Il giudice non puo’ ridurre i compensi dell’avvocato
Il giudice non puo’ ridurre i compensi dell’avvocato
Corte di Cassazione Sezione I Civile
Sentenza 11 marzo – 17 settembre 2015, n. 18238
Presidente Salvago – Relatore Campanile
La sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato un caso interessante relativo ai compensi dell’avvocato e, più nello specifico, quando le somme vengono ridotte dal magistrato nonostante il deposito della nota spese.
Secondo la Corte di Piazza Cavour “la determinazione degli onorari di avvocato e degli (onorari) e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, se non quando sia stato l’interessato stesso a specificare le singole voci della tariffa che assume essere state violate (v. Cass., 19/10/1993, n. 10350)“
Pertanto, si legge nella parte motiva della sentenza, “in presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non può peraltro limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, in misura inferiore a quelli esposti, ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all’inderogabilità dei relativi minimi, a norma della L. n. 794 del 1942, art. 24 (Cass., 30/3/2011, n. 7293; Cass., 30/10/2009, n. 23059; Cass., 24/2/2009, n. 4404)”
In conclusione, spiegano gli ermellini, “il giudice è dunque tenuto ad indicare dettagliatamente le singole voci che riduce, perché chieste in misura eccessiva, o che elimina, perché non dovute, in modo da consentire l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe in relazione all’inderogabilità dei minimi v. Cass., 8/2/2007, n. 2748.”
Testo della sentenza
Corte di Cassazione Sezione I Civile
Sentenza 11 marzo – 17 settembre 2015, n. 18238
Presidente Salvago – Relatore Campanile
Svolgimento del processo
1 – La Corte di appello di Roma, in sede di rinvio disposto da questa Corte con sentenza n. 21.795 del 2006, con la sentenza indicata in epigrafe ha determinato le indennità di espropriazione e di occupazione legittima in relazione a un fondo appartenente ai signori J.P. e T.C., sottoposto a procedimento ablativo da parte del Comune di Cervaro, rispettivamente in euro 25.584,47 e in euro 10.777,76, al netto degli acconti già versati, oltre ad interessi legali.
1.2 – Per quanto in questa sede rileva, le spese processuali relative al primo giudizio di merito sono state liquidate, d’ufficio, in € 1.200,00 per onorari, € 400,00 per diritti ed € 1.200,00 per spese, comprese quelle di CTU; quelle di legittimità in € 1.400,00 per onorari ed e 120,00 per spese ed infine quelle del giudizio di rinvio in e 1.000,00 per onorari, € 120,00 per diritti ed € 340,00 per spese.
1.3 – Per la cassazione di tale decisione i signori C. propongono ricorso, affidato ad unico e articolato motivo.
Il Comune di Cervaro non svolge attività difensiva.
Motivi della decisione
2 – Preliminarmente deve rilevarsi la validità della notifica del ricorso alla parte presso il procuratore costituito, a mani dello stesso (Cass., 17 luglio 1999, n. 7613; Cass., 21 marzo 2003, n. 4134; Cass, Sez. un., n. 29290; Cass., 20 marzo 2013, n. 6886; Cass. 20 marzo 2013, n. 6886, in motivazione).
2.1 – L’unica censura, corredata da idonei quesiti di diritto, ed incentrata sull’illegittimità della liquidazione d’ufficio delle spese processuali, nei termini indicati in narrativa, pur in presenza di note all’uopo depositate nell’interesse della parte, ed allegate al ricorso, è pienamente fondata.
2.2 – Come questa Corte ha già avuto modo di affermare, la determinazione degli onorari di avvocato e degli (onorari) e diritti di procuratore costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice che, qualora sia contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede una specifica motivazione e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità, se non quando sia stato l’interessato stesso a specificare le singole voci della tariffa che assume essere state violate (v. Cass., 19/10/1993, n. 10350).
In presenza di una nota specifica prodotta dalla parte vittoriosa, il giudice non può peraltro limitarsi ad una globale determinazione dei diritti di procuratore e degli onorari di avvocato, in misura inferiore a quelli esposti, ha l’onere di dare adeguata motivazione dell’eliminazione e della riduzione di voci da lui operata, allo scopo di consentire, attraverso il sindacato di legittimità, l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe, in relazione all’inderogabilità dei relativi minimi, a norma della L. n. 794 del 1942, art. 24 (Cass., 30/3/2011, n. 7293; Cass., 30/10/2009, n. 23059; Cass., 24/2/2009, n. 4404).
Il giudice è pertanto tenuto ad indicare dettagliatamente le singole voci che riduce, perché chieste in misura eccessiva, o che elimina, perché non dovute, in modo da consentire l’accertamento della conformità della liquidazione a quanto risulta dagli atti ed alle tariffe in relazione all’inderogabilità dei minimi v. Cass., 8/2/2007, n. 2748.
2.2 – Nel caso in esame, pur in presenza di dettagliate note spese, allegate all’odierno ricorso, senza invero offrire elementi volti a chiarire quali voci abbia ritenuto non attribuibili ed affidando la determinazione della somma complessiva di diritti e di onorari ad enunciazioni generiche ed astratte, prive di riferimenti concreti alla fattispecie in questione, ai fini della verifica del rispetto dei minimi tariffari ovvero a giustificazione (per i soli onorari) della liquidazione operata al di sotto dei minimi, la corte di merito ha disatteso i suindicati principi.
S’impone, pertanto, in parte qua, la cassazione dell’impugnata sentenza.
2.3 – Ricorrono, pertanto i presupposti, non essendo necessario procedere ad ulteriori acquisizioni, per decidere la causa nel merito.
Deve esprimersi, quindi, un giudizio di congruità per quanto attiene ai diritti e alle spese indicati nelle note relative al primo giudizio di merito e a quello di rinvio, mentre per quanto riguarda gli onorari, considerato il valore della controversia e le questioni trattate, appare congrua la liquidazione di euro 3.000,00 per il primo giudizio e quella di euro 3.600,00 per quello di rinvio. Per il primo giudizio di merito, pertanto, vanno liquidati euro 356,20 per spese, oltre compenso per il CTU, euro 2.224,00 per diritti ed euro 3.000,00 per onorari; per quello di rinvio euro 352,41 per spese, euro 1.545,00 per diritti ed euro 3.600,00 per onorari.
Quanto al primo giudizio di legittimità, applicata la tariffa forense di cui al D.M. 8 aprile 2004, le spese vanno liquidate in complessivi euro 3.000.00. In tutti i casi dovranno calcolarsi le spese generali, come richieste, nonché quanto dovuto a titolo di IVA e C.P.A..
3 – Le spese relative al presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, liquida le spese
processuali, per il primo giudizio di merito, in euro 356,20 per spese, oltre compenso per il CTU, euro 2.224,00 per diritti ed euro 3.000,00 per onorari; per quello di rinvio in euro 352,41 per spese, euro 1.545,00 per diritti ed euro 3.600,00 per onorari, per il primo giudizio di legittimità, in complessivi euro 3.000.00, oltre, in tutti i casi, spese generali, come richieste, nonché quanto dovuto a titolo di IVA e C.P.A..
Condanna l’ente intimato al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
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