Arresti domiciliari, ritorno in carcere
Arresti domiciliari, ritorno in carcere
Corte di Cassazione sezione I Penale
Sentenza 25 novembre 2014 – 3 settembre 2015, n. 35920
Presidente Chieffi – Relatore Tardio
La Corte di Cassazione, con la sentenza che di seguito si riporta, ha esaminato il caso di un uomo ritornato in carcere perchè, mentre era sottoposto alla misura cautelativa degli arresti domiciliari dava vita ad una violenta lite con la madre e la sorella scendendo in strada.
Nell’ordinanza impugnata, la misura carceraria veniva giustificata dal “pericolo di recidivanza criminosa specifica del prevenuto, che era desumibile in termini non trascurabili dalle modalità del fatto, per il quale il medesimo era stato prima arrestato e poi condannato per tentato omicidio, e dalla inaffidabilità ulteriormente manifestata dallo stesso, mentre era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, con il pesante litigio familiare, sfociato nella sua evasione dagli arresti domiciliari“.
Inoltre, si legge sempre nell’ordinanza, “l’evidenziata pericolosità non era all’evidenza contenibile con prescrizioni cautelari non detentive, né risultava in atti la disponibilità della madre ad accogliere nella sua abitazione il prevenuto, che, alla luce della sua emersa personalità, poteva incorrere in ulteriori contrasti con i familiari conviventi e trascendere in atti di violenza“.
Testo della sentenza
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 30 aprile 2014 il Tribunale di Torino, costituito ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen., ha respinto l’appello proposto personalmente da G.A.J.Y. avverso l’ordinanza dell’8 aprile 2014, con la quale la Corte di appello di Torino aveva rigettato due analoghe istanze, volte alla sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari.
Il Tribunale rilevava, a ragione della decisione, che:
– il prevenuto, arrestato il 4 maggio 2013 per il delitto di tentato omicidio dei cittadino senegalese S.M. e sottoposto alla misura inframuraria, era stato condannato, all’esito dei giudizio abbreviato, alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione;
– il Giudice procedente nel dicembre 2013 aveva sostituito la misura in corso con quella degli arresti domiciliari presso l’abitazione della madre in Riccione;
– la misura genetica era stata tuttavia ripristinata nel febbraio 2014 per la condotta tenuta dal prevenuto che, a seguito di una violenta lite con la madre e la sorella, era sceso in strada, poi patteggiando la pena di mesi sei di reclusione per evasione;
– la Corte di appello, nel respingere le due istanze presentate in data 1 e 7 aprile 2014 dal prevenuto, che aveva rappresentato -a fondamento della chiesta concessione degli arresti domiciliari- che la sua condotta era da porre in relazione all’intercorso litigio familiare senza alcuna sua intenzione di violare le prescrizioni, aveva valorizzato le modalità dei fatto in oggetto e la condotta tenuta verso la madre e la sorella, che, posta a fondamento della sentenza di patteggiamento per evasione, ne aveva attestato la personalità violenta e incapace di contenere le pulsioni, come tale non adeguatamente contenibile con la custodia domestica;
– il prevenuto, che aveva censurato tale decisione, deducendo di avere avuto una condotta solo difensiva nei confronti del S. che l’aveva aggredito, e un litigio verbale con la madre, andando in strada per piangere, e rappresentando il suo stato d’incensuratezza e la pendenza a suo carico dei soli reati di tentato omicidio ed evasione, aveva ribadito le sue difese al Magistrato di sorveglianza, che lo aveva sentito in quanto detenuto fuori distretto, e aveva espresso la sua disponibilità all’applicazione dei braccialetto elettronico;
– l’impugnazione non poteva essere accolta, avuto riguardo al pericolo di recidivanza criminosa specifica del prevenuto, che era desumibile in termini non trascurabili dalle modalità del fatto, per il quale il medesimo era stato prima arrestato e poi condannato per tentato omicidio, e dalla inaffidabilità ulteriormente manifestata dallo stesso, mentre era sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, con il pesante litigio familiare, sfociato nella sua evasione dagli arresti domiciliari;
– l’evidenziata pericolosità non era all’evidenza contenibile con prescrizioni cautelari non detentive, né risultava in atti la disponibilità della madre ad accogliere nella sua abitazione il prevenuto, che, alla luce della sua emersa personalità, poteva incorrere in ulteriori contrasti con i familiari conviventi e trascendere in atti di violenza.
