Estorsione ad un prete per un sms di troppo
Estorsione ad un prete per un sms di troppo
Imputazione, il reato consumato ne assorbe il tentativo
Corte di Cassazione II Sezione Penale
Sentenza 8 – 30 ottobre 2014, n. 45029
Presidente Gentile – Relatore Verga
La Corte di Cassazione, con la sentenza che si riporta al link in fondo all’articolo, ha esaminato un ricorso presentato avverso una sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Bologna che, confermando la decisione presa dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Ferrara, condannava gli imputati per estorsione consumata e tentata in danno un prete.
In poche parole, un sacerdote aveva inviato un sms erotico ad una ragazza, questa avrebbe iniziato a inviate messaggi ricattatori al prete dicendogli che se non le avesse consegnato la somma di euro 30.000,00 avrebbe divulgato tutto.
Dopo aver conseguito la dazione della trance di € 1000, i due imputati si allontanarono senza consegnare il telefonino e immediatamente dopo furono arrestati con rinvenimento nella loro disponibilità delle banconote fotocopiate . Sulla scorta di tale ricostruzione i giudici di merito hanno ritenuto sussistenti due estorsione, una consumata ed una tentata, unificate con il vincolo della continuazione perché esecutive di un medesimo disegno criminoso.
La Cassazione ha ricordato che “il ripetersi delle minacce da parte dell’estorsore per costringere la vittima a consegnargli il danaro ingiustamente richiesto non da luogo, di per sè, ad una pluralità di reati, occorrendo prima accertare se ci si trovi in presenza di una azione unica o meno, e ciò alla stregua del duplice criterio: finalistico e temporale. Azione unica, infatti, non equivale ad atto unico, ben potendo la stessa essere composta da una molteplicità di “atti” che, in quanto diretti al conseguimento di un unico risultato, altro non sono che un frammento dell’azione, una modalità esecutiva della condotta delittuosa. L’unicità del fine a sua volta non basta per imprimere all’azione un carattere unitario essendo necessaria, la così detta contestualità, vale a dire l’immediato succedersi dei singoli atti, sì da rendere l’azione unica. I diversi conati posti in essere per procurarsi un ingiusto profitto costituiscono autonomi reati, unificabili con il vincolo della continuazione, quando singolarmente considerati in relazione alle circostanze del caso concreto e, in particolare, alle modalità di realizzazione e soprattutto all’elemento temporale, appaiono dotati di una propria completa individualità; al contrario, si ha un solo reato di estorsione, pur in presenza di diversi atti di minaccia, allorché gli stessi costituiscono singoli momenti di un’unica azione perchè sorretti da un’unica e continua determinazione, che non registri sul piano della volontà interruzioni o desistenze“.
Di conseguenza, al contrario di quanto opinato dalla Corte territoriale, la continuazione nel caso in esame non è nemmeno astrattamente concepibile in quanto le due intimidazioni integrano segmenti della stessa condotta finalizzata alla consegna della somma di € 30,000,00 originariamente richiesta, parte della quale effettivamente consegnata sotto il controllo delle forze dell’ordine.
Pertanto, nel caso di specie i giudici di legittimità hanno annullato per i ricorrenti la sentenza impugnata limitatamente al secondo capo d’imputazione (il tentativo) venendo questo assorbito dall’imputazione del reato consumato poichè “si tratta pertanto di una sola ipotesi di estorsione consumata, gli ulteriori atti intimidatori non sono altro che frammenti di un’unica azione finalizzata all’ottenimento di quanto originariamente richiesto e solo in parte pagato“.
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