Il sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo sui provvedimenti …
1. Il giudice amministrativo – nella ricerca di un punto di equilibrio, da verificare di volta in volta in relazione alla fattispecie concreta, tra le esigenze di garantire la pienezza e l'effettività della tutela giurisdizionale e di evitare che il giudice possa esercitare egli stesso il potere amministrativo che compete all'Autorità – può sindacare con pienezza di cognizione i fatti oggetto dell'indagine ed il processo valutativo, mediante il quale l'Autorità applica al caso concreto la regola individuata, ma, ove ne accerti la legittimità sulla base di una corretta applicazione delle regole tecniche sottostanti, il suo sindacato deve arrestarsi, in quanto diversamente vi sarebbe un'indebita sostituzione del giudice all'amministrazione, titolare del potere esercitato” (Cons. St., Sez. VI, 13 settembre 2012, n. 4873). Ed, invero, “con rapporto alle valutazioni tecniche, anche quando riferite ai c.d. “concetti giuridici indeterminati”, la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, ma deve consentire al giudice un controllo intrinseco, avvalendosi eventualmente anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall'Autorità.
Il sindacato del giudice amministrativo è, quindi, pieno e particolarmente penetrante e può estendersi sino al controllo dell'analisi (economica o di altro tipo) compiuta dall'Autorità, e, in superamento della distinzione tra sindacato “forte” o “debole”, va posta l'attenzione unicamente sulla ricerca di un sindacato, certamente non debole, tendente ad un modello comune a livello comunitario, in cui il principio di effettività della tutela giurisdizionale sia coniugato con la specificità di controversie, in cui è attribuito al giudice il compito non di esercitare un potere in materia antitrust, ma di verificare – senza alcuna limitazione – se il potere a tal fine attribuito all'Autorità sia stato correttamente esercitato.
Tale orientamento esclude limiti alla tutela giurisdizionale dei soggetti coinvolti dall'attività dell'A.g.c.m, individuando quale unica preclusione l'impossibilità per il giudice di esercitare direttamente il potere rimesso dal legislatore all'Autorità” (Cons. St., sez. VI, 6 maggio 2014, n. 2302).
Pare il caso di aggiungere che dal canto proprio Cass. civ., SS. UU., 14 maggio 2014, n. 10411, ha statuito che “il sindacato di legittimità del giudice amministrativo sui provvedimenti dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato comporta la verifica diretta dei fatti posti a fondamento del provvedimento impugnato e si estende anche ai profili tecnici, il cui esame sia necessario per giudicarne della legittimità, salvo non includano valutazioni ed apprezzamenti che presentano un oggettivo margine di opinabilità (come nel caso della definizione di mercato rilevante nell'accertamento di intese restrittive della concorrenza), nel qual caso il sindacato, oltre che in un controllo di ragionevolezza, logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, è limitato alla verifica della non esorbitanza dai suddetti margini di opinabilità, non potendo il giudice sostituire il proprio apprezzamento a quello dell' Autorità Garante”.
2. Qualora l'episodio che abbia dato luogo alla segnalazione di ingannevolezza di un messaggio pubblicitario “sia stato generato da un caso isolato, l'episodio stesso è da considerare di scarsa significatività e, come tale, non riconducibile – perché divenga giuridicamente rilevante – ad una vera e propria "pratica" commerciale dal carattere di oggettiva ingannevolezza. Questa unicità dell'episodio è circostanza determinante che esclude l'abitualità, o serialità, propria della "pratica", vale a dire della prassi commerciale scorretta, e che avrebbe dovuto essere adeguatamente valutata alla luce dell'allora vigente art. 2 lett. a) d.lg. 25 gennaio 1992 n,. 74 (in materia di messaggi pubblicitari ingannevoli diffusi attraverso mezzi di comunicazione), e della definizione di pubblicità ivi richiamata (normativa poi abrogata dall'art. 146 e assorbita nel codice del Consumo, e oggi regolata dall'art. 2 comma 1 lett. a) e b) d.lg. 2 agosto 2007 n. 145, di attuazione dell'art. 14 della direttiva 2005/29/Ce che modifica la direttiva 84/450/Cee sulla pubblicità ingannevole)” (così Cons. Stato, VI, 21 settembre 2011, n. 5297).
3. Se è vero che il risarcimento del danno a carico della P.A. non è conseguenza automatica e costante dell'annullamento giurisdizionale dell’atto amministrativo posto che si richiede invece a questo fine la verifica positiva, oltre che della lesione della situazione soggettiva di interesse tutelata dall'ordinamento, della sussistenza della colpa in capo all’Amministrazione e del nesso causale tra provvedimento illegittimo e danno sofferto, è vero anche che l’illegittimità del provvedimento è però un elemento dal quale deriva una presunzione di colpa in capo alla P.A. e che l'onere probatorio gravante sul richiedente può ritenersi assolto con l'indicazione dell’illegittimità del provvedimento, potendo riconoscersi in capo all'amministrazione l'onere di provare l'assenza di colpa attraverso l’errore scusabile (v., “ex multis”, Cons. Stato, III, 10 luglio 2014, n. 3526).