2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, con atto personale, l’interessato G. A., che contesta la fondatezza del rigetto della sua richiesta di applicazione della misura degli arresti domiciliari con il ricorso al braccialetto elettronico, evidenziando di avere avuto un diverbio verbale con la madre e di non essere di natura violenta, e dolendosi di essere stato ritenuto di tale natura e particolarmente pericoloso per un fatto isolato.
Considerato in diritto
1. II ricorso è inammissibile.
2. Deve premettersi che alle esigenze cautelari è esteso il limite del sindacato di legittimità, costantemente affermato in questa sede riguardo alla gravità degli indizi (tra le altre, Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, dep. 02/05/2000, Audino, Rv. 215828, e, tra le ultime, Sez. 1, n. 1842 del 11/11/2010, dep. 21/01/2011, e Sez.1, n. 2687 del 17/11/2010, dep. 26/01/2011, non massimate), poiché è compito primario ed esclusivo del Giudice che ha applicato la misura o che deve valutare il suo mantenimento e dei Tribunale dei riesame valutare “in concreto” le condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari e rendere un’adeguata e logica motivazione al riguardo (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, Martorana, Rv. 210019), mentre spetta a questa Corte il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura dei giudizio di legittimità e ai limiti che a esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente e congruamente conto delle ragioni poste a fondamento della decisione.
3. Il Tribunale, che ha ripercorso la vicenda posta a fondamento della misura cautelare inframuraria disposta -per il reato di tentato omicidio in danno dal cittadino senegalese S.M.- a carico del ricorrente, poi condannato, all’esito del giudizio abbreviato, alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, e le vicende che hanno giustificato prima la mitigazione della misura genetica e poi il suo ripristino, ha rigettato l’appello cautelare, condividendo il diniego opposto dalla Corte di appello, quale giudice procedente, alla richiesta di concessione degli arresti domiciliari, dando conto delle ragioni della propria decisione con adeguate argomentazioni, logicamente congruenti alle evidenze disponibili e coerenti in diritto con l’oggetto e i limiti dei suo sindacato.
3.1. Non è, infatti, né apparente né illogica la valutazione del Tribunale, che ha ritenuto che un sicuro fondamento della prognosi cautelare del pericolo di reiterazione criminosa andasse ravvisato nelle descritte modalità dei fatto e nella condotta tenuta dal ricorrente quando, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari presso l’abitazione della madre, aveva violentemente litigato con la stessa e la sorella ed era sceso in strada, rendendosi responsabile di evasione, e dimostrando ulteriormente la sua mancanza di autocontrollo e la sua inaffidabilità.
Anche le affermazioni spese dal Tribunale, nel ritenere indispensabile allo stato la misura carceraria e nell’escludere l’adeguatezza a impedire il rischio cautelare, connesso alle ravvisate esigenze, della chiesta misura coercitiva degli arresti domiciliari anche con l’applicazione del braccialetto elettronico, cui il ricorrente, sentito dal Magistrato di sorveglianza, si è dichiarato disponibile, esprimono, con criteri di plausibile persuasività, le ragioni giustificative della scelta della conferma della custodia cautelare in carcere e della inidoneità delle più blande prescrizioni dì cautele non detentive, correlate sia alla non praticabilità di una custodia domestica, presupponente una disponibilità alla nuova accoglienza da parte della madre, rimasta indimostrata, sia al carattere comunque non “tranqui lizzante” di tale collocazione, avuto riguardo agli emersi concreti profili comportamentali del ricorrente, già trasceso a vie di fatto con le persone conviventi.
3.2. Le deduzioni dei ricorrente, che contrappone la sua versione difensiva secondo la quale il litigio isolato con la madre è stato solo verbale e causa della sua discesa in strada e contesta la sua affermata pericolosità, si risolvono in generiche censure di merito, che, volte a ottenere una rilettura in fatto degli elementi in atti, già oggetto di specifica analisi, e una diversa e più favorevole valutazione, sono estranee ai motivi legittimamente consentiti con il ricorso per cassazione.
4. Alla declaratoria dell’inammissibilità dei ricorso consegue la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché -valutato il contenuto del ricorso e in difetto dell’ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione dell’impugnazione- al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma che si determina nella misura ritenuta congrua di euro mille.
La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario ai sensi dell’art. 94, comma l-ter, disp. att. cod. proc. pen.
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