Illegittimo uso dei dati personali per finalità promozionali
Illegittimo uso dei dati personali per finalità promozionali
Corte di Cassazione Sezione I Civile
Sentenza 16 febbraio – 16 maggio 2016, n. 9982
Presidente Di Palma – Relatore Giancola
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 15.02.2008 I’Avv.to J.M., titolare di tre utenze di telefonia mobile fornitegli da TIM (nn cellulari (…),(…) e (…)), adiva, ai sensi dell’ars. 152 e 7 comma 4 lett b) del D. L.vo n. 196 del 2003, il Tribunale di Milano chiedendo che fossero ordinati alla convenuta Telecom Italia S.p.A. l’interruzione di ogni illegittimo trattamento ed uso per finalità promozionali dei suoi dati personali e che la medesima società fosse condannata al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali arrecati alla sua vita lavorativa e sociale dai continui messaggi di contenuto promozionale e pubblicitario. Con sentenza del 18.10-7.11.2011 l’adito Tribunale di Milano, nel contraddittorio delle parti, dichiarava cessata la materia dei contendere sulla domanda inibitoria (intimare alla società convenuta l’immediata cessazione del trattamento dati personali per finalità promozionali. invio materiale pubblicitario ed altro) mentre rigettava l’ulteriore domanda di risarcimento del danno proposta dal M., che condannava al pagamento in favore di Telecom Italia s.p.a. delle spese del giudizio. Il Tribunale osservava e riteneva che:
si doveva prendere atto – così come fatto dalla società convenuta nella memoria conclusiva – che il M., nella memoria depositata all’udienza del 23.2.2011, aveva dichiarato che Telecom Italia aveva posto fine all’invio di qualsiasi tipologia di messaggio di natura promozionale, ribadito questa circostanza nelle note conclusive autorizzate e quindi chiesto di dichiarare cessata la materia del contendere sulla originaria domanda sub A, ferma restando la sua richiesta risarcitoria; ciò non esimeva dall’esame dell’esistenza o meno di un precedente consenso prestato dal ricorrente al trattamento dei suoi dati per invio di messaggi a contenuto promozionale e/o pubblicitario, e dunque dall’accertamento della fondatezza della dedotta illegittimità del trattamento di quei dati personali da parte di Telecom Italia, necessario per la valutazione della domanda di risarcimento del danno, che, peraltro, non poteva trovare accoglimento;
– costituiva dato non contestato che alle tre utenze di telefonia mobile a disposizione del ricorrente fossero stati inviati da Telecom plurimi messaggi di testo promozionali e/o pubblicitari, indicati in ricorso (periodo ottobre 2007/febbraio 2008) e nell’elenco prodotto all’udienza dei l’.7.2008 (periodo febbraio 2008/giugno 2008), anche dopo il trasferimento delle medesime utenze ad altro gestore;
quanto ai documenti da 5 a 56 allegati alla memoria istruttoria del 3.4.2009 (SMS asseritamente ricevuti sino alla fine del 2009) non era stata fornita indicazione alcuna dell’utenza ricevente;
Telecom Italia aveva affermato la legittimità del proprio comportamento sul presupposto dell’esistenza del consenso alla ricezione di quei messaggi da parte del ricorrente. In particolare aveva rilevato: quanto all’utenza 3356652161, attiva dal 27.12.1997, che il 16.7.2002 l’avv. M. aveva negato il consenso, ma il 31.10.2006 aveva acconsentito a ricevere quelli di Tim; il 6.3.2008 la linea era stata trasferita ad altro gestore, quanto all’utenza 3381191849, attiva dal 13.9.2006, che il consenso risultava prestato il 7.10.2006 e ribadito i successivi 22.10 e 28.10.2006; la migrazione ad altro operatore era avvenuta il 13.2.2008; quanto, infine, all’utenza 33996584745, che il consenso risultava prestato al momento della sua attivazione in data 7.4.2007: la migrazione ad altro operatore era del 20.5.2008; la parte (convenuta) aveva prodotto quali docc. 4, 5 e 6 gli estratti del proprio sistema informatico che attestavano le vicende relative a ciascuna delle utenze. 