ datati (il primo del 2002 per la parte fissa e il secondo del 2006 per quella variabile).
Infine, l’art. 10 prevede un altro importante tassello da inserire nel mosaico della giustizia tributaria che verrà: ilrafforzamento della qualificazione professionale dei giudici, al fine di assicurarne un’adeguata preparazione scientifica.
Anche questa affermazione è un’assoluta novità e suscita un notevole apprezzamento. Il diritto tributario, infatti, è una materia molto complessa e complicata: coinvolge qualsiasi tipo di operazione economica, dagli strumenti derivati alle procedure concorsuali, e abbraccia tutta una serie di competenze, che vanno dalla lettura critica dei bilanci all’interpretazione delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Persino in campo professionale si assiste, sempre più, alla specializzazione delle competenze data la vastità di applicazione della variabile fiscale. Ciò comporta che non è pensabile che un giudice possa facilmente orientarsi nelle controversie più disparate, soprattutto nei casi in cui la sua formazione sia molto lontana dal diritto tributario (magistratura o giustizia civile).
A mio avviso, il rafforzamento della qualificazione professionale dovrebbe essere accompagnato da forme direclutamento dei giudici che favoriscano di più i giovani: è incredibile costatare, sempre dai dati forniti dal MEF per il 2012 e rilevati nelle Commissioni tributarie provinciali, come l’età media dei giudici sia di circa 65 anni e che la percentuale di essi al di sotto dei 40 anni sia solamente dello 0,05%, quella inferiore ai 50 anni del 4,37% e ai 60 anni del 24,82%, mentre nella fascia di età compresa tra i 70 e i 75 anni si concentri addirittura il 34,1% dei giudici (dati ancora peggiori si registrano nelle commissioni tributarie regionali).
Si rende quindi necessaria la formazione di un corpo giudicante che sia formato da varie anime (magari di età non troppa avanzata), ciascuna con il suo filone di conoscenza e di ricerca. In questo modo si assicurerebbero ai contribuenti e al fisco maggiori garanzie nella tutela dei rispettivi interessi.