Contraffazione, elementi costitutivi del reato
Contraffazione, elementi costitutivi del reato
Corte di Cassazione, sezione V Penale
sentenza 3 febbraio – 4 giugno 2015, n. 23982
Presidente Marasca – Relatore Guardiano
La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha esaminato un caso di contraffazione e, nello specifico, è stata chiamata a valutare la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano che confermava la decisione del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Monza che, a seguito del giudizio abbreviato, condannava l’imputato per avere detenuto e per la vendita, al di fuori del caso di concorso nella contraffazione, migliaia di oggetti (bandiere, sciarpe, cappelli, et similia), recanti marchi contraffatti di note squadre di calcio ed organismi calcistici internazionali.
Veniva presentato ricorso per Cassazione lamentando violazione di legge e vizio di motivazione sotto diversi profili.
Gli ermellini però non hanno accolto il ricorso dell’imputato per l’infondatezza dei motivi poichè, osservano i giudici, “il ricorrente omette di considerare, che, come affermato da tempo dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, il reato previsto dall’art. 474 c.p. è configurabile qualora la falsificazione, anche imperfetta e parziale, sia idonea a trarre in inganno i terzi, ingenerando confusione tra contrassegno e prodotto originali e quelli non autentici e quindi errore circa l’origine e la provenienza del prodotto. Infatti, ai fini della configurabilità del predetto reato è sufficiente e necessaria l’idoneità della falsificazione a ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, bensì alla loro successiva utilizzazione, a nulla rilevando che il marchio, se notorio, risulti, o non, registrato, data l’illiceità dell’uso, senza giusto motivo, di un marchio identico o simile ad altro notorio anteriore utilizzato per prodotti o servizi sia omogenei o identici, sia diversi, allorché al primo derivi un indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del secondo“.
Si legge nella sentenza “la fattispecie di reato prevista dall’art. 474 c.p. è volta a tutelare, in via principale e diretta, non la libera determinazione dell’acquirente ma la pubblica fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno o i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione, trattandosi di reato di pericolo, per la cui configurazione non è necessaria l’avvenuta realizzazione dell’inganno.
Si tratta, pertanto, di un reato di pericolo contro la fede pubblica, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno non ricorrendo quindi l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno“
“Per l’integrazione di tale reato, pertanto, è sufficiente anche la sola attitudine della falsificazione, anche imperfetta e parziale, ad ingenerare confusione, con riferimento non solo al momento dell’acquisto, ma anche a quello della successiva utilizzazione del prodotto contraddistinto dal marchio contraffatto, ricorrendo la fattispecie criminosa di cui si discute anche nell’ipotesi in cui il compratore sia stato messo a conoscenza dallo stesso venditore della non autenticità del marchio“.
Articolo di riferimento:
Articolo 474 Codice Penale
Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi
Fuori dei casi di concorso [110] nei delitti preveduti dall’articolo 473, chiunque introduce nel territorio dello Stato [4 2] , al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati è punito con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa da euro 3.500 a euro 35.000.
Fuori dei cassi di concorso nella contraffazione, alterazione, introduzione nel territorio dello Stato, chiunque detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione, al fine di trarne profitto, i prodotti di cui al primo comma è punito con la reclusione fino a due anni e con la multa fin a euro 20.000.
I delitti previsti dai commi primo e secondo sono punibili a condizione che siano state osservate le norme delle leggi interne, dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale.
Leggi il testo della sentenza
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