11 ricorrente aveva eccepito la non idoneità degli indicati documenti a fornire la prova del consenso secondo quanto stabilito dall’art. 23 D. Lvo n.19612003, ma tale prospettazione non era condivisibile alla luce dell’interpretazione data alla norma citata da parte sia del Garante sia della prevalente dottrina, richiamata dalla convenuta. In ogni caso andava rilevato che la contestazione dei predetti documenti era limitata al profilo della loro non idoneità a fornire la prova del consenso secondo quanto stabilito dal citato art.23, ma nessuna obiezione era stata svolta in merito alla correttezza dei dati negli estratti del sistema informatico della parte, conseguenti alle informazioni raccolte dal rivenditore autorizzato ovvero da accessi al sito internet dedicato;
il rapporto M./Telecom Italia, per quanto rilevava in riferimento alle tre indicate utenze di telefonia mobile, presentava singolari connotazioni e non poteva non rilevarsi che la posizione assunta dal ricorrente in punto “consenso” non era lineare, ma presentava caratteri di ambiguità. Innanzitutto il M. non aveva assunto una precisa posizione né affermato con certezza di avere o non avere prestato il suo consenso, prospettando entrambe le eventualità (“il medesimo non ha prestato il consenso al trattamento dei suoi dati personali o, comunque, l’eventuale consenso prestato è invalido”, pag. 4 ricorso). Altro aspetto singolare era la pretesa del ricorrente di “estendere” l’opposizione al trattamento dei dati manifestata in riferimento alla utenza n. 3356652161 e che aveva dato luogo al procedimento svoltosi davanti al Garante nel 2002, anche alle altre utenze successivamente attivate (2006 e 2007). Era inoltre significativo il dato -pacifico,- che successivamente al ricorso al Garante nel 2002 (relativo alla sola utenza n. 33356652161 unica attiva a quella data), nessun messaggio era stato per lungo tempo inviato da Tim, nel rispetto della volontà dei cliente che risultava riportata nel doc. 4 della convenuta alla data del 16.7.2002 (consenso negato per messaggi informativi e pubblicitari sia di Tim sia di altri). Se il richiamato doc. 4 era, dunque, da ritenersi attendibile e probatorio nella parte in cui era annotato il diniego del consenso (oltre ad altri dati in esso riportati e non contestati dal ricorrente), la medesima efficacia doveva estendersi anche alla successiva annotazione di modifica in data 31.10.2006 con consenso alla ricezione di messaggi informativi/pubblicitari del sola Tim. E, infatti, solo successivamente a tale data era ripreso l’invio dei messaggi da parte dei gestore. Dagli estratti del sistema informatico di Telecom Italia relativi alle altre utenze indicate in ricorso, si rilevavano analoghe indicazioni: per il n. 3381191849, il consenso prestato il 7.10.2006 e poi negato a seguito di modifica del 13.2.2008 (contestuale alla migrazione ad altro operatore), e i denunciati messaggi intrusivi da parte del ricorrente si inserivano nel periodo di presenza dei consenso; per il n. 33996584745, il consenso era stato prestato al momento della sua attivazione. La non equivoca manifestazione della volontà dell’avv. M. emergeva, inoltre, in riferimento all’utenza n.3381191849, nella nuova richiesta di attivazione del servizio di portabilità da Vodafone a Tim avanzata successivamente al deposito del ricorso in esame (…non comprensibile il “disconoscimento di conformità all’originale” effettuato dall’Avo. M. rispetto al doc_9 di controparte, nelle parti prodotte del tutto coincidente con il proprio doc. 69). Nel modulo di richiesta, il “consenso al trattamento dei dati ” era sottoscritto con l’aggiunta manoscritta “ad esclusione finalità punto 4″ che lungi dal rappresentare “una evidente postilla chiarificatrice” come sostenuto dal ricorrente, imponeva di ripercorrere le indicate condizioni generali della fornitura per individuare nell’ari. 13 (Tutela della riservatezza), comma l n. 4 il presumibile riferimento della”postilla”. Equivocità e mancanza di chiarezza del comportamento del ricorrente che ancora erano ravvisabili nella comunicazione inviata a Tini-Centro Datel il 6.04.2007 avente ad oggetto “opposizione al trattamento dei dati personali per finalità promozionali” nella quale, richiamato l’ari. 7 del D. L.vo n. 196/2003. l’avv. M. invitava il destinatario “dal persistere nell’attività promozionale effettuate a mezzo sms, email e quant’altro”, senza tuttavia indicare ne le utenze telefoniche né gli indirizzi di posta elettronica ai quali doveva intendersi riferita la richiesta;
