Cassazione, trust e confisca
Cassazione, trust e confisca
Corte di Cassazione, sezione II Penale
Sentenza 25 marzo – 16 aprile 2015, n. 15804
Presidente Petti – Relatore Rago
La Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta al link in fondo all’articolo, ha esaminato un interessante caso riguardante l’applicazione delle misure cautelari reali e, più nello specifico, ha esaminato un caso in cui veniva a costituirsi il trust sllo scopo di opporsi al sequestro e quindi alla confisca.
Il Tribunale del Riesame confermava il decreto emesso dal GIP del Tribunale che ordinava il sequestro preventivo per equivalente dei beni (quote di una società e due immobili) appartenenti all’indagato, sottoposto alle indagini per i reati di associazione per delinquere, per i reati tributari e per bancarotta fraudolenta e riciclaggio.
Si legge in sentenza “Ove il provvedimento di sequestro venga impugnato dal terzo, costui, pur non essendo gravato da alcun onere probatorio ha tuttavia, ove lo ritenga opportuno, un onere di allegazione che consiste, appunto, nel confutare la tesi accusatoria ed indicare elementi fattuali che dimostrino che quel bene è di sua esclusiva proprietà. È chiaro, quindi, che il procedimento ruoterà solo ed esclusivamente intorno al suddetto onere probatorio, sicché sarebbe del tutto incongruo che il terzo facesse valere eccezioni che riguardino l’indagato e che solo costui potrebbe far valere (in terminis Cass. 14215/2002 Rv. 221843).
Potrebbe obiettarsi che il terzo ha interesse a contestare la sussistenza del fumus delicti (ed, eventualmente, degli altri presupposti) perché, nel caso in cui le sue eccezioni fossero ritenute fondate, automaticamente cadrebbe anche il sequestro mancando il presupposto giuridico, ossia la sussistenza e/o configurabilità del reato.
In realtà, così non è.
Infatti, il sequestro è disposto sotto il presupposto che il bene, pur formalmente di proprietà del terzo, di fatto e sostanzialmente sia nella disponibilità dell’indagato che, quindi, con il suddetto stratagemma, tenta di sottrarlo al sequestro e poi alla confisca.
Di conseguenza, a fronte di questa situazione, il terzo ha due possibilità:
– impugnare il provvedimento ed ammettere che il bene è nella disponibilità dell’indagato e, quindi, in sostanza, riconoscere la fondatezza della tesi accusatoria. Ma, in questo caso, sarebbe del tutto evidente la sua carenza di interesse ad agire, non potendo far valere eccezioni (mancanza del fumus delicti ed, eventualmente, degli altri presupposti) che non possono che essere dedotte direttamente ed esclusivamente dal solo indagato;
– impugnare il provvedimento e contestare che il bene sia riconducibile all’indagato e sostenere che è di sua esclusiva proprietà. In tal caso, l’onere di allegazione, è limitato ad indicare gli elementi dai quali desumere l’esclusiva titolarità del bene. Una volta che questo onere sia stato assolto, il sequestro non può che essere revocato, essendo del tutto irrilevante la prova che manchino i presupposti di legge. Infatti, quand’anche fosse dimostrato il fumus delicti, se vi è la prova che il terzo è diventato esclusivo proprietario del bene, il sequestro andrebbe ugualmente revocato proprio perché l’accusa non avrebbe dimostrato che il bene è nella disponibilità dell’indagato, sicché il sequestro sarebbe, per assioma, illegittimo non potendosi sottoporre a vincolo reale un bene appartenente ad un terzo estraneo a qualsiasi ipotesi di reato. Il sequestro, in altri termini, sarebbe senza alcun titolo giuridico. Infatti, la ratio legis va ravvisata nella volontà del legislatore di privare l’indagato di beni che, sostanzialmente, al di là del dato formale, continuano a rimanere nella sua disponibilità. Di conseguenza, una volta che i suddetti beni escano definitivamente dalla materiale e giuridica disponibilità dell’indagato e pervengano ad un terzo, la legge tutela costui, con conseguente illegittimità del sequestro. Se, invece, il Pubblico Ministero dimostra che i beni appartengono all’indagato, il terzo, in quanto possessore simulato dei suddetti beni, diviene carente di interesse ad agire in quanto si ricrea la situazione di cui si è detto al precedente punto e cioè che non può far valere eccezioni (mancanza del fumus delicti ed, eventualmente, degli altri presupposti) che non possono che essere dedotte direttamente ed esclusivamente dal solo indagato”.
