Acquisto di hashish e vincolo associativo
Acquisto di hashish e vincolo associativo
Corte di Cassazione VI Sezione Penale
Sentenza 2 – 4 dicembre 2014, n. 50965
Presidente Agrò – Relatore De Amicis
Sentenza, Cassazione, Penale, Hashish, Vincolo associativo, Acquisti reiterati
La Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato la questione relativa al vincolo associativo nei casi di acquisto reiterato di hashish da parte delle medesime persone.
Nelle considerazioni in diritto della sentenza si legge “Secondo una pacifica linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte con riguardo all’identificazione del vincolo associativo, la condotta partecipativa si perfeziona con la conclusione di un accordo tra il singolo ed il gruppo, in forza del quale il primo si pone «a disposizione» dei secondo, per una serie non predeterminata (nel numero) di contributi all’attività dell’associazione criminale, ed il secondo, attraverso la volontà e l’atteggiamento dei componenti o del ceto dirigente, riconosce il primo come risorsa strutturalmente acquisita“.
Secondo la Corte, “la fisionomia del reato non richiede che sia indeterminato l’oggetto delle prestazioni promesse, né che sia indeterminata la durata del rapporto, bastando che il contributo concordato non consista in una serie specifica e predefinita di singole condotte. Di contro, la reiterazione, anche serrata, di condotte illecite, che non dipenda da una pattuizione preliminare, e richieda dunque di volta in volta una deliberazione concorsuale tra l’agente ed i componenti del gruppo, resta priva di rilievo sul piano associativo .
Naturalmente, la conclusione di un patto con le caratteristiche sopra indicate “segna la consumazione del reato associativo ed avvia la permanenza della condotta punibile. L’eventuale interruzione della medesima, per scelta di risoluzione dell’accordo da parte di uno o di tutti i contraenti, o per effetto di altre circostanze, non incide sulla rilevanza del delitto ormai consumato. Non esiste quindi, neppure dal punto di vista delle prove logiche desumibili dalle comuni regole di esperienza, una durata minima della condotta associativa: ciò che conta non è la protrazione nel tempo dei suoi effetti, ma la qualità dei vincolo instaurato, con una risoluzione contestuale, ovvero attraverso comportamenti informali e progressivamente consolidati“.
Pertanto, osservano Piazza Cavour, “da questa ricostruzione del modello associativo derivano ulteriori, pacifiche, indicazioni della giurisprudenza, secondo le quali, ad esempio, per la consumazione del reato non è necessaria la realizzazione effettiva dei contributi promessi, anche se, il più delle volte, la stabilità del vincolo viene desunta proprio ed anche dalle condotte attuative . Per altro verso, non è affatto necessaria la prova della conoscenza, da parte dei singoli associati, di ogni aspetto dell’organizzazione criminale, o di un numero minimo dei suoi componenti, poiché – ferma restando ovviamente la necessità dell’interlocuzione con colui o coloro che possono esprimere la volontà del gruppo – è sufficiente la consapevolezza di avere prestato la propria adesione ad un patto criminale cui è sottesa una struttura organizzata“.
Nel caso in esame, continuano i giudici, “il requisito della gravità indiziaria in ordine alla configurabilità dell’ipotizzata partecipazione al sodalizio criminale è stato apoditticamente desunto dal coinvolgimento, pur reiterato, dell’indagato nell’acquisto – in cinque occasioni – di quantitativi di stupefacenti del tipo “hashish” sempre dalla stessa persona … in un arco temporale ricompreso fra i mesi di maggio e di settembre del 2012, senza specificare se e come l’instaurazione di tale rapporto possa inscriversi nel quadro delle su indicate circostanze indicative, sul piano sintomatico, dell’esistenza di una vera e propria, consapevole, relazione di tipo associativo“.
Gli ermellini osservano ancora che “che se è un dato pacifico che l’elemento oggettivo del reato di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti prescinde dal numero di volte in cui il singolo partecipante ha personalmente provveduto allo spaccio, per cui anche il coinvolgimento in un solo episodio di cessione di droga non è incompatibile con l’affermata partecipazione dell’agente all’organizzazione, è pur vero che occorre un’adeguata motivazione sulla condotta di partecipazione dell’imputato al reato associativo e sul ruolo da lui stabilmente svolto all’interno dell’organizzazione, tenendo conto del fatto che la partecipazione al reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti va desunta da una serie di condotte significative che, complessivamente valutate, denotino l’organico inserimento in una struttura criminosa“.
In conclusione, “il vincolo associativo, infatti, può essere ravvisato quando l’attività del cd. “grossista” sia realizzata avvalendosi consapevolmente delle risorse dell’organizzazione, e con la coscienza di farne parte, ma deve escludersi che possa essere desunto automaticamente da una serie di operazioni, anche frequenti, di compravendita delle sostanze illecite concluse tra le stesse persone, in quanto è necessario che gli acquirenti agiscano con la volontà e consapevolezza di operare in qualità di aderenti ad una organizzazione criminale e nell’interesse della stessa, dovendo siffatte condotte, per le loro connotazioni, essere in grado di attestare, al di là di ogni ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico della persona, funzionale all’associazione e alle sue dinamiche operative e di crescita criminale“.
Leggi il testo della sentenza
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