conclusivamente, con riferimento a tutte le utenze indicate in ricorso, i messaggi promozionali/pubblicitari erano stati inviati dal gestore in conformità al consenso prestato dall’interessato, modificato per quanto riguardava l’utenza n.3356652161 (nel 2006, dopo il procedimento davanti al Garante nel 2002) e prestato per le altre due utenze in sostanziale coincidenza con il momento della loro attivazione (settembre 2006 e aprile 2007), senza che sino al momento del deposito del ricorso introduttivo l’interessato avesse esercitato il diritto di opporsi al trattamento con modalità idonee a consentire a controparte l’adozione di un conforme comportamento. Avverso questa sentenza il M. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi, illustrato da memoria e notificato il 21.12.2012- 217.01.2013 sia al garante per la protezione dei dati personali, che non ha svolto difese, e sia a Telecom Italia S.p.a., che il 14.02,2013 ha resistito con controricorso, di cui il M. ha eccepito in memoria l’inammissibilità per nullità (e comunque inesistenza) della relativa notificazione a mezzo PEC.
Motivi della decisione
Preliminarmente in rito va respinta l’eccezione d’inammissibilità del controricorso proposta dal M.. Ai sensi degli artt 125 comma primo e 366, secondo comma, c.p.c. nonché 1, 3 comma 3 bis, 4, 7 e 11 della legge n. 53 del 1994 (nelle versioni introdotte dall’art. 25 della legge n. 183 del 2011 ed applicabili ragione temporis per il comma 50 del medesimo articolo e per l’art 36 della legge n. 53 del 1994), nonché dell’art. 16 del DL n. 179 del 2012 coni., con modif, dalla L n 221 del 2012 (nella versione in vigore dal 20.10 2012). nonché ancora dell’art 18 delle regole tecniche di cui al decreto del Ministero della Giustizia n. 44 dei 21.02.2011 (nel testo modificato dall’art. 5, comma 1 lett h) del decreto n. 209 del 15 ottobre 2012 ed in vigore dal 20.12.2012 e peraltro ulteriormente e reiteratamente modificato a decorrere dal 24.05.2013 con l’art. 1 comma 1 dei Decreto n. 48 del 3 aprile 2013, adottato dalla medesima Amministrazione in prescritto adeguamento alle sopravvenienze normative – divenute perciò anch’esse operative solo dal 24.05.2013 e pertanto nel caso inapplicabili – di cui all’art. 16 quater introdotto dall’art. 1 comma 19 della legge n. 228 del 2012 in vigore dal l°.01.2013, a modifica del citato DI- n. 179 del 2012), la notificazione per via telematica tra avvocati era all’epoca focalizzata e nella specie si rivela utilmente, direttamente e tempestivamente eseguita nei confronti del collega di controparte e dallo stesso ricevuta all’indirizzo di posta elettronica certificata espressamente da lui indicato nel ricorso introduttivo, privo di elezione di domicilio in Roma (in tenia cfr Cass. Sii n. 10143 del 2012; Cass n. 13857 del 2014; 25215 dei 2014); peraltro il raggiungimento dello scopo, integrato dalla replica al controricorso, avrebbe per altro verso sanato eventuali nullità della compiuta notificazione. A sostegno del ricorso il M. denunzia:
a. “Omessa ed insufficiente motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. con riferimento alla dedotta necessità di prova scritta del consenso al trattamento dei dati personali” e segnatamente alla resa esegesi dell’art. 23, comma 3 del D.Lgs n. 196 del 2003 sulle modalità di prestazione, acquisizione e prova del predetto consenso, in tesi non sostenuta da idonee ragioni, essendo esse integrate ermeticamente e per relazionem, non da precedenti giurisdizionali ( come previsto dall’art. 118 disp. att c.p.c. nella versione introdotta dalla legge n, 69 del 2009 applicabile ratione tempuris, ex art. 58, comma 2 del medesimo testo normativo) ma da decisione del garante e dottrina giuridica richiamate dalla società Telecom Italia.