Continuano i giudici osservando che “incombe alla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sicché possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al soggetto indagato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca, così come spetta al giudice della cautela esplicare poi le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, utilizzando allo scopo non solo circostanze sintomatiche di mero spessore indiziario, ma elementi fattuali, dotati dei crismi della gravità, precisione e concordanza, idonei a sostenere, anche in chiave indiretta, l’assunto accusatorio.
L’onere probatorio dell’accusa consiste unicamente nel dimostrare, anche e soprattutto attraverso presunzioni plurime, gravi, precise e concordanti, che quei beni, in realtà, non sono del terzo, ma sono nella disponibilità dell’indagato “a qualsiasi titolo”, per disponibilità dovendosi intendere la relazione effettuale con il bene, connotata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà”
Con riferimento al trust la Corte precisa che “il trasferimento di beni ad un soggetto terzo, il trustee, per effetto del quale la posizione segregata diviene indifferente alle vicende attinenti sia al soggetto disponente sia al soggetto trasferitario. I beni trasferiti, pur appartenendo al trasferitario (trustee), non sono suoi: il diritto trasferito, non limitato nel suo contenuto, lo è invece nel suo esercizio, essendo finalizzato alla realizzazione degli interessi dei beneficiari. Questo meccanismo comporta che i creditori del settlor non possono soddisfarsi sui beni conferiti in trust perché essi sono nella proprietà del trustee; che i creditori del trustee non possono del pari soddisfarsi perché i beni sono oggetto di segregazione; che i creditori dei beneficiari possono soddisfarsi soltanto sulle attribuzioni che in pendenza di trust sono loro effettuate. Soltanto allo scioglimento del trust i creditori dei beneficiari potranno soddisfarsi su quanto è loro attribuito.
Infine, è importante rilevare che il trust è costituito dal disponente (nella specie l’indagato/imputato) con un atto unilaterale non recettizio (cfr art. 2 Convenzione Aia ratificata con legge n. 364/1989) che, nel caso di specie (trust famigliare) ha natura gratuita.
Si ponga anche attenzione alla circostanza che il trust può essere costituito anche a fini meramente simulatori: infatti, in tale ipotesi, la giurisprudenza di questa Corte, ha chiarito che “presupposto coessenziale alla stessa natura dell’istituto è che il detto disponente perda la disponibilità di quanto abbia conferito in trust, al di là di determinati poteri che possano competergli in base alle norme costitutive. Tale condizione è ineludibile al punto che, ove risulti che la perdita del controllo dei beni da parte del disponente sia solo apparente, il trust è nullo (sham trust) e non produce l’effetto segregativo che gli è proprio”: ex plurimis Cass. 13276/2011 Rv. 249838; Cass. 21621/2014 riv 259748.
In tali ipotesi, è ovvio che l’onere probatorio gravante sul Pubblico Ministero è quello dei negozi simulati.