b. “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art, 360 n. 3 c.p.c. con riferimento agli artt. 23 comma 3 del d. lgs. 196/03 e all’art. 2697 del codice civile.” lì ricorrente evidenzia di non avere prestato il consenso al trattamento dei suoi dati, comunque di non averlo validamente espresso e di avere contestato i documenti prodotti dalla società convenuta a prova dello stesso (ossia risultanze dei sistemi informatici, da lui non sottoscritte e recanti annotazioni eseguite da operatori incaricati dalla Telecom Italia), anche in quanto provenienti non da lui ma dal titolare del trattamento. Ricorda di avere sostenuto che la prova della prestazione del consenso, da aversi altrimenti per inesistente, poteva essere fornita solo in forma scritta, ai sensi dell’art. 23, comma 3 dei D.Lgs n. 196 del 2003, posto anche che solo lo scritto consentiva di verificare la ricorrenza degli altri requisiti di validità di esso.
c. “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. con riferimento agli artt. 2712 c.c. (riproduzioni informatiche / meccaniche) e 2697 c.c. (quest’ultima anche con riferimento al principio della “non contestazione”)”.
d. “Insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. con riferimento alla prova dell’effettiva prestazione del consenso da parte dell’interessato.” Con i motivi sub e) e d) il M. assume che quand’anche fosse confermata, nonostante il tenore dell’art. 23 commi 3 e 4 (già arti 11 e 22 dell’abrogata legge n. 675 del 1996), la non necessarietà della prova scritta del consenso, la sentenza sarebbe incorsa in violazione di legge e sarebbe affetta da vizi di motivazione, dovendo il consenso al trattamento dei dati essere provato da chi intendeva farlo valere, con avvalimento degli ordinari mezzi di prova, mentre invece tale prova era stata indebitamente tratta da riproduzione informatica, erroneamente valorizzando la non contestazione da parte sua.
e. “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c,p.c. con riferimento agli artt. 2727 e 2729 c.c. e, comunque, insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione, ex art. 360 n. 5 c.p.c. in ordine alla valutazione degli elementi indiziari.”
Il M. si duole ancora della ritenuta esistenza della prova del suo consenso al trattamento dei dati, assumendo in sintesi utilizzo ed applicazione erronei della prova presuntiva, anche irritualmente fondata non su dati fattuali ma su sue scelte processuali e tattiche difensive.
f. ‘-Violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 n. 3 c.p.c. con riferimento agli artt. 7, 8, 9, 10 d. Igs. 196/03.”
g. “Insufficiente. illogica e contraddittoria motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c. con riferimento all’esercizio del diritto di opposizione cx art. 7 comma 4 d. lgs. 196/03.”. Con gli ultimi due motivi il M. si duole che non sia stata valorizzata la sua opposizione al trattamento dei suoi dati personali per finalità promozionali, manifestata con la comunicazione inviata il 6.04.2007 a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento e ricevuta dalla Telecom Italia. Assume che i giudici di merito non solo hanno errato nel valutare la portata della predetta comunicazione, giacché l’omessa specificazione del trattamento oggetto dell’opposizione in questione avrebbe dovuto implicare il riferimento a tutti i trattamenti dei suoi dati in corso, ma inoltre non hanno dato conto delle ragioni fattuali e giuridiche che sostenevano la contraria conclusione, ivi compresa l’affermazione secondo cui non aveva esercitato il diritto di opporsi al trattamento con modalità idonee a consentire a controparte l’adozione di un coni orme comportamento.