A tal proposito, va rammentato che la giurisprudenza di questa Corte (Cass. civ. n. 10105/2014), proprio al fine di evitare che il trust, in considerazione dei più svariati motivi per cui può essere costituito, possa diventare un facile strumento di elusione di norme imperative, ha chiarito che “[…] il programma di segregazione corrisponde solo allo schema astrattamente previsto dalla Convenzione, laddove il programma concreto non può che risultare sulla base del singolo regolamento d’interessi attuato, la causa concreta del negozio, secondo la nozione da tempo recepita da questa Corte (tanto da esimere da citazioni). Quale strumento negoziale astratto, il trust può essere piegato invero al raggiungimento dei più vari scopi pratici; occorre perciò esaminare, al fine di valutarne la liceità, le circostanze del caso di specie, da cui desumere la causa concreta dell’operazione: particolarmente rilevante in uno strumento estraneo alla nostra tradizione di diritto civile e che si affianca, in modo particolarmente efficace, ad altri esempi di intestazione fiduciaria volti all’elusione di norme imperative”: ivi, in motivazione, si legge un’accurata rassegna di casi di trusts che, per un motivo o altro, sono stati dichiarati illegittimi proprio perché costituiti per finalità frodatorie o comunque in violazione di norme imperative.
Ed è proprio a questa conclusione che questa Corte è pervenuta in un caso in cui confermò il sequestro conservativo di un trust ritenendo sufficiente la prova della semplice volontà di distrarre i beni: “l’immediato reimpiego delle ingentissime somme ricavate dalla vendita degli immobili della persona offesa attraverso il sofisticato strumento della costituzione di un Trust, fosse chiaro indice della volontà degli imputati di distrarre i beni”: Cass. 25520/2012.
È irrilevante, quindi, che l’indagato/imputato abbia costituito un trust, se quello strumento sia stato utilizzato al fine di sottrarre i beni alla confisca.
Non si può, infatti, né consentire né ammettere che il semplice utilizzo di un lecito istituto giuridico sia sufficiente ad eludere la rigida normativa prevista nel diritto penale a presidio di norme inderogabili di diritto pubblico“
Articolo 321 Codice di Procedura Penale
Oggetto del sequestro preventivo
Quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato [253 1] possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato [262 3]. Prima dell’esercizio dell’azione penale [405] provvede il giudice per le indagini preliminari.
2. Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca[c.p. 240].
2 bis. Nel corso del procedimento penale relativo a delitti previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca.
3. Il sequestro è immediatamente revocato a richiesta del pubblico ministero o dell’interessato quando risultano mancanti, anche per fatti sopravvenuti, le condizioni di applicabilità previste dal comma 1. Nel corso delle indagini preliminari provvede il pubblico ministero con decreto motivato, che è notificato a coloro che hanno diritto di proporre impugnazione. Se vi è richiesta di revoca dell’interessato, il pubblico ministero, quando ritiene che essa vada anche in parte respinta, la trasmette al giudice, cui presenta richieste specifiche nonché gli elementi sui quali fonda le sue valutazioni. La richiesta è trasmessa non oltre il giorno successivo a quello del deposito nella segreteria.
3 bis. Nel corso delle indagini preliminari, quando non è possibile, per la situazione di urgenza, attendere il provvedimento del giudice, il sequestro è disposto con decreto motivato dal pubblico ministero. Negli stessi casi, prima dell’intervento del pubblico ministero, al sequestro procedono ufficiali di polizia giudiziaria, i quali, nelle quarantotto ore successive, trasmettono il verbale al pubblico ministero del luogo in cui il sequestro è stato eseguito [386]. Questi, se non dispone la restituzione delle cose sequestrate, richiede al giudice la convalida e l’emissione del decreto previsto dal comma 1 entro quarantotto ore dal sequestro, se disposto dallo stesso pubblico ministero, o dalla ricezione del verbale, se il sequestro è stato eseguito di iniziativa dalla polizia giudiziaria.
3 ter. Il sequestro perde efficacia se non sono osservati i termini previsti dal comma 3 bis ovvero se il giudice non emette l’ordinanza di convalida entro dieci giorni dalla ricezione della richiesta. Copia dell’ordinanza è immediatamente notificata alla persona alla quale le cose sono state sequestrate.
Leggi il testo della sentenza
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