Tutti i motivi del ricorso, inerenti a messaggi di testo pubblicitari e promozionali inviati al M. su tre utenze telefoniche mobili in sua titolarità, devono essere disattesi.
I primi due motivi non meritano favorevole sorte in quanto l’affermazione conclusiva secondo cui la prestazione del consenso al trattamento dei dati personali c.d. comuni non è soggetta al requisito della forma scritta, ma, a differenza che per i dati sensibili, può essere espressa anche oralmente purché venga documentata per iscritto, appare aderente alla lettera ed alla ratio della normativa, che ai commi commi 3 e 4 dell’art. 23 del Digs n. 196 del 2003 espressamente e logicamente distingue le due ipotesi, imponendone una diversa disciplina e significativamente tacendo sulla forma della prima (cfr Cass n. 17399 del 2015).
D’altra parte. l’art. 360, primo comma, n. 5, cod, proc. civ., nella formulazione, applicabile ratione temporis, risultante dalle modifiche introdotte dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, prevede l`omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione”, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio” ossia ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico – naturalistico, non assimilabile in alcun modo all’esegesi del dato normativo ed alle relative argomentazioni in diritto (cfr anche cass. n.17037 del 2015; n. 21 152 del 2014; n. 2805 del 201 I. In tenia cfr anche cass. n. 19618 del 2003); dunque, inammissibile si rivela su quelle questioni la prospettazione di vizi motivazionali, che, quand’anche fossero riscontrabili, come non pare avendo il Tribunale (non acriticamente ma) consapevolmente recepito l’articolata tesi della Telecom Italia, comunque imporrebbero, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., stante la conformità a diritto del dispositivo della pronuncia di primo grado, la correzione della motivazione, con inserimento delle evidenziate ragioni esegetiche. Anche le ulteriori censure dedotte nei primi due motivi, al pari di quelle prospettate nei motivi contraddistinti dalle lettere e), d) ed e) si rivelano prive di pregio, Nel richiedere la documentazione dell’esplicitato consenso, l’art. 23, comma 3 del D.l.gs intende riferirsi alla categoria di “documenti” che s’identifica non solo con quella degli atti pubblici e delle scritture private, direttamente rappresentative dei fatti dedotti in causa, ma anche con quella ampia e generica elaborata in sede di teoria generale dei diritto, che l’a riferimento a qualsiasi oggetto idoneo e destinato a fissare in qualsiasi forma, anche non grafica, la percezione di un fatto storico al fine di rappresentarlo in avvenire, e che nel capo II del titolo II e del libro V I del codice civile, intitolato alla “prova documentale”, trova compiuta regolamentazione (in tema, cfr Cass. n. 1838 del 1990). Detta norma, dunque, consente al titolare del trattamento, onerato della prova della relativa liceità, di fare ricorso all’art. 2712 c.c. per dare riscontro scritto documentale dell’acquisizione da parte sua del consenso al trattamento dei dati personali comuni, e perciò di avvalersi di registrazioni e riproduzioni anche informatiche da lui stesso attivate ( e da correlare con la doverosa preventiva informativa resa all’utente, ai sensi dell’art. 13 del Dlgs n. del 2003), ferma restando la successiva verificabilità da parte delle Autorità a tanto deputate dell’idoneità, adeguatezza e sufficienza probatoria della recepita annotazione, seppure non sottoscritta, e ciò anche in merito alla ricorrenza degli ulteriori requisiti di validità del consenso in questione, suscettibile se contestata, di essere pure altrimenti dimostrata, tramite il complesso delle codificate regole probatorie.
In definitiva, in tenia di trattamento dei dati personali c.d. comuni per finalità promozionali e commerciali mediante messaggi di testo (SMS) su utenze telefoniche mobili:
a) la regola introdotta dall’art. 23. comma 3, del d.lgs. n. 196 del 2003, secondo cui il consenso al trattamento è validamente prestato, tra l’altro, se è documentato per iscritto, attiene non alla forma di manifestazione del consenso in questione – come, invece, stabilito per il trattamento dei dati sensibili di cui al comma 4 dello stesso art. 23 -, ma al contenuto dell’onere probatorio gravante sul titolare dei dati personali;
b) al titolare dei dati personali c imposto di dare documentazione per iscritto dell’assenso anche orale. esplicitato dall’utente del servizio, al trattamento dei medesimi suoi dati per scopi pubblicitari e promozionali aggiuntivi rispetto al fornito servizio di telefonia mobile;
e) la documentazione per iscritto può essere integrata anche da riproduzioni meccaniche o informatiche di cui all’art. 2712 c.c., effettuate dal titolare del trattamento, salva l’eventuale. successiva verifica dell’idoneità, adeguatezza e sufficienza del contenuto dell’acquisita annotazione (in tema, cfr anche art.17 Direttiva 2002/58/CE).
Al riguardo, giova anche ricordare che in tema di efficacia probatoria delle riproduzioni meccaniche di cui all’art. 2712 cod. civ., il “disconoscimento” che fa perdere alle riproduzioni stesse la loro qualità di prova – e che va distinto dal “mancato riconoscimento”, diretto o indiretto, il quale, invece, non esclude che il giudice possa liberamente apprezzare le riproduzioni legittimamente acquisite -, pur non essendo soggetto ai limiti e alle modalità di cui all’art. 214 cod. proc. civ., deve tuttavia essere chiaro, circostanziato ed esplicito, dovendo concretizzarsi nell’allegazione di clementi attestanti la non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (in tema cfr anche Cass, n. 2117 del 201 1; n. 33122 del 2015). Nella specie il giudice di merito ha ritenuto che il M. non avesse contestato il dato annotato ma infondatamente la validità di un consenso espresso in forma non scritta e trasposto nel sistema informatico interno alla Telecom Italia; se da un canto queste sfavorevoli valutazioni sono state idoneamente confortate pure dal richiamo, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., del contegno processuale tenuto dal medesimo M., dall’altro l’argomentato accertamento della portata e dei limiti dell’attuata contestazione non appare in questa sede nemmeno contraddetto da contrari, autosufficienti e decisivi rilievi, pure considerando le menzionate specifiche connotazioni che la contestazione avrebbe dovuto assumere. Vanno. infine, respinti, anche gli ultimi due motivi del ricorso, contraddistinti dalle lettere I) e G). giacché l’affermazione del Tribunale secondo cui il contenuto della comunicazione del 6.04.2007 inviata dal M. e ricevuta dalla Telecom Italia precludeva di dare seguito all’opposizione con essa manifestata, al trattamento dei dati personali per finalità promozionali, appare in effetti non solo plausibilmente giustificata dalla valorizzata genericità dell’iniziativa inserita in un articolato contesto di utenze telefoniche attive e di annesse varie tipologie di trattamento di dati, ma pure aderente e all’ars. 7, comma 4 del D.Lgs n. 196 dei 2003, che attribuisce all’interessato il diritto di opporsi in tutto o in parte al trattamento, perciò implicitamente onerandolo di chiarire il suo intento.
In definitiva il ricorso deve essere respinto, con condanna del soccombente M. al pagamento, in favore di Telecom Italia S.p.a., delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il M. al pagamento, in favore di Telecom Italia S.p.a., delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in e 3.000,00 per compenso ed in € 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori come per legge.
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